RE DI COPPE

Sono circa le 19,00 del 4 luglio 1889 quando il falegname Antonio Cersosimo, chiusa la bottega, incontra il ventiduenne calderaio Gennaro Oliva, che lo invita a bere in compagnia un mezzo litro di vino nella cantina di Giuseppe Laino ad Orsomarso. Antonio accetta e, terminato il mezzo litro dopo circa un’ora, escono. Antonio esce per primo e comincia a camminare, mentre Gennaro si attarda per pochi secondi a salutare. Fatti pochi passi, Antonio sente esclamare: “Ah! Perlamadonna!”. Istintivamente si gira e vede Beniamino Brancati che tenendo stretto in pugno un coltello, forse un pugnale, sta per colpire Gennaro, mentre una donna, la madre di Brancati, gli trattiene il braccio e gli fa andare il colpo a vuoto.

Antonio non perde tempo e corre verso i due per evitare altri colpi, urlando per chiedere aiuto. In questi stessi istanti Beniamino Brancati e sua madre si allontanano, lasciando Gennaro Oliva che barcolla mentre si tiene la mano sinistra sulla spalla destra e dice:

Mamma mia! Sono morto, mi ha ucciso! – Intanto sul posto sono arrivate altre persone attirate dalle grida e Gennaro continua – Giustizia voglioBeniamino Brancati mi ha tagliato l’arteriasono morto

L’impressione ricevuta da queste parole è così forte che Antonio Cersosimo e gli altri presenti decidono di portare il ferito dal dottor Luigi Laino, sperando che possa salvarlo, ma fatti una quarantina di metri il poveretto cade a terra perdendo sangue. Allora Cersosimo lo lascia alle cure dei suoi compaesani e corre a chiamare il medico, che visita il ferito in mezzo alla strada e, scuotendo la testa, dice:

Non gli restano che pochi istanti

Non possono farlo morire in mezzo alla strada, così lo prendono e si avviano più in fretta che possono verso la casa del moribondo, ma non fanno in tempo e Gennaro Oliva esala il suo ultimo respiro in braccio ai soccorritori. A questo punto Antonio Cersosimo corre dal Sindaco per fare arrestare l’omicida, che si è barricato in casa temendo la vendetta dei parenti del morto. Ma prima che il Sindaco arrivi sul posto con la guardia municipale, il dottor Laino, fratello del Sindaco, ferma due militari in licenza, Francesco Giannotti e Pasquale Arleo, che, ignari di tutto, stanno passando da lì e ordina loro:

Venite con me soldati, ché dobbiamo eseguire un arresto! – giunti davanti alla casa di Brancati, il dottor Laino si ferma, la indica ai due soldati e dice – è qui la persona da arrestare.

Il soldato Giannotti bussa alla porta ma nessuno apre e questa storia va avanti per almeno cinque minuti finché, udite le intimazioni di giustizia di aprire immediatamente se non vogliono che sfondino la porta, la porta si apre. Penetrati nei locali a piano terra, con circospezione i due soldati rovistano a fondo il locale ma non trovano il ricercato, poi vedono una scala di legno che sale al piano superiore e per questa si avviano. Giunti sopra un abbaino, sulle prime nulla scorgono ma poi, avendo osservato un forno da pane ivi esistente, Giannotti guarda dentro la buca e vede un individuo nascosto, che non si muove.

– Esci da lì!

Nessuna risposta e nessun movimento. Giannotti e Arleo tentano ancora di farlo venire fuori e poi, visto che con le buone non c’è niente da fare, lo costringono ad uscire con le maniere forti. Lo riconoscono, è Beniamino Brancati, lo arrestano, lo legano e lo portano alla casa comunale, dove lo piantonano fino al mattino successivo, quando arrivano i Carabinieri di Verbicaro ed il Pretore. Anche da Belvedere arriva una pattuglia di Carabinieri e adesso per Brancati è arrivato il momento di raccontare la sua versione dei fatti, cominciando da quanto sarebbe avvenuto circa una settimana prima:

La notte del ventotto giugno verso le ore dieci, assai ubriaco, io transitavo sulla pubblica via in Santa Croce di questo comune assieme al mio amico Francescantonio Celestino e passammo d’innanzi alla casa di Gennaro Oliva. Il mio compagno, non so per qual motivo, diede un colpo al cappello di costui, gittandoglielo a terra. Oliva si offese con me e voleva che gli raccattassi il cappello, ma siccome mi rifiuti saltommi addosso e mi picchiò ripetutamente mettendomi i ginocchi sullo stomaco… soffrii gran dolore… accorsero varie persone che mi liberarono e subito mi ritirai a casa tutto indolenzito. Dopo questo fatto, tutti in paese mi schernivano e dicevano che Oliva mi avrebbe dato delle altre picchiate; io, un poco risentito sia per le busse toccate e sia per l’onta che me ne derivava, risposi a vari conterrazzani “chissà che anche Oliva non mi possa venir fra le mani e che mi riesca possibile ricambiare i colpi ricevuti!”. Dopo ciò più non pensai al successo. Ieri sera, verso le otto pomeridiane, ritornai dal lavoro e mi sedetti sui gradini della mia casa in via Balzanella, proprio vicino alla cantina; udii la voce di Gennaro Oliva che stando nel locale diceva “buonasera”. Mi balzò alla mente l’offesa patita e, preso dall’ira, estrassi di tasca un coltello foggiato a stile, che stava entro un fodero di pelle. In quel punto uscì dalla cantina Antonio Cersosimo e dietro di lui Oliva. Io balzai addosso a quest’ultimo e gl’infersi una pugnalata e dopo mi ritirai a casa ed ivi mi chiusi senza osare di muovermi perché i parenti di Oliva volevano vendicarsi ed armati rumoreggiavano d’innanzi alla mia casa. Dopo circa mezz’ora arrivò il medico Luigi Laino con due soldati e mi trassero in arresto

– Secondo i testimoni presenti al fatto ti ha trattenuto tua madre mentre stavi tirando un secondo colpo e poi ti ha trascinato via.

Non mi ricordo, ma nemmeno nego, di aver tentato di vibrare altri colpi, oltre a quello che fu causa della sua morte, e nemmeno d’esser stato trattenuto da mia madre

– Sempre i testimoni asseriscono che ti eri appostato aspettando che Oliva uscisse per ucciderlo.

Nego di avere atteso in agguato Oliva, confesso invece di averlo colpito per desiderio di vendetta, non però coll’intenzione di ucciderlo.

– Dove hai nascosto l’arma? In casa i Carabinieri non l’hanno trovata.

La nascosi sotto un cassone in casa mia e se ivi non fu ritrovata, reputo che forse qualcuna delle persone accorse all’atto del mio arresto se l’abbia presa

Quindi, secondo Brancati, tutto sarebbe cominciato la sera del 28 giugno, quando Oliva se la prese con lui per uno scherzo fattogli da Francescantonio Celestino e lo picchiò ingiustamente. Se così fosse, potrebbe configurarsi lo stato d’ira per fatto ingiusto altrui e la responsabilità dell’imputato sarebbe attenuata. Bisogna indagare a fondo. Tutti i testimoni oculari ascoltati raccontano la stessa versione, riassunta da Brigadiere Beniamino De Nofrio, comandante la stazione di Verbicaro, nel verbale che spedisce al magistrato competente: Verso le ore 9 pom. del giorno 27 o 28 giugno, Brancati Beniamino, calzolaio d’anni 18 da Orsomarso, in compagnia del suo compaesano Francescantonio Celestino si trovò a passare dinanzi la casa di Gennaro Oliva ed avendo trovato a questi seduto ivi vicino, lo ingiuriò chiamandolo “Re di Coppe” e nel contempo gli gettò a terra il cappello. L’Oliva si offese e, venuto a diverbio col Brancati, lo percosse con pugni e calci, poscia entrambi furono divisi con pugni e calci dai testi Grimone Michele e Grimone Angelo. Il Brancati, mentre ritiravasi a casa, disse che se ne sarebbe vendicato col sangue e ciò lo provano i testi Forestieri Carmela e Celestino Francescantonio.

Le cose si complicano per Brancati perché adesso si configura la premeditazione del delitto e c’è poco da scherzare anche perché i risultati dell’esame autoptico rivelano la violenza del colpo inferto sulla vittima, che ha reciso la vena e l’arteria succlavia destra e precisamente nel punto dove quest’ultima prende il nome di ascellare, largamente leso la pleura e il lobo superiore del polmone destro. L’individuo, alla ferita che abbiamo sopra descritta, ha sopravissuto per circa dieci minuti.

Ma c’è un aspetto ancora più terribile in questo delitto assurdo e lo illustra Domenico Oliva, il padre della vittima, appositamente arrivato da Marsiglia, dove è emigrato e ha messo su famiglia dopo essere rimesto vedovo:

Anche il mio disgraziato figlio risiedette in Marsiglia tempo assai. Ultimamente, purtroppo, egli venne al paese natio per condurre con sé una donna, certa Mariafrancesca Calvano, che aveva sposato solo col rito religioso, non potendo avere l’autorizzazione del padre che è in America. La Calvano non voleva seguirlo in paese straniero ed è per questo che Gennaro si soffermò in Orsomarso, sperando indurla a partire e questo indugio purtroppo gli costò la vita

Ormai è tutto chiaro ed è tempo, per la Procura, di chiedere il rinvio a giudizio di Beniamino Brancati con l’accusa di assassinio per premeditazione ed agguato. Il 31 ottobre 1889 la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta e la causa sarà discussa nelle aule della Corte d’Assise di Cosenza il 20 dicembre successivo.

Il giorno dopo, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, la Corte osserva: il fatto, come sopra ritenuto, costituisce il reato di assassinio punibile di morte, se non che, dovendosi per le ammesse attenuanti (generiche. Nda) discendere di un grado, la pena da infliggere al Brancati sarebbe quella dei lavori forzati a vita. Poiché per la testuale disposizione dell’art. 30 Codice Penale al maggiore di anni 14 e minore di 18 che sia incorso nella pena dei lavori forzati a vita, deve questa pena essere commutata nell’altra di anni 10 di reclusione, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie [Il codice penale all’epoca in vigore era il codice sabaudo, cioè il codice penale del Regno di Sardegna, promulgato dal re Carlo Alberto di Savoia il 26 ottobre 1839 ed entrato in vigore il 15 gennaio 1840. Il testo fu poi modificato nel 1859 da Vittorio Emanuele II e rimase in vigore, con alcuni limiti territoriali, anche nel neonato Regno d’Italia fino al 31 dicembre 1889, sostituito dal primo gennaio1890 dal codice penale italiano, il cosiddetto Codice Zanardelli, nda].

Il 13 giugno 1893 la sezione d’Accusa della Corte d’Appello delle Calabrie, in esecuzione del Reale Decreto di Amnistia del 22 aprile 1893, pronunziando sul conto di Brancati Beniamino, ha pronunziato la declaratoria di ammissione al godimento dell’indulto ed allo effetto ha dichiarato diminuita di 3 mesi la pena.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.