IL MAESTRO DI CHITARRA

È la sera del 7 marzo 1930. Il Segretario del Comune di Pellaro sta leggendo il giornale, mentre sua madre e sua moglie sono sedute accanto al braciere a ricamare e le due figlie stanno giocando con una bambola di pezza. Ad un tratto la figlia maggiore Chiarina, 7 anni, tira la gonna alla nonna e le dice:

Lo sai che Elena Petruncari non va più da mastro “Ferrettino” ad imparare la chitarra perché quello schifoso le metteva la mano di sotto e col dito della mano, che ha l’unghia lunga come quella di papà, la solleticava nel nenno tanto da farglielo bruciare e diventare rosso?

– Zitta! Queste cose non si dicono! – la rimprovera la nonna.

– Nonna, Chiarina ha detto la verità, c’ero pure io quando Elenuccia ha raccontato l’accaduto. Anzi ha raccontato pure che mastro “Ferrettino” si aveva portato sopra al primo piano della sua casa Titina Laganà, la figlia di “Fracasso”, colla quale si era coricato sopra il letto! – Conferma e rincara la dose l’altra nipotina, Domenica, di 9 anni.

Seguono altri rimproveri per questi incredibili ed osceni racconti, ma le bambine insistono a sostenere che non si sarebbero mai sognate di raccontare queste porcherie, se davvero Elena non le avesse raccontate giurando che è tutto vero e così il Segretario comunale si convince della loro sincerità e, considerata l’obbrobriosità del fatto compiuto ai danni delle bambine dalFerrettino”, al secolo Antonio Laface, 50 anni, gestore di una bottega di generi alimentari nella frazione Ribergo di Pellaro, nonché suonatore di chitarra e mandolino, sente il dovere di fare avvertire la mamma di Elena di quanto ha inteso nei riguardi della di lei figliuola.

Sgomento, incredulità. Elena all’inizio non vuole dire niente, poi si libera del suo peso e racconta alla mamma tutti i raccapriccianti particolari (che vi risparmiamo) e conferma che anche Titina Laganà ha subito violenza da parte di Ferrettino:

Per quattro sere di seguito, quando la moglie non era nella bottega, ad un certo punto sospendeva d’impararmi la chitarra e mi metteva le dita sotto e mi toccava la natura e mi diceva di non dire niente

Viene avvisata la famiglia Laganà e anche Titina conferma:

Sentendo che si suonava la chitarra nella bottega di Ferrettino, anch’io andavo e mi ci trattenevo anche quando il suono era finito. Lui, approfittando che non c’era nessuno in bottega, mi conduceva nella cucina e là mi metteva le mani sul collo e poi, abbassandosi, mi poneva le dita nella natura

Le due famiglie, insieme, decidono di far visitare le bambine dal medico condotto, dottor Giorgio Federico, che certifica:

La bambina Petruncari Elena per circa cinque volte venne sottoposta a toccamenti col dito nelle parti genitali e dall’esame presenta afflosciamento dell’imene ed arrossimento della vulva, dovuti alle pratiche libidinose di cui sopra.

La bambina Laganà Caterina, dall’esame delle parti genitali, presenta arrossimento della vulva, imene afflosciato e lievemente slargato senza lacerazione, tutto dovuto a toccamenti col dito.

C’è rabbia negli occhi dei genitori, ma nessuno pensa alla vendetta. Giustizia è quello che vogliono e così la mattina del 13 marzo 1930, tutti e quattro i genitori si presentano dal Maresciallo Giuseppe Sportelli, comandante la stazione di Pellaro, per sporgere querela contro Antonio Laface.

Il primo a parlare è il papà di Elena:

Dal primo al quindici febbraio scorsi, ebbimo ad affidare nostra figlia Elena al vicino Antonio Laface, il quale è anche suonatore di chitarra e mandolino, allo scopo di farle dare da questi, che s’era spontaneamente offerto, delle lezioni di musica. Elena, dal sedici febbraio non volle più recarsi in casa di Laface ed alle nostre insistenze per continuare la scuola, sostenne sempre il rifiuto, dicendo di non volervisi più recare. Giorni or sono, la bambina, trastullandosi con altre compagne del vicinato, ebbe a raccontare alle medesime: “io non vado più ad imparare la chitarra perché mastro Ferrettino varie volte, nell’assenza di sua moglie, mi accarezzava continuamente e colla mano mi stringeva le natiche e poscia m’introduceva un dito nel nenno, agitandolo tanto da farmi sentire del bruciore e facendolo diventare rosso. Poiché a tanto mi ribellavo, egli mi accarezzava e diceva “no, è bello, è bello, è bello…”, regalandomi dei cioccolatini”. Però a noi non ha detto niente. Alle compagne Elena ha raccontato inoltre che la bambina Caterina Laganà un giorno le ebbe a confidare che Laface, in assenza della moglie, l’aveva costretta a salire al primo piano e… Appena siamo venuti a conoscenza di ciò abbiamo interrogato la bambina e li ha tutti confermati. Poi, come di dovere, abbiamo informato i genitori di Caterina

E poi il papà di Titina:

Ieri siamo stati informati delle gesta criminose di Antonio Laface e pertanto abbiamo interrogato nostra figlia, la quale in un primo tempo cercò di negare, ma condotta dai coniugi Petruncari, in presenza della madre sua medesima, raccontò che una volta fu mandata da Laface nella stanza al primo piano per guardare che ora faceva l’orologio, però lo stesso la raggiunse, l’abbracciò fortemente, mentre con una mano le stringeva forte il collo, coll’altra le stringeva la parte sessuale.

Mentre i genitori della bambina stanno finendo di firmare le querele si presenta una donna, Antonia Parisi, la quale vuole sporgere querela contro Antonio Laface perché, sostiene, ha pesantemente molestato sua figlia Flavia di 8 anni.

Ah!

Fatta accomodare, la donna racconta:

Circa cinque mesi fa mi servivo, per acquistare generi alimentari, nel negozio gestito da Antonio Laface ed un giorno mandai la mia bambina ad acquistare della pasta e, mentre ciò faceva, venne afferrata e fortemente baciata da Laface. Dopo qualche giorno rimandai la bambina per acquistare generi, essa non voleva andare ma dietro mia insistenza andò. Ivi giunta, venne nuovamente afferrata e baciata; la bambina cercava di non farsi baciare ed egli la trattenne per i capelli. Altra volta, mentre la bambina si trovava nel negozio, Laface le disse “Flavia, guarda se quelle signorine hanno le mutande”. La bambina rispose di non sapere ciò e Laface cercò di sollevare le sottane della bambina, ma questa fuggì ed arrivò a casa piangendo. Io le domandai il motivo, ma non volle nulla dirmi, solamente mi disse che per nessuna ragione sarebbe ritornata in quel negozio. Io… io non potevo dubitare che Laface fosse capace di tanta bruttura!

– Quando ne siete venuta a conoscenza?

Solo adesso la bambina mi ha confidato queste cose e ciò in seguito ai fatti compiuti da Laface ai danni delle altre bambine.

E adesso le querele sono tre.

Dando un’occhiata agli atti custoditi in caserma viene subito fuori che Laface è recidivo, infatti fu arrestato nel mese di aprile del 1926 per lo stesso reato, ma se la cavò perché la mamma della bambina, per non aggiungere vergogna a ciò che riteneva vergogna per la figlia, ritirò la querela.

Ma per lui le cose si fanno ugualmente molto serie, anche se è ancora latitante. Proprio per questo, temendo che tenti di emigrare clandestinamente in Francia, vengono allertate tutte le stazioni dei Carabinieri delle località di frontiera, mentre vengono perquisite tutte le abitazioni di amici e parenti a Pellaro e nei comuni vicini. Le ricerche danno i propri frutti la mattina del 20 marzo quando, perquisendo l’abitazione di un cognato a Ravagnese Superiore, Laface viene sorpreso e arrestato.

Si dichiara innocente e indica alcuni testimoni che, dice, lo scagioneranno. Si sbaglia perché tutti lo smentiscono e restano come macigni i racconti delle bambine, le perizie mediche e i suoi precedenti specifici.

Il 7 luglio 1930 la Sezione d’Accusa della Corte d’Appello di Messina, competente per territorio, rinvia Laface Antonio al giudizio della Corte d’Assise di Reggio Calabria per rispondere di atti di libidine con abuso di fiducia su minori degli anni 12.

La causa si discute il 31 ottobre 1930 e la difesa chiede che il suo assistito sia sottoposto a perizia psichiatrica per accertare se e quali conseguenze può aver prodotto sulle attività psichiche del Laface – specialmente in ordine a quelle cui possono riferirsi i reati che si vuole da lui commessi – il colpo di scimitarra all’occipite riportato dal Laface in Africa e se e quali riflessi sulle condizioni mentali può avere l’infermità per la quale il Laface è stato escluso dal servizio militare per riforma.

La richiesta viene rigettata e c’è poco su cui discutere. Il 6 novembre viene emessa la sentenza: la Corte condanna Laface Antonio per atti continuati di libidine violenta in offesa delle novenni Petruncari Elena, Laganà Caterina e Pellicone Flavia, con abuso di fiducia per la sola Petruncari e beneficio delle attenuanti generiche, ad anni 6 di reclusione, anni 2 di vigilanza speciale, spese, danni e pene accessorie.

Il 25 luglio 1931 Antonio Laface, nel carcere di Poggioreale dove è detenuto, fa istanza formale di rinuncia al ricorso avverso la sentenza di Assise e chiede che la sua sentenza passi in giudicato.[1]

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.