CANZONI OSCENE

È la sera del 18 aprile 1927, martedì dopo Pasqua, quando un gruppo di sei o sette giovanotti, dopo aver finito di giocare a carte, esce dalla cantina di Amedeo De Biase in contrada Falerno di San Martino di Finita e si dirige verso la casa di un loro amico, il diciassettenne Vincenzo Cattolico, con l’intento di ballare. Quando bussano alla porta e Vincenzo apre, il diciannovenne Giuseppe Paletta, il capo del gruppo, gli dice:

– Facci entrare ché ci facciamo una cantata e una ballata!

Non è possibile, mio padre sta poco bene

– Allora cantiamo fuori – gli risponde Paletta.

I giovanotti si allontanano di pochi metri fermandosi sulla via e cantano una canzone d’amore, poi Paletta comincia a cantare una canzone cattiva e Vincenzo esce di casa protestando:

– Basta! Non potete fare i vostri comodi, andatevene!

– Invece posso fare i miei comodi perché questa è una strada pubblica! – gli risponde Giuseppe, poi si allontana urlando verso il resto del gruppo – Andiamo tutti a pisciare!

Tra urla e risate il gruppo si allontana, poi torna indietro fermandosi di nuovo vicino la casa di Vincenzo. Giuseppe Paletta tira fuori dalla tasca una cartina, un po’ di tabacco e comincia ad arrotolare una sigaretta. Vincenzo apre la porta, esce con un coltello in mano e da dietro gli vibra un colpo di taglio tra la parte posteriore del collo ed il viso, poi un altro alle spalle.

– Ahi! ‘Ncul’a mammata! – urla, poi scappa, seguito dagli altri.

Vincenzo pulisce il coltello, lo richiude e rientra in casa.

– Che è successo? Chi ha bestemmiato? – gli chiedono i familiari.

Niente, non è successo niente – poi esce e sparisce nel buio.

Sono le undici di sera quando due uomini bussano alla caserma dei Carabinieri di San Martino e avvisano il Maresciallo Cosimo Di Vittorio che circa tre ore prima, in contrada Falerno, Vincenzo Cattolico ha gravemente ferito di coltello Giuseppe Paletta, che ora è degente a letto a casa sua. Il Maresciallo non perde tempo e poco dopo mezzanotte è a casa del ferito, che sta aspettando il medico per essere ricucito, e lo interroga:

Verso le otto di ieri sera, in compagnia di Salvatore Russo, Andrea Sarro, Giuseppe Veltri, Nicola Musacchio e Alibek Musacchio, mi trovavo vicino alla casa colonica di Giovanni Cattolico e tutti in coro abbiamo cantato una canzone, poi smettemmo di cantare per farci una sigaretta ed a noi si unì Vincenzo Cattolico, che si mise alle mie spalle. Mentre stavo arrotolandomi la sigaretta, ad un tratto e senza alcuna ragione, proditoriamente con un coltello prima mi tagliò la faccia e subito dopo mi inferse un colpo alle spalle. Io, rimasto gravemente ferito, cascai di peso per terra e fui subito raccolto dagli altri compagni e portato a casa.

Il Maresciallo fa accompagnare un Carabiniere a casa dei cinque amici per convocarli immediatamente ed interrogarli, ottenendo la conferma di quanto ha dichiarato il ferito. Subito dopo partono le ricerche per trovare Vincenzo Cattolico, che non è a casa, ma viene fuori che il proprietario del fondo tenuto a colonia dal padre di Vincenzo è proprietario di un altro fondo con masseria in contrada Peritano di Lattarico, tenuto in colonia da Francesco Zingone, dove Vincenzo va spesso per ragioni di lavoro ed è solito pernottarvi. Che si sia rifugiato lì? Di Vittorio vuole accertarsene subito e così, malgrado il buio pesto, il terreno impraticabile e la piena del torrente Finita, va sul posto, arrivando poco dopo le cinque di mattina. Francesco Zingone è già fuori e il Maresciallo gli spiega la situazione invitandolo ad aprire un vano a piano terra dell’edificio. Appena entrato, il Maresciallo trova Vincenzo Cattolico che dorme placidamente in compagnia di Pietro Zingone, il figlio del massaro, e Arturo Polidoro.

Svegliati i tre, Zingone e Polidoro devono spiegare come mai si trovano in compagnia di un latitante e dicono:

Verso le nove di ieri sera, nel transitare per la contrada Falerno, facemmo incontro con Cattolico, il quale ci disse che doveva recarsi in contrada Peritano per cercare lavoro o in questa masseria o in quella di proprietà dell’avvocato Bardella e che perciò desiderava accompagnarsi con noi due. Noi aderimmo e proseguimmo tutti e tre insieme fino a qui. Vista l’ora tarda non credemmo di svegliare nessuno e ci ritirammo in questo vano terreno per dormire, come altre volte avevamo fatto.

Dichiarato in arresto, Vincenzo viene perquisito ed in tasca gli viene trovato un coltello a serramanico, poi viene subito interrogato e racconta:

– Confermo quanto Zingone e Polidoro hanno detto, ammetto di aver ferito Paletta e mi trovo qui perché, dopo il fatto, ho pensato di allontanarmi sia per paura di essere arrestato e sia per paura di vendette da parte dei parenti di Paletta.

– Va bene, ma devi dirci come sono andati i fatti.

Paletta con i suoi compagni più volte si portava vicino a casa mia a cantare canzoni di sdegno con parole oscene, come pure ha cantato ieri sera e trovandosi in casa una mia sorella nubile di anni diciotto, quelle canzoni di sdegno erano per me un insulto e nello stesso tempo di scandalo per mia sorella e perciò pensai di vendicarmi del Paletta.

Per il momento può bastare. Vincenzo viene rinchiuso in camera di sicurezza e dopo qualche ora di riposo, il Maresciallo torna dal ferito e lo interroga di nuovo contestandogli la versione di Vincenzo Cattolico.

È vero che più volte ci siamo recati a cantare vicino alla casa di Cattolico perché ricevevamo buona confidenza dalla famiglia, ma non abbiamo mai cantato canzoni sdegnose e con parole oscene.

Gli altri cinque confermano anche questa dichiarazione e per Vincenzo parte la denuncia di tentato omicidio.

Intanto il ferito viene visitato ed il medico ricuce per bene sia la lesione nella regione laterale destra del collo, al principio quasi della nuca, a decorso irregolare, che si avanza per tutta la regione del collo fino al mezzo della guancia, lunga circa 14 centimetri, suturata con 15 punti e sia la lesione nella regione sotto scapolare destra a tre dita traverse dalla colonna vertebrale lunga circa 3 centimetri, suturata con due punti. Tale lesione è certamente penetrante in cavità dato che il ferito ha avuto espettorati sanguigni durati circa cinque ore. Il medico lo giudica in pericolo di vita e ritiene che la ferita al viso causerà sfregio permanente. Se il decorso sarà quello sperato, Giuseppe Paletta guarirà in una ventina di giorni.

Il fascicolo arriva in mano al Pretore e le testimonianze si susseguono per giorni, fornendo particolari che contrastano fortemente con le dichiarazioni del ferito e dei suoi amici. Certo, sul fatto materiale non ci sono dubbi, ma il movente e la dinamica del fatto assumono una luce diversa, fino a che anche un paio di componenti del gruppo fanno ammissioni importanti. Ma andiamo con ordine.

Francesco Trausi abita accanto ai Cattolico e racconta:

Sia il sabato Santo che la sera di Pasqua Paletta si recò con altri giovinastri presso l’abitazione dei Cattolico ed insisté per entrare, dicendo che voleva ballare. Entrambe le sere il padre di Vincenzo Cattolico non volle farli entrare dicendo che stava poco bene ed allora la domenica sera Paletta disse a Vincenzo: “Vai a fare in culo tu e tua sorella!”. Martedì sera la stessa comitiva tornò e non avendo avuto il permesso di entrare, i giovanotti, tra cui Paletta, cominciarono a cantare e quindi, allontanatisi di una ventina di passi, Paletta gridò: “Pisciamo, pisciamo tutti!”. Essendo costoro tornati dinanzi la casa dei Cattolico, Vincenzo colpì con un coltello Paletta e dopo ciò tutti si allontanarono.

Il sedicenne Andrea Sarro, uno del gruppo, ammette:

Dopo che Vincenzo Cattolico ci disse che non era possibile ballare perché suo padre stava poco bene, Paletta chiese il permesso di cantare e dopo avere tutti intonato una canzone d’amore non offensiva, lo stesso Paletta cominciò a cantare una canzone cattiva. Vincenzo Cattolico a ciò si oppose e Paletta, dopo aver detto che poteva fare i suoi comodi perché quella era una strada pubblica, si allontanò gridando: “andiamo tutti a pisciare”. Poco dopo, essendo tornati indietro, mentre Paletta preparava una sigaretta, Cattolico da dietro le spalle lo colpì con un coltello. Paletta, dopo aver profferito una cattiva parola, si allontanò e tutti, quindi, ci avviammo verso le nostre abitazioni.

Poi c’è Anna Maria Trausi che spiega perché Giuseppe Paletta cantò le canzoni oscene, motivo che forse spiega anche il vero movente dell’aggressione:

Il lunedì di Pasqua, cioè il giorno prima che avvenisse il ferimento, essendomi imbattuta in Giuseppe Paletta, questi mi disse che la sera precedente era stato presso i Cattolico per aggiustare il matrimonio della figlia di Cattolico con mio cognato Giuseppe Trausi. Aggiunse che la ragazza non voleva mio cognato e che se fosse stato per lui l’avrebbe portata fratte fratte. Dopo ciò, trovandomi a conversare con i Cattolico, riferii loro, scherzando, quanto mi aveva detto Giuseppe Paletta.

Se fosse così, come tutto lascerebbe pensare, la canzone oscena cantata da Paletta sarebbe stata una sciocca ripicca contro la sorella di Vincenzo.

Se fosse così, ma gli inquirenti non ne sono convinti e l’imputazione contestata a Vincenzo Cattolico è quella di tentato omicidio. Poi il Pretore lo interroga più appronditamente:

Mentre mi trovavo nella mia abitazione venne tal Giuseppe Paletta il quale, dopo avermi chiamato, cominciò, nonostante il mio divieto, ad insistere perché voleva assolutamente entrare nella mia casa per ballare. Avendogli ripetutamente detto che non era possibile dato che mio padre era ammalato a letto, Paletta cominciò a parlare scorrettamente e a rivolgere parole ingiuriose all’indirizzo mio e dei miei familiari. Dalle parole passammo tosto alle vie di fatto ed io, estratto di tasca un coltello a serramanico, gli vibrai alcuni colpi ferendolo, senza intenzione di ucciderlo – una versione in netto contrasto con quella finora accettata come buona dagli inquirenti.

– Paletta sostiene che fosti tu ad invitarlo, in un primo momento, a venire con i suoi compagni a ballare in casa tua…

Non è affatto vero che sia stato io ad invitarlo!

Intanto, per fortuna, Giuseppe Paletta guarisce, ma il suo viso resterà segnato per sempre dalla cicatrice.

Secondo la Procura può bastare così ed il 19 maggio 1927, esattamente un mese dopo il fatto, chiede al Giudice Istruttore di dichiarare chiusa l’istruttoria e di rinviare l’imputato al giudizio del Tribunale Penale di Cosenza, modificando il titolo di reato da tentato omicidio a lesioni volontarie con pericolo di vita e sfregio permanente.

La causa si discute il primo luglio successivo e la Corte, accogliendo la richiesta della difesa tendente alla concessione dell’attenuante della provocazione grave, dichiara Vincenzo Cattolico responsabile del reato ascrittogli e lo condanna a mesi 4 di reclusione, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.