È il 13 febbraio 1953 e fa freddo quando, alle cinque di mattina, Cristiano Giove, ventottenne contadino della frazione Lago di Fuscaldo, si alza dal letto e non trova in casa il padre con il quale deve andare a zappare. Più che preoccupato, è arrabbiato perché sa che il genitore la sera prima è andato a giocare a carte a casa di amici. “Sicuramente si è ubriacato e sta dormendo in un fosso” pensa. Pensa anche al tempo che perderà per trovare il padre, riportarlo a casa e poi affrontare almeno una mezza giornata di lavoro da solo. Si veste in fretta e furia e va a bussare a casa di Carmelo Gabriele dove sa che il padre è stato a giocare.
– Sai che fine ha fatto papà? – chiede all’amico non appena questi gli apre la porta.
– È stato qui con tuo figlio fino alle sei di ieri pomeriggio, abbiamo bevuto un bicchiere, mangiato fichi secchi, pane e un po’ di soppressata e poi se n’è andato, perché me lo chiedi?
– Non l’ho trovato nel letto stamattina…
– Magari è già uscito…
– Macchè! Il letto è intatto, quello non è tornato affatto stanotte!
– Non so che dirti… vuoi che venga con te per cercarlo?
– No, non è necessario, stai tranquillo, ciao e grazie – e così dicendo, si gira e si dirige verso la strada che va a Cetraro, distante una trentina di metri dalla casa di Carmelo. La sua attenzione, all’improvviso, è attirata da una macchia blu che a stento si nota al di là di un canale di scolo che passa sotto la strada. Si avvicina e, con sgomento, vede che si tratta della giacca blu a quadri del padre. Si sporge dal parapetto e, nella scarpata sottostante, i suoi sospetti sono confermati: non è solo la giacca ma nella giacca c’è suo padre Gaspare. Urla all’indirizzo di Carmelo che è ancora sull’uscio di casa e, saltato il parapetto, si precipita giù. L’amico lo raggiunge in pochi secondi e insieme
cercano di soccorrere il vecchio.
Il corpo è bocconi, la testa nel cunicolo, il braccio sinistro sotto il corpo e quello destro all’infuori, le gambe, contratte contro il bacino, sono rivolte verso il mare.
– Papà! Papà! – urla buttandoglisi addosso e girandolo, convinto che sia ancora vivo. Lo scuote ma non ottiene alcun risultato. Solo adesso si accorge della ferita sulla guancia destra e delle vaste ecchimosi sulla tempia e sulla fronte. Con l’aiuto di Carmelo lo spostano e lo mettono disteso su un piccolo terrapieno lì accanto. Sopra di loro, richiamata dalle grida, una piccola folla si sporge dal parapetto ad osservare la scena.
I carabinieri arrivano verso le nove e mezza e dal vociare dei presenti apprendono che si è trattato di una disgrazia. Il vecchio, ubriaco, è caduto di sotto e c’è rimasto secco. Il maresciallo Sica però ha dei dubbi. Non è possibile che l’uomo, cadendo, sia potuto finire in quel posto né tantomeno in quella posizione. Chiede spiegazioni al figlio del morto e dalla descrizione che gli viene fatta si convince che non si tratta di una disgrazia ma di un omicidio. E si convince anche che il delitto non può che essere maturato tra gli abitanti della contrada.
Le indagini sembrano proseguire speditamente e nel pomeriggio i carabinieri mettono in stato di fermo Cristiano Giove, il figlio del morto, Carmelo Gabriele e una donna, certa Pasqualina Pecoraro che abita la casa accanto a quella di Carmelo. Negli interrogatori, però, le cose cominciano a ingarbugliarsi. Cristiano sostiene che il padre è uscito di casa dicendo che sarebbe andato a giocare a carte a casa di Carmelo e questo viene confermato anche da Pasqualina che aggiunge di aver sentito distintamente (la sua camera da letto è attigua alla cucina della casa di Carmelo e le due stanze sono divise solo da una sottile parete fatta di canne e fango e da una porta chiusa a chiave) Carmelo alzare la voce dicendo “Mò te ne devi andare se no ti prendo a calci nel culo!” e Gaspare Giove rispondere: “Si, me ne vado, me ne vado”, dopo di che non ha sentito o notato altro. Il maresciallo insiste e ottiene dalla donna i nomi delle altre persone che erano in casa di Carmelo e che la donna ha riconosciuto dalla voce; Lazzaro Zappone e Giuseppe La Porta.
– Pasqualì, non ci credo che non hai visto o sentito altro, parla se no si mette male! – le fa a questo punto il maresciallo.
– Marescià… che vi devo dire? – risponde titubante – quello se n’è andato, Carmelo Gabriele, così ho sentito, ha dato la buonanotte agli altri due che se ne sono andati subito dopo e poi non ho sentito più niente…
Il maresciallo, avendo due testimonianze convergenti, rilascia il figlio del morto e la donna e comincia a torchiare Carmelo Gabriele e sua moglie Antonietta ma si trova davanti a un muro. Con estrema risolutezza i due negano che in casa loro la sera del 12 febbraio ci sia stata gente che ha giocato a carte, ma, finalmente, il 14 febbraio Carmelo si decide a parlare:
– Effettivamente abbiamo giocato a carte la sera del 12. Eravamo io, Gaspare Giove, Lazzaro Zappone e Giuseppe La Porta. Poi è arrivato anche mio suocero, Vincenzo Denaro. Abbiamo anche bevuto del vino che avevo io e che mi facevo pagare cento lire al litro e dopo ogni partita facevamo il padrone e sotto. A un certo punto La Porta se n’è andato dicendo che sarebbe passato dalla casa di Pasqualina Pecoraro che è una donna di facili costumi, per vedere se “gli faceva fare qualche cosa”. Mio suocero ha preso il suo posto e abbiamo continuato a giocare. Poi se ne sono andati tutti e ci siamo coricati. Poteva essere passato un quarto d’ora e ho sentito che qualcuno bussava alla porta di Pasqualina. Dalla voce ho capito che era Gaspare Giove e io, incuriosito, ho spiato dalla finestra. Ho visto che la donna si è affacciata dal finestrino della soffitta illuminando il portone con una lampadina portatile e ha detto: “Chi è a quest’ora che vuole rotto il culo?” poi ha preso un grosso pezzo di legno e lo ha buttato addosso a Gaspare che è caduto a terra senza una parola perché il legno lo aveva colpito sulla testa. Dopo di ciò Pasqualina è uscita di casa con un uomo che sicuramente era La Porta e insieme hanno preso Gaspare e lo hanno buttato nella scarpata. La Porta se ne è andato e Pasqualina si è messa a pulire davanti alla sua porta. Alla scena ha assistito anche mia cognata Maria Denaro che in quel momento era nella sua soffitta a prendere del fieno per gli animali e si è affacciata quando ha sentito il rumore del legno che colpiva Gaspare. Quindi io accuso Pasqualina Pecoraro e Giuseppe La Porta di avere ucciso il vecchio.
– Ma perché non lo hai detto subito? – gli fa il maresciallo.
– Marescià, quella è una donnaccia. La mattina successiva è venuta a casa mia e ha minacciato di rovinarmi se non ci fossimo fatti i fatti nostri…
Il maresciallo interroga Maria Denaro che conferma di aver visto Pasqualina buttare un pezzo di legno dalla finestrella della soffitta e interroga anche gli altri giocatori i quali confermano di aver sentito Giuseppe La Porta dire che sarebbe andato a casa di Pasqualina per congiungersi carnalmente con lei. Gli indizi sembrano essere sufficienti e i carabinieri mettono in stato di fermo i due sospetti.
– Marescià, mò ve lo dico io come davvero si sono svolti i fatti quella notte. Dopo che Carmelo Gabriele e Gaspare Giove hanno avuto quelle parole di cui vi ho già parlato, il vecchio è uscito offendendolo pesantemente. Gli ha detto: “Cornuto, ti sei sposato a una con due figli che faceva la puttana con tuo fratello!”. Io, a queste parole, sono salita subito in soffitta e mi sono messa a spiare dalla finestrella e ho visto che Gaspare si stava allontanando verso casa sua ma Carmelo, con un bastone in mano lo ha rincorso e gli ha dato due colpi in testa. A questo punto sono arrivati Zappone, il suocero e la moglie di Carmelo che gli ha detto: “Carmelo che hai fatto, disgrazia mia!” e il suocero: “Ma che sei uscito pazzo?”. Qualche istante dopo ho sentito un rumore come se avessero buttato qualcosa sotto la scarpata della strada, ma dalla finestrella non si vede bene quel punto e non posso essere più precisa, però ho sentito Carmelo che diceva: “State zitti perché domani…” e non ho sentito bene quello che ha detto dopo. Io non ho gridato perché stavo passando la notte con Maurizio Di Gianni, il mugnaio del signor Talarico e non volevo che si sapesse.
– Però Maria Denaro giura di averti visto buttare un pezzo di legno addosso a un uomo… come lo spieghi questo fatto?
– In effetti, verso mezzanotte, qualcuno ha bussato alla mia porta ripetutamente. Io mi sono alzata e sono andata alla finestrella a vedere chi era e ho detto: “Chi è chi vole ruttu ‘u culu?” ma quello non rispondeva. Poi ho visto che si allontanava. Dopo un po’ hanno bussato di nuovo e mi sono affacciata ancora per vedere chi fosse. Questa volta ho visto che aveva un impermeabile grigio chiaro nuovo e non portava cappello. A questo punto, siccome non potevo alzare la voce, per richiamare la sua attenzione ho buttato un pezzetto di legno bruciato accanto all’uomo che si mosse e mi disse: “Non gridare che sono Pasquale!”. Io l’ho riconosciuto per Pasquale Toce, il casellante ferroviario di Guardia e gli dissi: “Brutto scostumato, come ti sei permesso di venire alla porta mia?”. A questo punto ho sentito aprire la porta della casa di Maria Denaro che ha visto e sentito tutto, tant’è vero che è venuta a chiedermi chi fosse quell’uomo e io le ho risposto che a lei non interessava e che non avrei rivelato il nome dell’uomo nemmeno se viene Domine Iddio.
Anche questa versione è abbastanza credibile ma chi può confermarla? Il mugnaio non si è accorto di niente perché dormiva della grossa e il casellante se ne era già andato quando successe il fattaccio. Ma se in casa di Pasqualina c’era il mugnaio e a bussare alla porta è stato il casellante, dove diavolo era Giuseppe La Porta? Il maresciallo non ci si raccapezza più. Vediamo se La Porta è in grado di chiarire la sua posizione.
– La sera del 12 sono stato invitato a giocare a carte in casa di Carmelo Gabriele e ho giocato quattro partite a briscola insieme a mio cognato Lazzaro Zappone, Gaspare Giove e lo stesso Gabriele. A un certo punto mi è venuta a chiamare mia cognata dicendomi di andare a casa che mia moglie aveva bisogno di me dato che è ammalata. Io sono uscito subito ma non sono andato a casa perché volevo fermarmi a casa di Pasqualina per fare qualche cosa. Ho bussato e Pasqualina ha risposto: “Chi è che vuole rotto il culo?” io ho capito che c’era già qualcuno e sono ripassato dalla casa di Carmelo, ho salutato di nuovo e mi sono nascosto vicino alla porta di Pasqualina in attesa che aprisse e anche per vedere chi era con lei. Mentre ero nascosto ho sentito che in casa di Carmelo stavano litigando per una carta e per del vino che si doveva pagare. Ho capito che il diverbio era nato tra Carmelo e Gaspare il quale, brontolando, diceva di non voler né pagare e né giocare più. Dopo che i due si sono scambiati delle offese, Gaspare si era allontanato di pochi passi, quando è stato raggiunto da Carmine che aveva un bastone in mano e lo ha colpito un paio di volte. Gaspare è caduto lamentandosi mentre sono accorsi mio cognato, che se ne stava andando in bicicletta, il suocero e la moglie di Carmelo. Io non mi sono mosso per non essere coinvolto, d’altra parte nessuno si era accorto della mia presenza. Dopo che i tre si sono scambiati delle parole, ho sentito un rumore come se avessero buttato qualcosa nella scarpata.
Le due versioni coincidono e il maresciallo interroga di nuovo Carmelo che modifica un po’ la sua ricostruzione dei fatti:
– Nego di aver bastonato e ucciso Gaspare Giove e continuo ad accusare Pasqualina Pecoraro e Giuseppe La Porta ma devo precisare che lo faccio per convinzione e non per aver visto la Pecoraro e La Porta che uccidevano il vecchio, né ho visto il cadavere perché in quei momenti ero a letto con mia moglie.
Si, è proprio necessario un confronto tra i tre sospettati. Pasqualina Pecoraro e Giuseppe La Porta sono precisi e fermi nelle loro accuse, Carmelo invece è titubante nel controbattere e a momenti quasi si mette a piangere. Il maresciallo capisce che questo è il momento buono e, allontanati gli altri due, fa entrare Lazzaro Zappone che comincia ad accusarlo come gli altri due:
– Tu hai ucciso Gaspare Giove con due bastonate e poi lo hai buttato sotto il muro della strada nel punto dove è stato ritrovato la mattina dopo! – se prima ad accusarlo erano due sospettati, adesso è un testimone oculare a farlo e le cose si mettono malissimo per Carmelo che cerca di replicare:
– Non è vero! io mi sono coricato dopo che abbiamo giocato!
– Non negare compare Carmelo, tu lo hai ucciso in presenza mia, di tuo suocero e di tua moglie! – è il colpo di grazia. Carmelo, tra i singhiozzi, dice al maresciallo che vuole parlare.
– Ho ucciso io Gaspare Giove con due colpi di bastone in testa e poi l’ho preso per le gambe e l’ho buttato nella scarpata. Gaspare, quando l’ho colpito, è caduto all’indietro ed è rimasto in bilico sul muro, con la testa e le spalle che pendevano verso la scarpata e il resto del corpo verso la strada. È bastato sollevargli i piedi per farlo precipitare giù. Ma, marescià, giuro che non volevo ucciderlo, l’ho buttato di sotto per far credere che era caduto da solo. Durante tutta la sera mi aveva offeso chiamandomi cornuto e ladro, ha detto pure che mia moglie faceva la puttana con mio fratello e che me la sono sposata che aveva già due figli. Ha pure imbrogliato al gioco… eravamo un po’ brilli e dalle parole siamo passati ai fatti… e pensare che tutto è successo perché le carte erano vecchie e si riconoscevano… la briscola era a spade, Zappone stava dando le carte e ha detto a Giove: “Questa è la tua carta”, ma lui non voleva prenderla perché aveva riconosciuto l’asso di spade che toccava a me e voleva prenderla per sé. Io me ne sono accorto e gli ho imposto di lasciare la carta ma lui non volle sentire ragione e, non potendo prendersi la carta, si alzò e lanciò tutte le altre carte in aria dicendo che stavo imbrogliando e non ha voluto più giocare. Io mi sono alzato incazzato e ho fatto il gesto di tirargli un pugno se non si fosse seduto a terminare la partita, poi l’ho tirato per la giacca e l’ho costretto a sedersi, ma lui ha tentato di rialzarsi e io l’ho trattenuto sulla sedia. Lui insisteva nel suo rifiuto a continuare il gioco ed è stato a questo punto che, spingendolo verso l’uscita, gli ho detto che se ne doveva andare da casa mia altrimenti lo avrei preso a calci. Lui ha risposto “Me ne vado, me ne vado” ed è uscito di casa. “Devi pagare la partita!” gli ho detto ma lui ha fatto finta di niente e si è incamminato verso casa sua. Ero fuori di me, gli altri provavano a calmarmi ma io nemmeno li sentivo… ho preso il bastone, gli sono corso dietro e l’ho colpito, lui è caduto sul muretto restando in bilico e io l’ho buttato di sotto… “Statevi zitti… domani se ne parlerà… mi ha offeso e non ne ho potuto più…” così mi sembra di aver detto dopo…
Ma si stanno sbagliando tutti. Carmelo Gabriele non ha ucciso il vecchio a bastonate. Gaspare Giove era solo tramortito quando è stato buttato nella scarpata. La vera e unica ragione della sua morte è stata la frattura della base cranica con conseguente emorragia cerebrale all’impatto con le pietre, così stabilisce l’autopsia.
Potrebbe trattarsi di omicidio preterintenzionale ma il comportamento tenuto da Carmelo durante le indagini convincono il Pubblico Ministero a formulare l’accusa di omicidio volontario ed è per questo reato che il Giudice Istruttore lo rinvia a giudizio.
Durante il processo, apertosi il 9 dicembre 1953, ammesso che i giurati abbiano dei dubbi sulla qualità dell’imputazione, a fugare ogni dubbio è Carmelo Gabriele stesso il quale, durante la sua deposizione, cambia ancora versione:
– Quando Giove andò via da casa mia, io e mia moglie ce ne andammo a letto. Poco dopo lui è tornato e ha cominciato di nuovo a offendermi e a battere violentemente alla porta nel tentativo di sfondarla. Io ho avuto paura che potesse fare del male a me e alla mia famiglia e così ho preso un bastone, ho aperto la porta e me lo sono trovato davanti. Non ci ho visto più e l’ho colpito in testa. Gaspare Giove, barcollando, è andato a cadere sul muretto e io, per vedere se era vivo o morto, ho cercato di tirarlo sulla strada ma lui è scivolato di sotto… – È proprio ingenuo o, forse, è stato consigliato male. Questo ulteriore cambio di versione gli costa 21 anni di reclusione ma, considerato che ha già risarcito la vedova e il figlio della vittima (sconto di 4 anni), che la giuria ha riconosciuto lo stato di provocazione grave (sconto di 5 anni) e le attenuanti generiche (sconto di 3 anni), la pena effettiva che dovrà scontare sarà di 9 anni.[1]
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