LA NOTTE DELL’IMMACOLATA

La mezzanotte del giorno dell’Immacolata del 1894 è appena scoccata e nella piazzetta compresa tra la chiesa ed il Municipio di Aieta due gruppi di giovanotti si divertono. Un gruppo ascolta e balla al suono di un organetto, l’altro si diverte a rincorrersi e spingersi vicendevolmente. Poi c’è un giovanotto, il diciannovenne pecoraio Giuseppe La Gatta, che se ne sta seduto da solo su un gradino della chiesa. I giovanotti che si spingono, ad un cenno del più intraprendente, il sedicenne Biase La Cava, cominciano a prendere di mira La Gatta buttandoglisi addosso più volte.

– Mò basta, lasciami in pace e vattene! E lasciatemi in pace pure voi, giacché da solo non posso lottare con quattro! – dice, con calma, rivolto principalmente a Biase La Cava, riconosciuto come l’ideatore del pessimo scherzo.

Ma La Cava non ha nessuna intenzione di lasciarlo in pace e continua nella sua burla buttandoglisi addosso per l’ennesima volta e facendolo cadere a terra. Giuseppe, a questo punto, perde la sua proverbiale calma, tira fuori un coltello e lo mostra all’avversario che subito scappa. Ma Giuseppe lo insegue, lo raggiunge e gli tira una coltellata alla cieca, colpendolo dietro l’orecchio destro. Biase La Cava urla per il dolore e cade a terra mentre il sangue comincia a zampillare dalla ferita. Giuseppe, forse temendo una reazione degli altri, scappa e sparisce nel buio.

Il suono dell’organetto cessa di colpo e tutti corrono a soccorrere il ferito che si sta rialzando.

Ti accompagno a casa di tuo fratello? – gli chiede Giuseppe Maimone, dal momento che Biase abita in campagna.

– Meglio di no – gli risponde.

– Allora vieni a casa mia e vediamo cosa fare.

Biase lo segue, seguito a sua volta da quasi tutti i presenti. Arrivati a casa di Maimone la ferita non sembra di grande importanza e gli fasciano la testa con un panno bagnato. Il ferito resta a casa di Maimone tutta la notte per non farsi vedere ferito dai genitori, ma la mattina, spingendo l’alba, Biase comincia a vomitare e Maimone va a chiamare i due fratelli del ferito perché se lo portino a casa loro. Chiamano anche la Guardia Municipale, che a sua volta chiama il Vice Pretore, ma quando arrivano trovano Biase morto!

Proprio in questi stessi momenti Giuseppe torna in paese, va alla prima messa mattutina e poi torna in campagna a far pascolare le pecore, senza che nessuno lo fermi e senza che nessuno lo cerchi, ma poi, nel pomeriggio del 9 dicembre, Pasquale Favieri raggiunge i Carabinieri di Praia, impegnati nelle indagini ad Aieta, con Giuseppe La Gatta e lo consegna al Brigadiere Pietro Fino, che lo interroga:

Nella sera dal 7 all’8, trovandomi nella piazza d’Aieta unitamente ad altri miei compagni, sopraggiunsero Antonio Russo, Francesco Marco, Vincenzo De Presbiteris, Giuseppe Maimone e Biase La Cava i quali, a quanto mi accorsi, volevano percuotermi. Io cercavo di evitare, ma essi mi furono addosso più volte e mi menarono per terra. Io allora, preso d’ira, cacciai di tasca una lama di coltello e per far loro paura tirai un colpo che, per combinazione, andò a ferire in testa Biase La Cava. Io, ritenendo che il ferimento fosse lieve, scappai da quella località per non ricevere offesa dai parenti del ferito e dai compagni stessi e mi ridussi a casa mia. La mattina seguente mi alzai di buon’ora, udii la prima messa e quindi mi portai in campagna a custodire i miei animali. Durante il giorno seppi che Biase, per la ferita da me prodottagli, era morto e temendo l’ira dei parenti mi resi latitante fino a che, saputa la presenza dei Carabinieri in Aieta spontaneamente mi sono consegnato. Mia intenzione non fu quella di uccidere Biase, ma sibbene di mostrare quella lama con cui ferii appunto per evitare che non più mi molestassero, essendone purtroppo stanco.

– Tu e La Cava eravate nemici? C’era qualcosa tra voi?

Tra me e Biase non esistevano precedenti rancori, non così però con De Presbiteris e Maimone coi quali feci quistioni tempo dietro, senza però che io ne avessi mosso lagnanza.

I testimoni oculari raccontano la storia in modo diverso e parlano di un inseguimento e di tre colpi di coltello, due dei quali andati a vuoto. Tutti, però, ammettono che Biase La Cava, giovane discolo, era molto proclive a mettere in derisione ad ognuno, mentre Giuseppe è un giovane quieto, di buona condotta ed incapace d’istigazione qualsiasi ed anzi se la faceva sempre da solo. E viene fuori che anche precedentemente La Cava burlava Giuseppe La Gatta.

Dopo qualche giorno arrivano i risultati dell’autopsia, forse decisivi per qualificare definitivamente la prima ipotesi di omicidio preterintenzionale. Scrive il perito: Aperta la cavità cranica ho rinvenuto solo dalla parte destra circa un decilitro di siero sanguigno a grumi nella cavità aracnoidea, con iperemia delle meningi sempre dal lato destro, e perforata in corrispondenza della lesione. Estratto il cervello, ho trovato una ferita lunga un centimetro e profonda circa altrettanto situata nel lobo temporale posteriormente e sempre in corrispondenza della lesione. Causa della morte è stata la ferita perché ha prodotto abbondante versamento sanguigno nella cavità cranica, che ha compresso fortemente il cervello e ha ferito meninge e cervello stesso.

Nonostante la violenza del colpo, la qualifica del reato resta la stessa ed il primo febbraio 1895 la Sezione d’Accusa rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

Il 5 giugno successivo si discute la causa e viene emessa la sentenza: la Corte dichiara La Gatta Giuseppe colpevole di omicidio oltre l’intenzione e, concesse le attenuanti generiche e quella della provocazione grave, lo condanna ad anni 6 e mesi 3 di reclusione, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.