LE SUE GELIDE MANINE

Adelina Sardegna è nata il 27 ottobre 1907 a Mangone ma i suoi genitori l’hanno subito abbandonata nella ruota del brefotrofio di Cosenza e dopo pochi giorni è stata data in allattamento ad una coppia di Corigliano. Lui, Pasquale Pasqua, fa il sarto e lei, Maria Teresa Prete, la casalinga.
I due si prendono cura della bambina e la fanno studiare da levatrice e quando, conseguito il sospirato diploma con trenta voti su trenta, trova un posto a Corigliano cominciando a lavorare con profitto, dà prova di grande competenza e professionalità.
Conosce un giovanotto, Francesco Marsico, e se ne innamora, ardentemente ricambiata. Nel frattempo cominciano ad arrivare proposte di lavoro da tutta la regione e le rifiuta tutte, ma non può rifiutare quella che le arriva da Stilo, a firma dell’On. Massimo Capialbi e parte.
Adelina non avrebbe voluto partire, lei e Francesco hanno programmato di sposarsi di lì a qualche mese, nel settembre del 1929, e quando, prima di partire, scopre di essere incinta, il loro legame si rafforza ancora di più.
I genitori adottivi la seguono a Stilo e poi, quando le arriva il telegramma del podestà di Dipignano per andare a coprire, seppure ad interim, quel posto, dopo vari tentativi di resistenza i genitori adottivi la convincono ad accettare. A dir la verità sarebbe più esatto affermare che la costringono ad accettare, perché il rapporto tra Adelina e i genitori non è dei migliori. Potremmo dire che il suo diploma rappresenta un investimento per la vecchiaia di Pasquale e Maria Teresa che la tiranneggiano e, in questa ottica, sono assolutamente contrari a qualsiasi matrimonio.
Adelina e famiglia arrivano a Dipignano il 29 aprile 1929 e prendono in fitto una casa di tre stanze a pianterreno. È ormai quasi giunta al termine della gravidanza e, come è normale che sia, non fa niente per nasconderla, anzi a chi mormora qualcosa è pronta a rispondere che il matrimonio è vicino e che non si preoccupino per lei.
Ma una giovane nubile in avanzato stato di gravidanza oltre che stuzzicare la fantasia popolare, stuzzica anche quella del Maresciallo Giuseppe De Vita, comandante della stazione di Dipignano. Con discrezione la tiene d’occhio e non deve nemmeno sforzarsi tanto dal momento che dalle finestre della caserma si vede la casa della levatrice. Basta starsene dietro i vetri ad aspettare.
De Vita osserva e annota che dal 9 al 13 maggio Adelina non esce di casa. Poi, la notte tra il 13 e il 14 verso le 2,00, vede bussare alla casa della levatrice il muratore Pasquale Perri di 23 anni. Dopo pochi minuti vede uscire Adelina e i due incamminarsi insieme nella notte.
– Come ti è sembrata la levatrice stanotte? – chiede il Maresciallo il pomeriggio dopo a Pasquale, perplesso per la convocazione in caserma e per la domanda strana
– Beh… ha assistito mia moglie per tutta la notte. Non è stato un parto facile, ci sono volute le due di oggi pomeriggio…
– Auguri allora! Ma non mi hai risposto… – continua a insistere
– Non mi è sembrata molto in forma, ha detto che negli ultimi giorni ha sofferto di febbri malariche che l’hanno fatta deperire. Era molto sciupata e dimagrita…
– Bene, puoi andare e di nuovo auguri!
De Vita rimane seduto alla sua scrivania pensieroso, rigirando tra le dita una matita, poi, dopo qualche minuto, si alza sorridendo e si dedica ad altro.
Il pomeriggio del 15 maggio il Maresciallo e un suo sottoposto stanno facendo un giro di ispezione in paese e quando attraversano la Piazza Senatore Mele incrociano Adelina che sta camminando frettolosamente. De Vita la osserva attentamente e non può fare a meno di notare che non ha più il pancione. Dando di gomito al carabiniere che lo accompagna gli sussurra
– La vedi? Dobbiamo scoprire che ne ha fatto del bambino… vai al Comune a chiedere se, oltre a quello di Pasquale Perri, è stato registrato qualche altro bambino…
La risposta è negativa e il Maresciallo decide di parlare col medico condotto per cercare di saperne di più
– È venuta da me qualche giorno fa e io le ho chiesto a che punto era, ma lei mi ha risposto di non essere mai stata incinta e che il volume del suo addome era dovuto a un’altra causa. Teoricamente potrebbe avere ragione. Il gonfiore potrebbe davvero essere dovuto alla malaria o a una nefrite, ma in paese, come sapete, è notorio che fosse incinta…
De Vita non ha più dubbi, due più due fa sempre quattro e deve intervenire, così va a casa di Adelina per interrogarla con discrezione.
– Ho la malaria… a Corigliano sono tutti malati… chiedete ai miei genitori…
E i genitori adottivi confermano.
– Devo procedere a perquisire la casa, non credo affatto a quello che dite
Non trovano niente ma De Vita decide di far piantonare l’abitazione mentre va a parlare con l’Ufficiale Sanitario e col medico condotto per sottoporre Adelina a un’accurata visita ginecologica
– Non posso negarlo… ho abortito spontaneamente che ero quasi al sesto mese… il feto l’ho gettato nel cesso – rivela Adelina ai medici i quali, a loro volta, riferiscono il fatto al Maresciallo.
Quando De Vita entra nella camera da letto dove sono la giovane e i genitori adottivi li trova che stanno tremando come foglie e piangono sommessamente. Un particolare, però, gli fa capire che deve procedere a una nuova perquisizione. La madre, sottecchi, guarda con insistenza il letto matrimoniale. Sono ormai le 11,00 del 17 maggio e due carabinieri fanno uscire tutti dalla stanza e cominciano a rovistare, questa volta con accuratezza, ogni angolo della stanza. Il Maresciallo indica di guardare sotto il letto grande ma non c’è niente. Tastano il materasso di crine e non c’è niente. “Ma che cazzo aveva da guardare il letto?” pensa De Vita. Poi si avvicina e solleva i cuscini. C’è un involto di stracci. La forma è allungata. Rabbrividisce. Dentro c’è il cadaverino di una neonata che comincia a putrefarsi. “Come abbiamo fatto a non sentirne la puzza l’altra volta?” è la domanda che lo tormenta.
I medici diranno che la bambina è nata a termine ma ha il cordone ombelicale reciso troppo corto e non è legato. Non ci sono tracce di violenza. Ipotizzano subito che sia rimasta soffocata dal cuscino premuto sul viso, non necessariamente pressato. Qualche giorno dopo questa ipotesi sarà confermata dall’autopsia.
Adelina per infanticidio e i genitori adottivi per correità vengono immediatamente arrestati e tradotti in caserma.
– La bambina è nata viva – confessa Adelina – verso le 4,00 del 9 maggio. A partorire mi ha aiutata mia madre col consenso di mio padre. Ero felice perché vedevo concretizzarsi il mio matrimonio, ma per lo sforzo e l’emorragia sono svenuta. Quando mi sono ripresa ho espulso la placenta che poi ho ridotto in pezzi con una forbice e gettata nel cesso. Ho chiesto a mia madre di portarmi la bambina e lei la andò a prendere nell’altra stanza e me l’ha messa in braccio avvolta in un pannolino. Ma era morta! Ho cominciato a piangere, l’ho stretta a me… l’ho coperta di baci e l’ho incipriata tutta. Poi l’ho ridata a mia madre per farla seppellire secondo le regole, ma lei e mio padre si vergognavano per il disonore e l’hanno cucita in una sottana e nascosta in casa. Quando avete perquisito la casa la prima volta non potevate trovarla perché mia madre la teneva nascosta tra le sue gambe… quel povero corpicino nascosto in mezzo a quelle gambe! Io – continua piangendo – non ho potuto parlare prima perché mi hanno minacciata di morte se lo avessi fatto. Speravano che nessuno l’avesse scoperto finché non mi fossi ripresa e avrei provveduto io a far sparire il corpicino. L’hanno progettato non appena hanno saputo che ero incinta perché non mi volevano fare sposare con il mio fidanzato, ma siccome mi hanno vista decisa a farmi una famiglia, pensando che non avrebbero più potuto sfruttarmi, hanno fatto questa cosa orribile…
De Vita è perplesso. Gli sembra tutto inverosimile anche quando Maria Teresa Prete conferma sostanzialmente la versione di Adelina e continua a sembrargli inverosimile anche quando Pasquale Pasqua nega perfino di aver saputo che la figlia adottiva era incinta.
– Io manco sapevo che si era sgravata, figuratevi se potevo sapere che l’hanno ammazzata!
Tutti e tre vengono trasferiti a Cosenza e rinchiusi in carcere in attesa di giudizio. Ma Adelina non ci sta a passare per un’assassina e scrive al Presidente della Corte d’Appello di Catanzaro per sollecitare il suo proscioglimento:
(…) Durante questo stato speciale in cui mi trovavo, nella mia mentalità vi erano molti castelli in aria, per me la gestazione mi faceva cullare, mi faceva vivere in un mondo pieno di speranze e per ben nove mesi pensavo tale e durante questo tempo nessun pensiero maligno e perverso è venuto nella mia mente, perché in tali casi, Ill.mo Sig. Presidente, se menomamente avessi pensato male sul mio frutto del concepimento, ricorrevo a dei mezzi per farlo deperire non dico di tre o due mesi, ma lo facevo deperire di giorni perché non dovevo ricorrere a mezzi estranei, ma ricorrevo a mezzi che la mia valentia [di levatrice] mi dettava e quindi senza aspettare il termine di questa gestazione e fare un infanticidio quale a me hanno inflitto. Basta conoscere il mio affetto che quantunque morta, giorno per giorno mettevo fiori tra le sue gelide manine ed il mio affetto non fu apprezzato e conosciuto da nessuno, perché per me se mia figlia sarebbe vissuta rappresentava il calice dolce della mia vita, la luce del mio cammino e la speranza più bella, più gioiosa e più grande che poteva essere al mondo; e poi il nascere di quella creaturina rappresentava per me la prova più sicura del mio matrimonio; ma chi poteva mai pensare che il nascere di costei dovea piombare sulla sua sventurata madre un fulmine a ciel sereno?
La fase istruttoria durerà ancora molti mesi e il Presidente della Corte d’Appello non ascolterà le preghiere di Adelina, che dovrà affrontare con i genitori adottivi il dibattimento in Corte d’Assise.
Nel frattempo Pasquale Pasqua si ammala in carcere e non potrà nemmeno essere presente in aula quando la giuria emetterà il verdetto: Adelina Sardegna e Pasquale Pasqua sono mandati assolti per non aver commesso il fatto, mentre Maria Teresa Prete viene ritenuta l’unica responsabile dell’infanticido per aver soffocato la bambina attraverso la pressione di un cuscino sulle vie respiratorie e condannata a due anni e sei mesi di reclusione, più 2.500 lire di multa.[1]

I CAMINANTI-Quando gli zingari rubavano galline

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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