
Prologo
All’inizio degli anni ’30, in Cirella, frazione del comune di Platì, opera già da tempo un’associazione per delinquere che ha potuto e può spiegare la sua azione nefasta, senza farsi molto notare, perché favorita sia dall’indole mite e paziente dei cittadini, dalle speciali condizioni dell’abitato, che dista circa 12 chilometri dal capoluogo del Comune, e dalla mancanza di strade rotabili verso i paesi vicini. Un paese, quindi, isolato in mezzo a campagne impervie, non vigilate dalla Polizia Giudiziaria. Finalmente, verso la metà del 1932, l’autorità politica si accorge e comincia a preoccuparsi delle anormali condizioni in cui si svolge la vita a Cirella e, siccome il disordine non è a dubitarsi debba attribuirsi alla malavita, notoriamente capeggiata da Ferdinando Polito, nel 1933 decide di porre rimedio al disagio spedendo Polito al soggiorno obbligato nell’isola di Ustica per tre anni. Ma questa sola misura non basta a riportare un po’ di tranquillità nel paese e allora, nel 1934, a Ustica vengono mandati anche Giuseppe Varacalli e Paolo Agostino, componente dell’associazione e conosciuto generalmente come persona assai pericolosa che alla robustezza ed alla aitanza della persona accoppia un animo ardito, un raro spirito di prepotenza, una forte tendenza ad ogni specie di sopruso ed il coraggio necessario per far valere tali qualità.
A Ustica, come taluni sedicenti bene informati raccontano a Cirella, Polito e Agostino litigano e questo, abbinato alla lontananza del capo, rende necessario nominare un nuovo capo dell’associazione. Ma siccome l’autorità politica ha ormai piena consapevolezza che l’associazione esiste e non è disposta a sciogliersi, gli associati pensano che, per tenere l’attività più nascosta possibile, debba essere nominato a capo un uomo nuovo, un uomo non in vista, il quale, non conosciuto per precedenti penali e non sospettato per le sue condizioni economiche e sociali, possa dirigere l’associazione con tutta tranquillità d’animo e con sicurezza del buon esito nelle operazioni da intraprendere. L’unico, a Cirella, che ha tutti i requisiti necessari è Francesco Macrì il quale, non solo apparirebbe per la prima volta nel campo della delinquenza, è persona agiata e all’occorrenza potrebbe, spontaneamente o meno, mettere a disposizione dell’associazione le sue risorse finanziarie per la soddisfazione di qualunque bisogno societario, ma più specialmente pel pagamento di onorari a buoni avvocati, che è il maggior assillo degli associati.
A sostenere con energia la nomina di Macrì sono soprattutto i fratelli Bruno, Rocco e Francescantonio Romeo i quali, consapevoli della loro forza, del loro coraggio, dell’audacia con cui sono pronti ad eseguire le più rischiose operazioni sono, sì, d’accordo a sottomettersi all’autorità di un capo (perché senza di quello l’associazione non potrebbe funzionare), ma pretendono, d’altro canto, come giusto riconoscimento dei loro meriti e della inesauribile energia che apportano al sodalizio, che al comitato da essi formato venga riconosciuta una speciale autorità, che il capo non ne avversi l’azione, anzi ne accolga suggerimenti e consigli e non voglia dominarlo, ma piuttosto considerarlo come un organo a lui indispensabile sia nella formazione dei piani, che nella loro esecuzione, per quanto difficile e pericolosa.
Macrì, che per la sua giovane età fino a questo momento si è mantenuto lontano dai guai, accetta la carica come un onore speciale.
Le finalità dell’associazione
Lo scopo dell’associazione sta nel commettere furti e truffe di ogni specie, ma più particolarmente furti di prodotti agricoli, di animali vaccini, pecorini, caprini, equini; di danneggiare le coltivazioni per monito ai riottosi o punizione ai ribelli; di commettere lesioni personali come avvertimento o castigo, specialmente con sfregio; di uccidere quando la soppressione di un nemico appaia necessaria nell’interesse della collettività; di applicare, quando il caso lo richieda, le sanzioni in uso contro i soci manchevoli e la pena di morte contro i traditori; esercitare influenza e controllo sulla vita pubblica e persino nelle manifestazioni religiose della popolazione, nelle quali interviene per regolarne la solennità e la durata, attraversando l’opera del parroco ed imponendosi sui comitati di fedeli. L’associazione si compone di due sezioni: la MAGGIORE e la MINORE, accogliendo nella prima gli associati più autorevoli, più energici, più operosi e sicuri, cioè il fior fiore della malavita, sotto l’immediata direzione del capo supremo; la seconda, la minore, sotto la direzione di un capo di minor grado, è riservata ai novellini, ai giovanotti, ai soggetti meno attivi e non ancora sperimentati. Il capo supremo tiene un registro, o elenco, dei soci, che viene consultato anche dal capo della minore, che attualmente è Rocco Giovanni Mediati, nel caso in cui abbia bisogno di ricavarne notizie per le riunioni dell’assemblea o per singole operazioni affidate, o da affidare, a singoli associati. Nell’associazione si entra su richiesta dell’interessato o per invito o per chiamata da parte dei dirigenti e talvolta l’ingresso viene posto come condizione alla conclusione di affari economici o anche di matrimoni. Il nuovo socio è obbligato a pagare una tassa in denaro o in derrate e presta giuramento in presenza dell’assemblea, con le solite formalità dei pugnali conficcati nel terreno e delle parole sacramentali. Promette, in specie, di rinnegare gli affetti familiari, posponendo genitori, fratelli, figlioli all’interesse dell’associazione e sottoponendosi, in caso di mancamento, alla pena di morte.
L’assemblea degli associati si aduna di notte in località che vengono, di volta in volta, designate dal capo ed uno o più soci sono incaricati di darne l’avviso ai compagni. Si ventila che l’associazione abbia ramificazioni nei comuni vicini di Platì, Ciminà, Siderno, Oppido, Ardore, ma di ciò non si ha prova sicura.
Paolo Agostino, il “gigante” di Cirella
Delineata la struttura e le finalità dell’associazione, dobbiamo occuparci di Paolo Agostino, meglio conosciuto come “il gigante”, che è la figura intorno alla quale ruota tutta la storia che stiamo raccontando e per farlo è necessario partire da alcuni fatti che potrebbero sembrare non entrarci niente, ma che si dimostreranno di vitale importanza.
Del sodalizio criminoso di Cirella fanno parte anche, tra gli altri, Francesco Polito e Nicola Pollifroni. Polito, giovane intelligente, assai scaltro e tutt’altro che debole e remissivo, è stato invitato a far parte dell’associazione appena agli amici era sembrato maturo. Non avendo somme disponibili giacché la madre, Maria Marvelli, non gli permette di maneggiare danaro, paga la tassa consegnando al contabile ventiquattro bottiglie di olio sottratte al nonno materno. La madre, rimasta vedova, ha sposato in seconde nozze Paolo Agostino, che ha provveduto all’allevamento del figliastro con le stesse cure avute per i suoi figli, tanto più che Agostino non è un nullatenente, avendo ereditato dal padre beni immobili del valore di circa lire centomila. Essendo Agostino uno dei soci più operosi e temibili del sodalizio, è ovvio che abbia favorito l’ingresso del figliastro nell’associazione minore e dopo poco tempo, il capo supremo Ferdinando Polito propone al giovane di dargli in sposa la propria figlia purché Francesco si facesse nominare “camorrista”. Consultato il patrigno ed avutone un divieto, Francesco respinge la proposta.
Nicola Pollifroni, tipo classico di pericoloso malfattore e di traditore spietato e sfacciato, gode intera la fiducia di Paolo Agostino a tal punto che questi, quando deve partire per Ustica, non solo gli dà incarico di amministrargli i beni e trattargli ogni affare, ma lo colloca nel suo stesso posto nell’ambito familiare, sicché Pollifroni comincia ad entrare in intimità sia con il giovane Francesco, ma soprattutto con Maria Marvelli, con la conseguenza di essere oggetto di malignazioni non prive di verosimiglianza, che vengono riferite ad Agostino nel confino di Ustica (naturalmente ad opera di qualcuno dei soci avversi a Pollifroni). Agostino chiede subito informazioni al figliastro ed al proprio fratello Luigi che lo rassicurano, ma Paolo Agostino non è così ingenuo da non capire che la moglie non si sarebbe mostrata indifferente a possibili proposte galanti di Pollifroni, tuttavia non fa trasparire di sospettare che l’amico l’abbia tradito.
La notte del 13 maggio 1934, intanto, il dottor Benedetto Macrì, facoltoso possidente di Cirella, viene derubato di un giovenco del valore di lire seicento e, malgrado le ricerche eseguite, non riesce a scoprire l’autore del furto, certamente da attribuirsi alla malavita. Memore della devozione che per lui ha sempre dimostrato Paolo Agostino e di un rapporto di parentela che corre tra essi, incarica il parente di assumere informazioni tra i confinati a Ustica circa gli autori del furto ed in breve tempo riceve, attraverso Maria Marvelli, una lettera in cui si indicano come ladri del giovenco i tre fratelli Romeo, Marcello Reitano, Rocco Malafarina e Michele Raso. Soddisfatto della notizia e volendo invocare nell’affare la protezione della legge, il dottor Macrì consegna la lettera di Agostino ai Carabinieri i quali, come è doveroso per accertarsi dell’autenticità della lettera, la inviano al comandante la stazione di Ustica. Interrogato, Agostino, come è ovvio, nega di aver mai scritto quella lettera e la denuncia a carico dei nominati non ha corso. Però Agostino scrive al dottore chiedendogli sovvenzioni in denaro per continuare nelle ricerche, ma Macrì nemmeno gli risponde. [1]
Ecco, adesso tutto è pronto per entrare nel vivo della storia, che leggerete nella seconda parte.
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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Locri.
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
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