
Alessandro Vattimo, cinquantenne contadino da Spezzano Albanese, ha come vicino di fondo agricolo l’anziano Pietro Gualtieri e nei suoi confronti da più tempo nutre un cupo rancore perché sia in una causa civile per regolamento di confine, che in una causa penale per rimozione di termini di confine, intentate contro di lui da Maria Rosa Cucci, gli ha fatto da testimone contrario, provocando così la duplice soccombenza di Vattimo.
Il guaio è che Alessandro Vattimo non fa mistero del suo rancore contro il povero vecchio e non perde occasione per evocarne in pubblico addirittura la morte.
La mattina del 28 maggio 1935 Pietro Gualtieri va nel suo campo a lavorare e quando arriva si accorge subito che qualcuno, durante la notte, gli ha rubato un po’ delle patate che aveva piantato. Si guarda intorno e vede Alessandro Vattimo intento a zappare, si avvicina e gli dice:
– Hai visto qualcuno aggirarsi nei dintorni? Mi hanno rubato delle patate…
– Ce l’hai forse con me? – gli risponde in tono minaccioso, prendendo come un’accusa nei suoi confronti l’innocente domanda.
– No, perché dovrei avercela con te? Ti ho parlato della cosa perché siamo vicini e ti ho chiesto se hai visto qualcuno nei paraggi, scusa… – gli risponde con molta prudenza e in tono remissivo, poi torna nel suo campo a lavorare, ma il tono di voce usato da Vattimo ed i suoi occhi che sembravano lanciare fiamme lo hanno profondamente turbato e preoccupato.
Quando la sera torna a casa è ancora così scosso che sente il bisogno di informare la nipote Caterina Caruso e gli altri familiari dell’incidente avuto col Vattimo.
È la mattina del 29 maggio. Giuseppe Perri sta zappando nel suo campo. Mentre si ferma un attimo per asciugare il sudore della fronte con un fazzoletto, gli occhi gli vanno verso il fondo di Alessandro Vattimo, distante qualche centinaio di metri dal suo, e vede costui che, pur essendo claudicante di un piede, percorre di corsa il viottolo che dal suo fondo conduce alla strada Nazionale. Alla stessa scena assiste anche un altro contadino, Alfonso Curcio, ma nessuno dei due dà importanza alla cosa.
Dopo un’oretta Giuseppe Perri si ferma di nuovo, prende un mezzo sigaro che ha in tasca e si fruga dappertutto per trovare un fiammifero. Non ne ha e, bestemmiando in silenzio per il tempo che perderà, va a chiederlo al vecchio Gualtieri, che sicuramente è nel suo campo. Arrivato nei pressi della casetta colonica del vecchio si ferma di botto. Il sigaro spento gli cade di bocca e ricomincia a bestemmiare: Pietro Gualtieri è a terra, rannicchiato sul fianco sinistro con le cosce semiflesse sull’addome e le mani quasi aderenti al mento. Le mani sono coperte di sangue, la testa è fracassata e tutto intorno c’è sangue misto a materia cerebrale. Giuseppe Perri si la testa tra le mani e urla con quanto fiato ha in gola. Accorre Alfonso Curcio, che appena vede il cadavere martoriato corre in paese per avvisare i parenti del vecchio ed i Carabinieri, che si precipitano sul posto e, in attesa del Pretore e del medico legale, cominciano a fare i primi rilievi, annotando: una fascina di legna, che tocca quasi le ginocchia del cadavere, è interposta tra il cadavere e la porta d’ingresso della casetta. Presso il battente sinistro della porta, a circa venti centimetri dal muro e parallelamente a questo, vi è un piccolo ceppo con residui di schegge di legno, su cui vi è una scure disposta in posizione parallela al muro, tra questo ed il ceppo predetto, così che la scure si trova a una distanza di circa due metri dal cadavere, interponendosi la fascina ed il ceppo tra questo e la scure stessa.
Quando arrivano il Pretore ed il medico legale, quest’ultimo procede all’ispezione del cadavere e riscontra una ferita lacero contusa alla regione parietale destra, con frattura del tavolato osseo e fuoriuscita di sostanza cerebrale, prodotta da dorso di scure; altra ferita da taglio alla regione parietale sinistra con lesione dell’osso e fuoriuscita di sostanza cerebrale; altra materia cerebrale si riscontra nella regione occipitale, ivi schizzata dalla prima ferita.
– Signor Pretore, la causa della morte, unica ed immediata, è stata l’emorragia endocranica con perdita di sostanza cerebrale ed è così evidente che non è il caso di procedere all’autopsia e straziare ancora di più il corpo di questo povero vecchio…
– Avete ragione, procedo a dare subito l’ordine di rimuovere il cadavere per poter celebrare il funerale.
Intanto il Maresciallo ascolta sia Perri che Curcio ed i due gli raccontano la stranezza della corsa di Vattimo verso la strada Nazionale circa un’ora prima del rinvenimento del cadavere e del rancore di Vattimo nei confronti del vecchio. Siccome due più due fa sempre quattro, i sospetti sull’autore del barbaro omicidio cadono subito su di lui. I Carabinieri lo trovano a casa, lo arrestano e lo interrogano:
– Da tempo nutrivo un fiero rancore contro Gualtieri perché, con false dichiarazioni, mi aveva danneggiato sia nella lite civile avuta con Maria Rosa Cucci, in quella causa ci persi una striscia di terreno, sia nel processo penale per usurpazione di termini intentato contro di me dalla stessa Cucci. Gualtieri, inoltre, nonostante mi avesse fatto tanto male, si permise, il ventotto maggio, di lamentarsi in mia presenza di un furto di patate, facendomi capire che aveva dei sospetti su di me ed io giustamente me ne risentii. Il vecchio ardì minacciarmi con la sua roncola, che mi poggiò anche sul collo. Il mattino del 29 maggio, poi, stavo lavorando nel mio fondo, attiguo al suo, quando sopraggiunse il vecchio con l’asino carico di fascine di legna e non appena mi vide mi minacciò dicendomi “se non ti taglio la testa io, non te la taglia nessuno!”. Io, risentitomi, mi avvicinai a lui pregandolo di finirla perché non ero stato io a rubargli le patate, ma il vecchio, invece di calmarsi, ripetendo sempre la minaccia di volermi tagliare la testa, sollevò da terra la sua scure. Io, vedendo ciò, con un pugno sull’avambraccio gli feci cadere l’arma per terra e poiché il vecchio, nonostante ciò, fece atto di riprendere la scure voltandomi le spalle, io gli assestai con la mia scure due colpi al cranio, facendolo stramazzare a terra cadavere.
In un modo o nell’altro ha confessato, facendo intendere di avere agito per legittima difesa, ma la dinamica dei fatti non è credibile.
Finito l’interrogatorio, Vattimo si rivolge alla Guardia Municipale Francesco Arcuri, presente in qualità di testimone, e gli dice in lingua albanese che è contento di avere ucciso il vecchio perché non poteva più sopportare la sua presenza per quello che gli aveva fatto.
Dai Carabinieri si presenta il barbiere Antonio Rossano, che ha qualcosa di importante da dire:
– Qualche ora dopo dal commesso omicidio, Vattimo si portò nella mia bottega pregandomi di leggergli il contenuto di un atto di citazione fattogli intimare pochi giorni prima da Maria Rosa Cucci, col quale gli chiedeva il pagamento delle spese di giustizia da lei sostenute nel processo penale per rimozione di termini.
C’è la confessione, ripetuta anche davanti al Pretore, ci sono i risultati delle indagini che escludono la legittima difesa e quindi la Procura chiede ed ottiene il rinvio a giudizio dell’imputato davanti alla Corte d’Assise di Castrovillari per rispondere di omicidio premeditato.
La causa si discute l’8 giugno 1936 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: l’imputato, nell’interrogatorio in aula ha confermato il suo interrogatorio scritto e ha ammesso che prima del delitto egli ebbe intimato ben due atti di citazione da parte della Cucci. Date le risultanze processuali non può cadere dubbio che l’imputato abbia commesso la strage del Gualtieri non soltanto in normali condizioni d’intendere e di volere – su cui non è sorta, come non poteva sorgere, questione di sorta – ma anche in esecuzione di un proposito ben determinato, se non anche premeditato, di uccidere la sua vittima. La prova, oltre che dal numero dei colpi, dall’arma adoperata, dall’energia vulnerante con cui i colpi furono inferti e dalla regione estremamente vitale su cui furono diretti, balza fuori evidente dalla causale del delitto, consistente nel cupo ed implacabile rancore che l’imputato nutriva contro il Gualtieri, cui attribuiva la responsabilità di avergli, con la testimonianza pretesamente falsa da costui resa nel duplice giudizio penale e civile intentatogli dalla Cucci, fatto perdere un appezzamento di terreno e cagionato il dispendio non lieve per spese di giustizia. E chi conosce l’avido e tenace attaccamento del contadino alla terra ed al suo gruzzolo, non può dubitarne un solo momento che veramente vivo ed intenso dovesse essere l’odio del Vattimo contro il Gualtieri, se questo colava come bitume dal suo animo al punto che prima del delitto egli non ne fece mistero alcuno e, dopo, si peritò di esprimere alla Guardia Francesco Arcuri la sua soddisfazione di avere ucciso Gualtieri.
Ora la Corte esamina se sussista o meno l’aggravante della premeditazione e osserva: in perfetta conformità alla tesi sostenuta dal Pubblico Ministero, ritiene che nella specie non concorra l’aggravante della premeditazione perché nulla dal processo e dal dibattimento è emerso che valesse a dimostrare in modo certo e tranquillante che l’imputato avesse da più tempo formato il disegno di sopprimere il Gualtieri e su tal disegno avesse riflettuto, preformandone i mezzi e restando in attesa dell’occasione per attuarlo. Al contrario non si può escludere, ma tutto anzi induce a ritenere che avendo egli il giorno innanzi avuto intimato il secondo atto di citazione per il rimborso delle spese di giustizia alla Cucci, siasi di ciò risentito col vecchio, provocando così una disputa durante la quale, in un improvviso e più intenso rigurgito d’odio, egli precipitò nell’azione omicida. La Corte non esita un sol momento a ritenere del tutto immaginaria e pretestuosa la versione esposta a sua difesa dall’imputato, secondo cui egli avrebbe inferto i colpi di scure al vecchio dopo reiterati atti di minaccia fattigli da costui e dopo avergli fatto cadere la scure che il Gualtieri avrebbe tentato di brandire contro di lui. A prescindere che non è credibile che il vecchio e debole Gualtieri possa essersi permessa tanta audacia contro un uomo forte e prestante come è l’imputato, la sua versione è smentita dalla posizione in cui fu trovato il cadavere in relazione al posto ove fu rinvenuta la scure del Gualtieri, cioè a circa due metri di distanza dall’ucciso.
Accertata la responsabilità dell’imputato ed esclusa la premeditazione, non resta che determinare la pena da infliggere ad Alessandro Vattimo. La Corte stima giusto ed equo fissarla nel minimo di anni 21, con riguardo all’incensurata condotta tenuta in tutto il corso della sua vita dall’imputato, che è quasi cinquantenne. Oltre alla reclusione ci sono le spese, i danni e le pene accessorie.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.