FRATELLI CONTRO

Salvatore Ippolito e Rosaria Crocco abitano con i loro due bambini in una casetta di proprietà del padre di lui, composta da una sola stanza e sita in contrada Serralonga del comune di Luzzi. Adiacente al piccolo fabbricato c’è una piccola stalla dove vengono custoditi pochi animali ed in cui talvolta, quando il lavoro nel podere di proprietà del padre lo richiede, dorme Benedetto, il fratello di Salvatore. La notte tra il 22 ed il 23 agosto 1929, una notte di luna piena, Benedetto dorme nella stalla ma verso le quattro del mattino si sveglia infreddolito, così esce e va a bussare a casa del fratello.

– Chi è? – chiede Salvatore con la voce impastata dal sonno.

– Benedetto, apri ché fa freddo.

Salvatore sveglia la moglie e le dice di andare ad aprire e accendere il fuoco, mentre lui rimane a letto, come fa da due o tre anni a causa di una pleurite che gli impedisce persino di lavorare. Rosaria indossa frettolosamente la gonna e la camicetta, poi apre e quindi accende il fuoco. Benedetto entra, si siede al focolare e allunga le mani verso la piccola fiamma per riscaldarsele, mentre Rosaria gli taglia due fette di pane.

Sono ormai le quattro e mezza quando Rosaria dice al marito:

– Visto che siamo già alzati e fuori c’è la luna, forse è meglio se andiamo a piantare i cavoli così ci troviamo un lavoro fatto.

– Hai ragione, andate – le risponde Salvatore. Rosaria e Benedetto, presi gli attrezzi necessari, vanno nel campo già preparato allo scopo, distante una trentina di passi dalla casa.

– Rosì… Rosì… – Benedetto chiama la cognata sottovoce.

– Che c’è? – gli risponde con tono normale, mentre è piegata per interrare una piantina di cavolo, ma invece di sentire la voce del cognato, sente le sue mani che le accarezzano il fondoschiena, e poi la voce roca di Benedetto:

– Ti voglio fottere Rosì…

Rosina si ritrae di scatto ed i suoi occhi si accendono di rabbia.

Statti quietu sinnò chiamu a Sarvature! – adesso il suo tono di voce è alto.

Salvatore è a letto sveglio e sente la voce della moglie. Si alza e apre piano la porta, giusto in tempo per sentire suo fratello che, con un filo di voce, dice a Rosina:

Statti cittu! Statti cittu sinnò ti mintu nu jinuacchiu supa a panza e te fazzu èscere u figliu ca tiani ‘ntra trippa!

Poi silenzio. Salvatore esce davanti casa e fa per andare verso il campo dove sono Rosaria e Benedetto, poi ci ripensa, torna a casa e si rimette a letto. Verso le sei si alza e si siede su una seggiola in attesa che la moglie rientri.

Verso le sette. La porta di casa si apre ed entra Rosaria. Salvatore la guarda e le dice:

Mi sono accorto che mi hai tradito con mio fratello, vattene da questa casa perché non ne sei degna!

– Non è vero! – urla Rosaria mentre comincia a piangere – mi ha fatto delle proposte, ma non è successo niente!

– E perché appena sei tornata non mi hai detto quello che ti è capitato?

Non ti ho detto niente per paura che reagissi contro tuo fratello! – urla con la voce rotta dal pianto.

Mentre marito e moglie litigano in casa e i loro due bambini piangono impauriti, arrivano Angelina e Giuseppina, le due sorelle adolescenti di Salvatore, con Benedetto che le segue, e sentono distintamente tutto, anche l’ultima parola che Salvatore dice alla moglie:

– Vattene!

Angelina entra e vede il fratello in piedi in mezzo alla stanza, Rosaria che piange in silenzio rannicchiata in un angolo e i bambini sul letto che piangono anche loro:

– Ma che sta succedendo?

Mi vuole cacciare di casa perché dice che Benedetto mi ha posseduta! – risponde Rosaria indicando la porta. Angelina e Salvatore si girano verso la porta e vedono, un passo dentro casa, Benedetto.

Luardu! Hai pure il coraggio di venire in casa mia? – gli dice Salvatore.

Chi cazzu vù?

Salvatore non ci vede più, sbuffa, allunga un braccio e prende il fucile appeso al muro. Angelina capisce che sta per sparare e si butta su Benedetto per toglierlo dalla linea di tiro, ma riesce solo a poggiarli una mano sulla spalla sinistra perché il colpo è partito e la rosa di pallini, ancora chiusa per la breve distanza, centra Benedetto alla mammella sinistra facendolo cadere bocconi ai suoi piedi. Angelina urla sia per la scena di sangue, sia per il dolore che uno dei pallini, staccatosi dalla rosa, le ha colpito il pollice della mano sinistra, asportandole l’unghia.

Benedetto, seppure boccheggiante, riesce a rialzarsi ed a fare due passi verso la porta, poi si gira su sé stesso e cade a terra supino, proprio nel momento in cui in casa entra Natale, il fratello maggiore degli Ippolito, che ha sentito lo sparo ed è accorso per vedere cosa è successo. Vede Benedetto a terra, si china su di lui e ne sente la flebile voce che gli sussurra:

Dì a Rosina che mi perdonasse perché la colp… – poi muore senza terminare la frase, mentre Rosaria, temendo di essere il prossimo bersaglio del marito, approfitta della confusione e scappa. Salvatore la vede ma ha un problema: il suo fucile è ad una canna sola ed ora è scarico, così prende un’accetta e le corre dietro, ma la moglie è già distante e lui per il fiato che gli manca a causa della pleurite non ce la fa a starle dietro e desiste. Rosaria, per fortuna, si salva ed a questo punto anche Salvatore pensa che sia il caso di allontanarsi e si dilegua.

Avvisati, i Carabinieri della stazione di Luzzi arrivano sul posto nel primo pomeriggio ed il Maresciallo Capo Attilio Sabato comincia ad indagare interrogando i presenti. La prima a rispondere è, ovviamente, Rosina:

Al chiaro della luna mi ero portata poco distante da casa mia insieme a mio cognato Benedetto per piantare alcuni cavoli. Appena giunti sul posto mio cognato mi rivolse la parola e poscia si avvicinò mettendomi le mani addosso, evidentemente per tentare di possedermi. Avvenne una colluttazione perché io ebbi la forza di resistere ma mi scappò qualche parola piuttosto ad alta voce e probabilmente mi intese mio marito, che era rimasto a letto con i nostri figliuoli. Vedendo la mia resistenza, mio cognato mi lasciò, allontanandosi, in modo che io potei, sicura, continuare a lavorare. Finito il lavoro, a giorno chiaro rincasai ed allora mio marito mi invitò ad andare via subito di casa, dicendomi che non ero più degna di lui per quello che era avvenuto con mio cognato. Piangendo gli raccontai la verità, assicurandolo che suo fratello non aveva fatto nulla di serio, ma egli, indignato, insisté all’invito dandosi a gridare contro di me. Accorse subito mia cognata Angelina, seguita da Benedetto, al quale mio marito disse: “hai ancora coraggio di venire in casa mia?” e così dicendo prese il fucile che era al muro ed esplose contro il fratello un colpo, rendendolo cadavere.

– Ma voi due ve la intendevate da prima? – insinua il Maresciallo.

Escludo nel modo più assoluto che fra me e mio cognato vi fosse stata precedente tresca, ma stamattina è stata la prima volta che egli mi attentò!

Poi è la volta della sedicenne Angelina:

Intesi che mio fratello Salvatore rimproverava la moglie. Anche Benedetto avvertì il rimprovero ed allora io mi portai in casa, constatando che mia cognata piangeva, mentre Salvatore era eccitato, ma si era azzittito. Nessuna risposta ebbi alle domande rivolte per sapere cosa avessero. Poi sopraggiunse Benedetto e Salvatore lo investì rimproverandolo, ma non capii a che cosa volesse riferirsi. Vi fu un brevissimo scambio di parole tra i due, quando d’improvviso Salvatore prese il fucile dal muro esplodendo un colpo contro Benedetto il quale, barcollando, cercò di fuggire, ma appena sulla porta di casa si abbatté suolo, spirando quasi immediatamente.

– Quella ferita al dito come te la sei fatta?

All’atto di Salvatore di prendere il fucile ebbi paura e cercai di afferrare Benedetto per allontanarlo, ma non feci in tempo e rimasi ferita

– Ma Salvatore e Benedetto andavano d’accordo o avevano dei rancori reciproci?

Prima di stamattina erano in ottimi rapporti ed era manifesto il bene che si volevano.

C’è una vicina, Giuseppina Gencarelli, che ha qualcosa da dire:

Trovandomi in casa, udii piangere verso la casa di Salvatore Ippolito e dopo aver avvertito la madre di costui mi diressi anch’io verso quella volta. Subito dopo incontrai Salvatore, che mi disse che andava a costituirsi a Cosenza perché aveva ucciso il fratello Benedetto. Domandatogli il perché lo avesse ucciso, mi raccontò che aveva fatto ciò per difendere il suo onore, essendosi accorto che Benedetto cercava di possedere sua moglie.

Per il momento il Maresciallo Sabato ha terminato e, disposto il piantonamento del cadavere in attesa dell’arrivo del Pretore e del medico legale, torna in caserma per stilare il primo verbale. Appena giunto, il piantone gli consegna un telegramma spedito dai colleghi di Cosenza che lo informano della costituzione di Salvatore Crocco, accompagnato da un parente.

A Cosenza il fratricida viene interrogato dal Maresciallo Maggiore Michele Pelaia e racconta:

Da circa tre anni sono affetto da pleurite e quindi sono nell’impossibilità di lavorare e vivo a spese di mio padre che possiede un pezzo di terreno non ancora diviso ai figli. Abito in una casa sita nella proprietà e separata da quella abitata dal resto della famiglia da una valle. Ho per moglie Crocco Rosaria di anni 24, con la quale ho procreato due figli.

– Va bene, ma ora ditemi cosa è accaduto.

Verso le ore quattro di stamane mio fratello Benedetto si alzò e venne a chiamare me perché, a suo dire, sentiva freddo. Feci alzare mia moglie la quale, dopo avergli aperto la porta, accese il fuoco al camino e così mio fratello poté riscaldarsi. Erano le quattro e mezza quando mia moglie mi chiese se poteva andare a piantare dei cavoli in un pezzo di terreno distante da casa appena pochi passi. Io acconsentii e mia moglie e mio fratello andarono per fare detta piantaggione. Dopo due o tre minuti che erano usciti, intesi mia moglie chiamarmi ad alta voce, al che mi alzai nudo con le sole scarpe ed aperta la porta sentii mia moglie dire queste testuali parole: “Statti quietu sinnò chiamu a Sarvature!”. Poi udii mio fratello dirle: “Statti cittu! Statti cittu sinnò ti mintu nu jinuacchiu supa a panza e te fazzu èscere u figliu ca tiani ‘ntra trippa!”. Mi sono mosso verso mio fratello e udii che mia moglie piangeva. Me ne sono ritornato a casa senza curarmi di altro e mi sono rimesso a letto, ove stiedi sino alle sei circa. Poi mi sono alzato e mi sono messo a sedere in attesa che mia moglie si restituisse. Ritornò e non mi rivolse parola su quanto le era accaduto, anzi parlammo di altro e cioè dei nostri piccoli che dopo la sua assenza non avevano più dormito. Dopo circa mezz’ora venne mio fratello Benedetto, il quale si curò di far pascolare alcune pecore. Successivamente vennero le mie sorelle Angelina e Giuseppina, le quali entrarono in casa trattenendosi pochi minuti, essendo state incaricate da mio padre di preparare un’aia con mio fratello, che si accompagnò a loro. Essendo rimasto solo con mia moglie, le ingiunsi di allontanarsi subito da casa poiché mi ero accorto che mi aveva tradito con mio fratello. Mia moglie mi chiese perdono dicendomi che Benedetto l’aveva presa di forza e che ella aveva gridato invocando il mio aiuto. La rimproverai perché subito dopo essere ritornata a casa non mi aveva detto quanto le era capitato ed essa si giustificò dicendomi che non aveva fatto ciò per paura che io avessi reagito contro mio fratello. Al suo pianto accorse Angelina ed anche Benedetto e tutti sono entrati in casa mia per sapere perché mia moglie piangeva. Mia moglie disse loro che io la volevo cacciare di casa perché Benedetto l’aveva posseduta. A questo punto io mi rivolsi verso Benedetto, che stava poco lungi dalla porta e gli dissi “Luardu! Hai pure il coraggio di venire in casa mia?”. Egli mi rispose con frase sgarbata muovendosi in atto minaccioso verso di me. Senza perdere tempo imbracciai il fucile che era appeso al muro e gli esplosi contro, quasi a bruciapelo, un colpo che lo fece cadere bocconi ai miei piedi. Benedetto ebbe la forza di rialzarsi e, fatti pochi due passi verso la porta, cadde supino mentre dalla bocca gli veniva fuori della spuma rossa. Mia moglie scappò di casa ed io non sono stato capace di raggiungerla pur chiamandola ripetutamente perché le volevo parlare. Visto che non avevo potuto raggiungere mia moglie, mi diressi verso l’abitazione di mio cugino Carmine Ippolito e lo pregai che mi accompagnasse a Cosenza per costituirmi

– Perché vostro fratello si trovava davanti casa vostra alle quattro di mattina?

Era solito dormire nella stalla attigua alla mia abitazione quando, per ragioni di lavoro, si attardava nella parte di terreno antistante casa mia.

– Avete detto di avere sentito vostra moglie che vi chiamava e di essere uscito. Poi mentre stavate andando verso di lei e vostro fratello, siete tornato indietro, quasi indifferente. Perché? Avreste potuto farvi sentire e adesso non saremmo qui …

Mi sono alzato e sono corso fuori, ma non volli chiamare perché mi ero deciso a subire con rassegnazione il tradimento che in quel momento constatavo

Una ricostruzione dei fatti in stridente contraddizione, almeno nella ricostruzione della scena delittuosa, con quelle di sua moglie e sua sorella. Ma probabilmente Salvatore, forse consigliato, anziché puntare sul motivo d’onore e scontare una breve condanna, punta sulla non punibilità parlando implicitamente di legittima difesa. Vedremo.

Dopo qualche giorno, interrogata dal Giudice Istruttore, Angelina modifica la deposizione resa al Maresciallo Sabato e adesso dice:

Benedetto entrò e domandò cosa stava succedendo e Salvatore gli disse “hai pure la faccia di parlare?” Benedetto rispose “che cazzo vuoi?” e fece per andargli incontro, ma Salvatore corse al muro ove era il fucile, lo staccò mentre Benedetto lo seguiva sempre. Io, intuendo una tragedia, cercai di avvicinarmi a Salvatore per trattenerlo, ma non feci a tempo perché egli puntò il fucile contro il fratello e sparò quasi a bruciapelo. Benedetto stramazzò al suolo, ma riuscì a rialzarsi, fece un paio di passi e stramazzò di nuovo spirando. Salvatore prese un’accetta e inseguì la moglie che era scappata, ma quando vide che non poté raggiungerla, gettò l’accetta e scappò.

Anche Rosaria modifica le parole dette al Maresciallo:

– Benedetto mi buttò a terra, mi alzò la veste ed estrasse il suo membro, ma io non gli feci nulla combinare, dimodoché egli consumò tra le mie gambe. Quando tornai a casa non dissi nulla a mio marito per paura di qualche tragedia, ma egli mi fece comprendere che aveva visto ed io allora gli confessai ogni cosa. Quando Benedetto entrò in casa nostra e chiese cosa stava succedendo, mio marito gli disse “hai pure il coraggio di comparirmi davanti?” e Benedetto gli rispose “che cazzo vuoi?”, poi fece per avvicinarsi a Salvatore. Mio marito, infuriato, corse al muro e staccò il fucile mentre l’altro lo seguiva. Si voltò col fucile in mano, lo spianò contro il fratello e sparò. A quella vista io scappai. Dopo poco vidi che mio marito mi veniva appresso, ma non vidi se avesse in mano la scure. Dopo non lo vidi più.

Beh, adesso le tre versioni coincidono quasi integralmente, ma c’è sempre un fratricidio di mezzo e la Procura chiede ed ottiene, il 22 gennaio 1930, il rinvio a giudizio di Salvatore Ippolito davanti alla Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario in persona del fratello e lesioni in persona della sorella.

La causa si discute il 21 novembre 1930 a porte chiuse, vista la delicatezza dell’argomento che potrebbe essere di nocumento alla pubblica morale. È tutto velocissimo ed a fine giornata la Corte prende la sua decisione: Salvatore Ippolito ha ucciso volontariamente suo fratello Benedetto nell’atto di sorprendere la propria moglie in flagrante adulterio con l’ucciso. Amen.

In merito alla pena, la Corte ritiene equo infliggere la reclusione per anni 2, mesi 2 e giorni 20, di cui un anno condonato per effetto del R.D. 1 gennaio 1930 ed ordina che Salvatore Ippolito venga immediatamente scarcerato, se non detenuto per altra causa.[1]

 

[1] Ascs, Processi Penali.