IL CARTOLAIO DI PIAZZA DELLA VITTORIA

– Teresì, guarda qui – fa Maria a Teresa, levatrice e sua pensionante, mentre le mostra le mutandine della figlioletta Carmelina di sette anni – secondo te che cosa sono queste macchie gialle? È da qualche giorno che è un po’ pallida, non è che ha qualche malattia?
– Fammi vedere bene – dice Teresa, prendendo le mutandine e guardandole attentamente alla luce del pallido sole di un tramonto di novembre. La sua espressione non promette nulla di buono e, con imbarazzo, continua – Marì, non ti voglio allarmare ma… portala subito da un medico…
– O gesummaria! Che ha? Dimmelo tu! Che ha? – le chiede, preoccupata.
– Che ha non lo so, ma quelle macchie non promettono cose buone – risponde sibillina, aumentando l’ansia di Maria.
– Domani mattina… domani mattina la porto subito! O gesummaria che mi doveva capitare! – continua a cantilenare.
Il mattino seguente, di buon’ora, Maria porta la figlia dal dottore Gallo che, dopo averla sottoposta a un’accurata visita ginecologica, esprime una diagnosi incredibilmente angosciante per la mamma della piccola Carmelina: vulvo-vaginite di natura probabilmente gonococcica, imene infiammato con due piccole lacerazioni tali da non fare pensare alla introduzione in vagina di un’asta virile, ma  dette lesioni possono mettersi in dipendenza di atti di libidine esercitati da un uomo.
– Carmelì, guardami e rispondimi sinceramente – chiede, con tono serio, il dottore Gallo alla bambina, tenendola stretta sulle ginocchia – qualcuno ti ha fatto qualche cosa brutta? Non ti vergognare, io sono il tuo dottore… rispondimi e poi ti do una caramella.
Carmelina è incerta sul da farsi, cerca con gli occhietti lucidi lo sguardo confortante della mamma, che, con gli occhi pieni di lacrime anche lei, cerca di rassicurarla. Lo sguardo della bambina va dal medico alla mamma e da questa di nuovo al medico, poi, senza dire una parola, fa con la testa il gesto che tutti si aspettavano e temevano allo stesso tempo: si.
Maria scoppia a piangere, vorrebbe strapparsi i capelli ma vuole mantenere un contegno rassicurante davanti alla piccola e soffoca i suoi singhiozzi. Il dottore Gallo, che pure ne ha viste tante, è visibilmente imbarazzato ma, dopo essersi schiarita la voce, recita la lista delle medicine che Carmelina dovrà prendere. Poi le porge una caramellina e le dice di aspettare un attimo nell’altra stanza.
– Signora, sono desolato, ma così è… quello che vi posso consigliare è di portarla a casa e cercare di farvi dire il nome di quel… quel… beh… lasciamo stare… e dopo andate alla questura e fate la denuncia. Qui c’è il certificato e lo allegate, ma sicuramente il giudice farà fare un’altra visita alla piccola. Non temete, se avete bisogno, chiamatemi pure.
Maria fa esattamente come le ha detto il medico e, carezzando e abbracciando Carmelina, riesce a farsi raccontare tutto. È proprio una brutta storia.
– Carmelì, bella di mamma tua, sarai così brava da raccontare tutto alla polizia, se te lo chiederanno? – le chiede carezzandole i capelli e poi abbracciandola forte forte. Carmelina, con l’innocenza dei suoi sette anni, le fa di si col capo.
In fretta e furia indossa il cappotto, imbacucca la figlia e, quasi strattonandola, va in Questura. Dopo avere fatto vedere il certificato medico al funzionario che le siede davanti, attacca:
– Mia figlia mi ha confessato che più volte, quando andava dal cartolaio di Piazza della Vittoria, lui la portava in una stanzetta dietro il bancone e le strusciava… insomma… mi avete capito… quella cosa sulla natura… e l’ha anche minacciata perché non mi dicesse niente!
– Brutto affare… bruttissimo affare… firmate qua – fa il funzionario dopo aver steso la denuncia – ora tornate a casa che ce la vediamo noi. Sicuramente il Signor Giudice Istruttore vi chiamerà tra qualche giorno…
Ma, appena Maria e la figlia se ne sono andate, il funzionario chiama due agenti e ordina loro di andare a prelevare il cartolaio nella sua bottega. È il 20 novembre 1939 ed è appena suonato mezzogiorno.
– Che cosa? Io? Io non ho fatto proprio niente del genere! Non sia mai! Carmelina come? No, il nome non mi dice niente… vengono tanti bambini al mio negozio… La madre? Maria? Si… mi pare di ricordarla… in passato è venuta qualche volta per comprare delle pastiglie Valda e della liquirizia…
– Avete malattie veneree? – gli chiede il funzionario con tono distaccato.
– No! In atto no. Molto tempo fa sono stato ammalato…
– Va bene, è tutto per ora… nel caso vi faremo sapere… potete andare. – lo congeda, per nulla convinto delle risposte.
Dalla Questura, la pratica viene inoltrata al Giudice Istruttore Tommaso Gemelli che non perde tempo e quattro giorni dopo, con domande garbate, ascolta quello che ha da dire Carmelina, la quale, con inaspettata calma e precisione, racconta:
– Quando c’erano le vacanze di quest’anno, un giorno, come facevo di solito, sono andata nella cartoleria di Piazza della Vittoria per comprare un quaderno. Lui era solo, mi ha dato il quaderno e gliel’ho pagato mezza lira e poi gli ho chiesto in regalo una carta assorbente. Lui mi ha detto che me la dava se andavo con lui nella stanza dietro al bancone. Io gli ho detto che ci andavo e lui mi ha regalato la carta assorbente, poi mi ha preso per mano e mi ha portata là. Poi mi ha fatto salire sopra una cassa di legno, mi ha tolto le mutandine, mi ha detto di coricarmi così. – dice, mimando il gesto di coricarsi su un fianco – Lui si è seduto vicino a me sopra una sedia, si è sbottonato i pantaloni e ha cacciato di fuori quella cosa e me l’ha strofinata sul mio pipì. Io mi sono sentita subito tutta bagnata. Lui ha preso una pezzuola bianca e mi ha pulito, poi mi ha messo di nuovo le mutandine e mi ha fatto andare via dicendomi di non dire nulla a mammà perché altrimenti mi avrebbe ammazzato. Io per paura non ho detto niente a mia madre… – il Giudice è visibilmente imbarazzato dalla lucidità del racconto, ma deve continuare a chiedere.
– Carmelì, solo quella volta è successo?
– No. Ci sono ritornata altre volte per comprare le cose di scuola e lui ogni volta che lo trovavo solo, faceva quelle porcherie su di me. Io gliel’ho detto che era peccato, ma lui mi rispondeva che non era peccato ed ogni volta mi diceva di non parlare.
– Ti ha fatto male?
– No, male non ne ho sentito. Solo dopo qualche volta ha cominciato a bruciarmi tra le cosce e al pipì ma non ho detto nulla a mammà per paura di lui. Mammà però se ne è accorta e mi ha domandato che cosa avevo ed io allora le ho raccontato quello che ho raccontato a voi.
– Ma tu, prima che lui ti facesse le porcherie, c’eri mai entrata nell’altra stanza?
– Si si. Io nella stanza ci sono entrata anche qualche volta prima di quello che mi è successo, perché certe volte che andavo a comprare della carta, lui andava là e io gli andavo appresso, ma non mi ha mai detto o fatto nulla.
– Ti ricordi che cosa c’era nell’altra stanza?
– Mi ricordo che c’era quella cassa, due o tre sedie e assai roba di scuola.
– E ora dimmi, Carmelì, – Il Giudice è titubante, poi d’un fiato le chiede – ti ricordi come era quella cosa… quella cosa che ti ha strofinato sul pipì?
Quella cosa era dura e colore della carne – risponde, lasciando impietrito il Giudice.
Le procedure legali sono rigide e impongono che vittima e carnefice vengano messi a confronto e così Carmelina deve superare un’altra dura prova, ma è forte e dalla sua parte ha l’innocenza dei suoi anni. Il confronto ha tinte drammatiche.
– Perché dici questo? Per l’amore della Madonna, tu te lo sei inventato! – esordisce il cartolaio.
– Non nominare la Madonna che è peccato! Tu mi hai coricato sulla cassa, mi hai tolto le mutandine, ti sei seduto su una sedia e ti sei avvicinato a me. Mi hai bagnata tutta e mi hai pulito con una pezzuola e questo lo hai fatto tante volte e mi hai detto di non dire niente a mammà perché se no mi ammazzavi – la sicurezza della bambina nell’accusare l’uomo sbalordisce tutti.
– E tu pigli sonno la notte? Come fai a calunniarmi in faccia? Io non ti conosco affatto.
– Come non mi conosci… se io venivo sempre a comprare i quaderni da te!
– Senti… dici la verità perché ti compro una bicicletta e un orologio d’oro e non ti faccio niente se dici la verità. Dici chi è stato questo snaturato che ti ha fatto quello che stai dicendo – il cartolaio sembra sconvolto e deve proprio aver perso la testa per offrire una ricompensa alla bambina davanti al giudice.
– Sei stato tu… proprio tu…
Per il Giudice Istruttore può bastare così. Si sente stanco come se avesse zappato tutto il giorno. Il cartolaio viene portato via in lacrime. Carmelina finalmente si è liberata, ma sembra assente, come se fosse in un altro luogo.
La famiglia dell’uomo accusato non sta con le mani in mano e comincia a muoversi in tutte le direzioni per tirare fuori da quella brutta situazione il congiunto. Uno dei figli scrive una lettera al Giudice Istruttore, spargendo veleno sulla bambina e sulla sua famiglia:
Vi prego di voler osservare, data la vostra esperienza, con profonda attenzione, quella precocissima viperetta settenne! Chè istigata, con un abbietto e diabolico piano, da una madre snaturata a rovinare una intera famiglia (…) sono venuto a conoscenza di notizie circa il carattere e l’educazione di detta bambina da parte di persone che hanno avuto modo di conoscerla e di cui mi riservo farvi sapere i nomi (…) bisogna assolutamente che i Giudici cosentini diano un ferreo e salutare esempio agli esponenti della più malvagiamente speculativa delinquenza che, pur di obbedire alla loro insanabile sete di lucro, osano lanciare nel ludibrio una fanciulla di sette anni, da cui si potrà notare il vizio dell’ambiente e che un giorno potrebbe mettere al mondo dei figli disgraziati (…)”.
Ma il giovanotto va ancora oltre, visto che tutto sembra precipitare. Un giorno che in casa di Carmelina c’è la sarta Concetta per prendere delle misure, si presenta in casa e non ha remore, davanti all’estranea, di offrire a Maria un aggiustamento bonario della faccenda. Maria rifiuta sdegnata e questo episodio peserà non poco tra breve.
Infatti, nonostante tutti i tentativi dilatori della difesa del cartolaio, il 21 febbraio 1940, il Giudice Istruttore lo rinvia a giudizio, fissando il dibattimento per il 1 aprile.
Il processo è velocissimo. Si gioca su un paio di testimonianze, una delle quali quella della sarta Concetta e su due perizie. La prima, la perizia di parte della difesa del cartolaio demolisce la figura di Carmelina così come la sua famiglia, affermando che l’infezione le è stata trasmessa in famiglia, essendo il cartolaio non affetto da malattie gonococciche; la seconda, disposta dal Giudice, accertata che l’imputato è affetto da “uretrite totale cronica riacutizzata e prostatite cronica, determinate e mantenute dal gonococco di Waisser. (…) dalla sua infermità è possibile il contagio sia in modo diretto che in forma mediata” (…). Il cartolaio è fritto!
La sera stessa la Corte lo dichiara colpevole del reato di atti di libidine violenta e lo condanna a cinque anni di reclusione, di cui due condonati, alle spese processuali ed alle spese e ai danni verso la parte civile, liquidata in 19.200 lire. Inoltre dichiara il non luogo a procedere per il reato di lesioni colpose gravi perché estinto per amnistia.
La Corte d’Appello di Catanzaro, il 10 ottobre 1940, conferma la sentenza di primo grado.
La Corte di Cassazione, il 19 dicembre 1940, rigetta il ricorso del cartolaio e conferma la pena. [1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

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