LE VOGLIE SUE

Mancano ancora una ventina di minuti alle 6,00 dell’8 maggio 1916 e Angelina Fava è già in piedi da un pezzo a sfaccendare nell’unico locale della baracca di Via Pennsylvania a Reggio Calabria, nella quale abita. All’improvviso, dalla via arrivano le urla di due suoi vicini, Pasquale Minniti e sua moglie Caterina Priolo, che stanno litigando come spesso accade. Ma questa volta è diverso perché le urla di dolore di Caterina sono più strazianti del solito, così Angelina esce e vede l’uomo che con un grosso sasso tempesta di colpi la testa della moglie e questa che cade a terra grondando sangue. Pasquale la lascia lì e rientra nella sua baracca urlando come un forsennato, poi rumori di cose buttate. Qualcuno si avvicina a Caterina, l’aiuta a rialzarsi e l’accompagna in ospedale, mentre Angelina si avvicina alla porta aperta della baracca dei Minniti e vede Pasquale che, sempre urlando, con un coltello sta squarciando materassi, cuscini e coperte, buttando la lana nel cesso. Poi accatasta della roba nel centro della stanza e cerca di appiccarvi il fuoco urlando:

Faccio questo perché il marito di Maria Foti ha fottuto con mia moglie!

Ma per fortuna non ci riesce perché alcuni vicini, temendo per la sicurezza delle proprie baracche, entrano e lo trascinano fuori, riuscendo a calmarlo.

Ferite contuse multiple al cuoio capelluto, alla fronte e abrasioni cutanee alle guance. Una ventina di giorni di prognosi, salvo complicazioni, è la diagnosi del medico di turno per le ferite di Caterina che, uscita dall’ospedale, va dai Carabinieri della caserma di Reggio Porto a denunciare il marito per le lesioni riportate.

Le ferite che ho me le ha fatte mio marito Pasquale Minniti con una pietra – dice al Maresciallo Lorenzo Fiore.

– E perché?

Perché pensa che io lo avessi tradito nel tempo in cui egli si trovava in carcere.

– E non è così…

– Certo che non è così! Giudico mio marito addirittura pazzo – e qui lancia una vera e propria bomba – anzi aggiungo che una volta lo sorpresi nel mentre aveva posto una mia bambina appoggiata in un canto, con lo scopo di consumare su di lei degli atti di libidine!

– Perché non avete denunciato subito il fatto?

Non credetti denunziare mio marito perché immediatamente andò sotto le armi, dove rimase quattro mesi e non so se ritornò per riforma o per qualche altro motivo.

– È successo solo quella volta?

Altre volte mia figlia mi raccontò che era stata vittima di atti osceni che si ripetevano molto spesso e ricordo che una volta, mentre dormivo, fui svegliata da rumori sospetti e mi accorsi che mio marito s’era recato vicino al letto della nostra bambina. Io allora la svegliai e la posi al mio fianco

– Sono accuse molto gravi, faremo indagini. Intanto vediamo di risolvere la prima questione, quella certa – conclude Fiore indicando la testa fasciata di Caterina.

La questione viene risolta attraverso le testimonianze dei vicini di baracca che hanno visto tutto e Pasquale Minniti viene arrestato.

È vero che tirai un sasso contro mia moglie, colpendola alla testa. Ragione di ciò è stato perché lei continuamente mi chiama cornuto aggiungendo che è buona a farmi sempre le corna.

Nessuna domanda sulle violenze alla figlia e a questo punto Caterina, temendo che la sua denuncia per gli atti di libidine venga presa sotto gamba, scrive al Procuratore del re:

La sottoscritta Caterina Priolo, maritata a Minniti Pasquale attualmente detenuto per lesioni, nella eventualità di una probabile prossima scarcerazione del proprio marito, timorosa per l’avvenire proprio e dei propri figli, si pregia far noto alla Ill.ma S.V. quanto segue:

Il nominato Minniti Pasquale è un uomo di mente squilibrata e violento di carattere. Privo di ogni volontà di dedicarsi al lavoro, lascia la famiglia, composta dalla moglie e da cinque figli dei quali tre in tenerissima età, priva di ogni mezzo di sussistenza e nella più squallida miseria e, adducendo a pretesto una simulata ed inutile gelosia, pronuncia minacce di morte e giunge ad eccessi brutali, sì da ridurre come l’ultima volta la sottoscritta ad essere ricoverata all’ospedale.

Come ciò non bastasse, alla brutalità e alle stravaganze continue, si aggiunge l’istinto turpe del nominato Minniti, il quale si spinge sino a commettere atti osceni ed incestuosi sulla propria figlioletta di anni nove, costringendola con minacce alle voglie sue.

Tutto quanto sopra ha creduto la sottoscritta esporre alla S.V. Ill.ma perché voglia prendere quei provvedimenti che le parranno più opportuni per ovviare i pericoli che incombono la sottoscritta e per salvare l’onestà e il pudore della figliola sua.

Fiduciosa nella benigna accoglienza a quanto chiede la sottoscritta e ringraziando devotamente per quanto la S.V. Ill.ma si compiaccerà di prevedere al riguardo, col massimo ossequio

Devotissima Priolo Caterina.

E il provvedimento del Procuratore arriva subito con una nota a margine della lettera:

V° al Signor Giudice Istruttore pel formale procedimento, sentendo l’imputato per mandato di cattura.

Ma prima di procedere alla notifica del nuovo mandato di cattura è opportuno ascoltare il racconto della bambina:

Mio padre per la prima volta nel mese di maggio dell’anno scorso mi chiuse in casa con sé, mi baciò e mi toccò le parti pudende con le mani e poi in ultimo si sbottonò i pantaloni, mise fuori un coso che mi mise tra le gambe e mi sentii bagnata. Ciò ripetette a Natale ed altre due volte durante questo anno.

– Lo hai raccontato a qualcuno?

Raccontai a mia madre ed alla vicina Maria Foti ciò che mi fece mio padre, ma tacqui che ogni volta mi ero sentita bagnata

La bambina non ha subito penetrazioni, dicono i periti che la visitano, ma dal suo innocente racconto è chiaro che si tratta, secondo il codice penale, di atti di libidine violenta.

Adesso è arrivato il momento di sentire cosa ha da dire Pasquale Minniti:

Mi proclamo innocente della mia imputazione di atti di libidine in persona di mia figlia. È una falsità l’accusa contro di me ed io né mai le toccai le parti pudende, né mai mi sbottonai i pantaloni in sua presenza. Ricordo che una volta, essendo ammalata mia figlia, io la feci sedere sul vaso da notte e poi la pulii. Si tratta di una calunnia architettata da mia moglie, la quale ha insinuato mia figlia ad accusarmi!

– Avete rapporti intimi con vostra moglie?

Con mia moglie da lungo tempo non ho rapporti intimi… si rifiutava sempre ai miei approcci e non so il motivo

La bambina ha chiamato in causa Maria Foti, tra l’altro nominata, per motivi diversi, sia da Caterina che da Pasquale, ed è opportuno ascoltarla:

Prima del Natale scorso, credo negli ultimi di novembre, da un finestrino della baracca di Minniti vidi costui coricato su una cassa e vicino a lui si trovava la figlia. Io, che già sapevo il primo fatto, domandai alla bambina cosa le avesse fatto suo padre e lei mi rispose che l’aveva toccata nelle parti pudende.

– Non vi ha detto altro o non avete visto altro?

Ricordo che si era nell’estate dell’anno passato quando domandai di nuovo alla bambina cosa le aveva fatto il padre e mi rispose che il padre la baciava, si sbottonava i pantaloni e la toccava nelle parti pudende. Aggiungo che pochi giorni prima che Minniti venisse arrestato per le lesioni prodotte alla moglie, lo vidi chiuso nella propria baracca colla figlia e quando costui uscì apparve graffiato alla gola ed interrogato da me rispose che s’era graffiato con un chiodo. Siccome la figlia s’era messa a parlare con la mamma, Minniti chiese alla figlia: “che cosa hai detto a tua madre, che ti ho inquietata due volte?”.

Anche Giuseppina D’Amico sa qualcosa:

In un giorno che non ricordo, vidi uscire dalla sua abitazione Caterina Priolo tutta emozionata e piangente. Le domandai che cosa le era successa e mi rispose che il marito a momenti stava per disonorare la figlia, ma siccome ero occupata non mi raccontò i particolari. Io le suggerii di andare a riferire il fatto ai Carabinieri e credo che sia andata

Per gli inquirenti può bastare e chiedono il rinvio a giudizio di Pasquale Minniti per rispondere di atti di libidine continuati sulla propria figlia minore degli anni 12 e di lesioni personali in danno della moglie.

La causa si discute l’11 dicembre 1916 ed il giorno dopo viene emessa la sentenza: la Corte condanna Minniti Pasquale alla pena della reclusione per anni 16 e mesi 6, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.[1]

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.