INGRATITUDINE, INCURIA E AVIDITÀ

Il 15 marzo 1942 il settantaduenne Carlo De Angelis di Tiriolo, essendo debitore nei confronti del cinquantaduenne Teodoro Leone, suo compaesano, della somma di tremila lire, a tacitazione del debito fa cedere da sua moglie alla moglie di Leone un fondo sito in contrada Vanariti, di valore molto superiore al debito, con l’impegno dei coniugi Leone di mantenere, vita natural durante, i coniugi De Angelis. L’impegno, però, non essendo stato consacrato nel contratto, non viene mantenuto dai Leone e l’anziano Carlo, ammalato ed inabile al lavoro, rimasto vedovo è costretto a mendicare per continuare a vivere.

La sera del 29 agosto 1948 Carlo, che dorme nella casetta colonica del fondo ceduto, incontra i Leone, che tra l’altro sono suoi parenti, e chiede loro qualcosa da mangiare:

– Per l’anima di mia moglie, datemi qualcosa perché non ce la faccio più…

– Più tardi, adesso non c’è niente – rispondono evasivamente.

– Un pezzo di pane, per carità…

– Poi vediamo…

Esasperato di tale ingratitudine, quando si accorge che Teodoro si è appisolato stando sdraiato sotto una pergola, si avvicina in silenzio, afferra un martello da muratore dell’ingrato e lo colpisce violentemente alla testa. Ormai la luce della ragione si è spenta e, non ancora contento, lascia il martello, prende la scure di Leone e continua a colpirlo col dorso dell’arma. Sicuro di averlo ucciso si allontana per tema delle rappresaglie dei parenti della sua vittima, rifugiandosi in una località opposta al luogo del delitto.

Teodoro Leone non è morto, ma le ferite gli hanno provocato la frattura delle ossa del cranio con infossamento nella massa cerebrale, per cui viene trasportato all’ospedale di Catanzaro, dove muore il 6 settembre senza mai riprendere conoscenza.

Le indagini dei Carabinieri si indirizzano subito verso Carlo De Angelis. Arrestato il 30 agosto, confessa l’omicidio nei minimi particolari e ne indica anche il movente. Rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro con l’accusa di omicidio aggravato dalla minorata difesa per le circostanze di tempo, l’8 marzo 1950, quando si discute la causa, rinuncia a essere presente.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva che sulla responsabilità dell’imputato non ci possono essere dubbi, visto che ha pienamente confessato il delitto e ne ha spiegato il movente. Nessun dubbio nemmeno sulla volontà omicida, sia per la confessione e sia per la reiterazione dei colpi e la parte vitale colpita. Poi la Corte si sofferma sul verbale dei Carabinieri che descrivono il contesto in cui è maturato il delitto: il De Angelis languiva nella più nera miseria senza che i coniugi Leone s’interessassero a sollevarlo da tali angustie, come ne avevano assunto l’obbligo al momento della vendita in loro favore del fondo e ciò per incuria ed avidità.

Ciò posto, osserva la Corte, deve concludersi che compete al De Angelis il beneficio della provocazione, dato il comportamento disumano nei suoi confronti sia del Leone che di sua moglie, che trascurarono di assisterlo, come ne avevano assunto l’obbligo; vanno, altresì, accordate all’imputato le attenuanti generiche, tenuto conto che si tratta di un vecchio valetudinario e di precedenti incensurati. Tali circostanze attenuanti, date le modalità del fatto e la figura dell’imputato, debbono ritenersi prevalenti sulla circostanza aggravante d’aver, cioè, commesso il delitto profittando dello stato di minorata difesa della vittima, colta nel sonno, cosicché, pigliando come pena base anni 21 di reclusione, riducendola di un terzo per la provocazione e di un altro terzo per le attenuanti generiche, la pena da comminare resta fissata in anni 9 e mesi 4 di reclusione, oltre le pene accessorie e le spese. Della pena detentiva inflitta restano condonati, per l’indulto largito con D.P 23 dicembre 1949 N. 930, anni 3.

È l’8 marzo 1950.

Il 18 gennaio 1952 arriva una stringata comunicazione della Suprema Corte di Cassazione:

Il reato commesso da De Angelis Carlo è estinto per morte del reo.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte di Assise di Catanzaro.