IL PRODOTTO DEL MIO CONCEPIMENTO

La mattina del 18 aprile 1943, nell’abitato di Grisolia, Giuseppina Papa e Genoveffa Crusco, che non vanno d‘accordo tra di loro, si incontrano, si guardano in cagnesco e Giuseppina sbotta:

Collo storto, che guardi?

Immediatamente scoppia una furiosa baruffa tra le due, ma interviene Giovanni Papa, padre di Giuseppina, che interrompe la lite a modo suo: prima schiaffeggia la figlia e poi colpisce Genoveffa con pugni e schiaffi.

Genoveffa, che è al secondo mese di gravidanza, torna a casa tenendo le mani sulla pancia che comincia a dolerle sempre più forte, tanto forte che è costretta a chiamare la levatrice per farsi visitare. Alla levatrice le condizioni di Genoveffa non piacciono e decide di chiamare il medico condotto per una visita più accurata.

– C’è un aborto in atto – diagnostica crudamente il medico – e il fatto che abbia la febbre a trentotto mi fa supporre che l’aborto non sia spontaneo. E questi lividi come ve li siete fatti?

– Mi ha picchiata Giovanni Papa…

Il medico rilascia un certificato con la diagnosi, che finisce sul tavolo del Maresciallo e parte le denuncia per lesioni personali gravissime e procurato aborto.

Genoveffa viene sottoposta a perizia medica dal dottor Giuseppe Santoro, che conferma nel modo più certo e preciso che Genoveffa, in seguito ai colpi ricevuti da Giovanni Papa, ha riportato una lacerazione al collo dell’utero, causa che ha prodotto l’aborto, tra l’altro in soggetto predisposto facilmente ad abortire e sottoposto a traumatismo generale.

Giovanni Papa viene arrestato e rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

La causa si discute il 10 marzo 1944 e Genoveffa aggiunge particolari che non aveva rivelato durante le indagini:

– Dopo che Papa mi colpì con pugni e schiaffi, mi sentii tutta bagnata… era il sangue che mi usciva dalla vagina. Arrivata a casa rintracciai nella mutandina, già espulso, il prodotto del mio concepimento

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: il fatto riferito in udienza dalla Crusco significa che l’aborto era già avvenuto. Questo fatto, secondo il perito ascoltato nel dibattimento per dare chiarimenti sulla perizia, significa che il travaglio abortivo doveva essere già in atto quando avvenne la lite fra la Crusco ed il Papa perché, onde si possa verificare un aborto al secondo mese di gravidanza, è necessario si abbia un travaglio abortivo di alcune ore ed il perito ebbe così ad escludere che ogni rapporto di causalità potesse riferirsi tra l’aborto e le lesioni che furono attribuite al Papa. Ma prima di accertare se un rapporto di causalità vi sia stato tra le lesioni che la Crusco afferma abbia avuto ad opera del Papa, è necessario accertare se questi ebbe effettivamente a produrre le lesioni di cui si parla. Va anzitutto detto che le lesioni, se vi furono, dovettero essere di così lieve entità che nessuna traccia ne lasciarono sulla persona dell’offesa. La teste Romanelli, che è la levatrice che soccorse la Crusco, afferma che nessuna ecchimosi poté constatare, pur avendo “visitato la donna da capo a piedi”. Ma non può dirsi neppure vi sia prova sufficiente per affermare che il Papa abbia in qualunque modo percosso la Crusco. Le due testimoni che parlano di percosse che la donna avrebbe subito ad opera del Papa affermano di aver visto Papa dare schiaffi e pugni alla Genoveffa Crusco, ma costoro sono la sorella e la cognata della Genoveffa ed è quindi lecito dubitare della veridicità delle loro deposizioni, anche perché nel periodo istruttorio parlarono di calci e pugni, mentre in dibattimento hanno parlato di “caduta per terra”. E di questa caduta, attribuibile al Papa, hanno parlato altri due testi che hanno affermato di aver visto la Genoveffa cadere per terra mentre cercava un sasso da scagliare contro il Papa. Il dubbio viene aggravato in base alla deposizione del teste Mandato, il quale afferma di aver visto il Papa litigare con la Crusco e di averlo fermato impedendogli di malmenare la donna. Lo stesso teste non fa alcun cenno se il Papa avesse o meno percosso la donna.

Quindi Genoveffa avrebbe mentito e, con l’aiuto di sua sorella e sua cognata, avrebbe tratto in inganno la levatrice, due medici, i Carabinieri, il Pretore ed il Giudice Istruttore.

Ma per la Corte è tempo di emettere la sentenza, già ampiamente anticipata.

In base a tali risultati incerti intorno alle lesioni deve pronunziarsi sentenza di assoluzione per insufficienza di prove nel fatto attribuito al Papa. Essendo questi detenuto, devesi ordinare la scarcerazione, se non risulti detenuto per altra causa.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.