IL PARCHEGGIO DELL’ASINO

Sono le otto di sera del 20 aprile 1932 quando Francesco Cesareo e Bonifacio Russo, transitando per la via Santa Sofia a Paludi, vedono un asino che, legato vicino alla porta di casa di Vittoria Madeo, impedisce il loro passaggio. Mentre cercano di far spostare l’animale si avvicina Rosa Gloriosa e Cesareo, in tono scherzoso, dice:

Chi sa cosa dirà se lo cavalchiamo!

– Ma lasciate in pace quella povera bestia! – li rimprovera la donna.

In questo frattempo dalla casa di Vittoria Madeo esce Salvatore Spataro, il proprietario dell’asino lasciato lì mentre è andato a far visita alla sua fidanzata, il quale, senza pronunciare una parola, improvvisamente si avventa contro Cesareo, tempestandolo di calci e pugni. Cesareo, ripresosi dalla sorpresa, reagisce afferrando l’avversario per il petto e, colluttando, lo trascina a terra, sul pianerottolo della casa. Ad un certo momento, Spataro estrae una rivoltella e spara un colpo contro Cesareo, che gli fora la mantellina e termina la sua corsa penetrando nel secondo spazio intercostale destro di Francesco Russo, che si trova dietro le spalle del suo amico, accorso per dividere i litiganti. Russo frana a terra senza un lamento e, rotolando in un vano sottostante al pianerottolo, muore dopo pochi secondi per l’imponente emorragia che il proiettile gli ha causato, ledendo la pleura, il pericardio, il lobo superiore del polmone sinistro ed i relativi vasi sanguigni.

Intanto Cesareo, ignaro dell’infelice sorte toccata al suo amico, continua la lotta con Spataro, riuscendo a dargli un morso sul viso e ad afferrargli il braccio destro per impedirgli di continuare a sparare. Attirate dalle urla e dalla detonazione accorrono alcune donne che riescono a disarmare Spataro e a condurlo in una casa vicina. Cesareo, ormai al sicuro da ogni pericolo, se ne va, lasciando sul posto il cadavere di Bonifacio Russo, che nessuno ha notato per il buio fitto.

Quando il giorno dopo il cadavere viene trovato, Spataro viene arrestato e, attraverso il racconto dei testimoni, incriminato di omicidio volontario in persona di Bonifacio Russo e tentato omicidio in persona di Francesco Cesareo, entrambi i reati aggravati dai futili motivi.

– Mi sono visto perso… Cesareo mi aveva messo sotto e credevo che mi avrebbe ucciso, così ho messo mano alla rivoltella e ho sparato, non so come, ma è rimasto colpito l’altro…

C’è poco da approfondire per gli inquirenti. Il 20 luglio 1932 il Giudice Istruttore ne dispone il rinvio a giudizio davanti la Corte d’Assise di Rossano e la causa viene messa a ruolo per il 25 marzo 1933.

Spataro ripete la sua versione dei fatti, ma la Corte non crede che si tratti di un caso di legittima difesa, piuttosto ritiene più opportuno parlare di omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi e riconosce che il colpo esploso contro Francesco Cesareo non costituisce un tentato omicidio, ma piuttosto una tentata lesione con arma e lo condanna complessivamente ad anni 24 di reclusione, dichiarando condonati anni 5 della pena.

La difesa non ci sta e ricorre per Cassazione, ritenendo che nella sentenza ci siano diverse violazioni di legge e principalmente il fatto che, avendo l’azione del suo assistito prodotto un evento diverso da quello voluto, cioè la morte di Russo anziché la lesione a Cesareo, la Corte avrebbe dovuto applicare la figura dell’omicidio colposo e, conseguentemente, dichiarare il reato estinto per amnistia. Ma, continua la difesa, affermata dalla Corte la responsabilità di Spataro per omicidio preterintenzionale, essendo la causale del delitto non proporzionata rispetto ad un omicidio volontario, il reato non poteva considerarsi futile trattandosi di un fatto voluto, da cui derivò la morte. Infine, siccome dalle modalità del fatto risulta evidente che Spataro agì in stato d’ira determinato da fatto ingiusto altrui, la Corte avrebbe dovuto concedergli il beneficio di questa attenuante.

La Suprema Corte, il 17 gennaio 1934, accoglie il ricorso per quanto riguarda la parte relativa all’aggravante dei futili motivi e rinvia la causa alla Corte d’Assise di Cosenza, che la discute il 30 novembre 1934.

Spataro ripete la sua versione dei fatti e la difesa ne chiede l’assoluzione per avere agito in stato di legittima difesa. La Corte però stronca immediatamente ogni tentativo di deviare dai dettami della Cassazione e osserva: in base alla decisione del Supremo Collegio non può, evidentemente, questa Corte esaminare la fondatezza o meno della richiesta tendente ad ottenere l’assoluzione, ma deve modificare l’impugnata sentenza della Corte d’Assise di Rossano unicamente nella parte che riflette la misura della pena da infliggersi all’imputato per il delitto di omicidio preterintenzionale, di cui fu dichiarato colpevole, con esclusione, però, dell’aggravante dei futili motivi.

E va subito al sodo senza tanti fronzoli: Ora, l’omicidio preterintenzionale è punito con la reclusione da 10 a 18 anni e tale pena la Corte, tenendo presenti le modalità del fatto delittuoso e soprattutto le speciali condizioni in cui Spataro versava nel momento in cui esplose il colpo di rivoltella, nonché i di lui precedenti penali e le condizioni di vita individuale e sociale, stima equo irrogare nel suo minimo di anni 10.

Poi aggiunge: non opponendosi i precedenti dell’imputato, allo stesso debbono essere dichiarati condonati anni 3 in applicazione degli art. 1 e 4 del R.D. 5 novembre 1932 n. 1043 ed altri anni 2 in applicazione degli art. 1 e 3 del R.D. 25 settembre 1934. [1]

È tutto.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.