Nel mese di luglio del 1926 il ventenne Antonio Graniti ed il quarantaquattrenne Elviro Console litigano per motivi di lavoro ed il primo ferisce leggermente il secondo tirandogli un secchio in testa. La sera del 31 ottobre successivo Antonio Graniti sta discorrendo con alcuni amici nella piazzetta di Cassano Ionio, quando sopraggiunge Elviro Console che chiama da parte Antonio col pretesto di volergli fare un’imbasciata.
– Quello che hai da dirmi me lo puoi dire in presenza dei miei amici – gli risponde.
Console però insiste anche con parole minacciose e fare maffioso, tanto che i presenti, per farlo smettere, sollecitano Antonio ad aderire alla richiesta e i due si allontanano nel buio lungo una delle strade che imboccano nella piazzetta, stando uno accanto all’altro e senza discutere fra loro. Ma quando hanno percorso appena una ventina di metri, gli amici di Antonio avvertono distintamente il rumore di un forte pugno provenire dal punto verso cui i due si sono allontanati. Istintivamente si girano per capire cosa stia succedendo e malgrado la distanza e l’oscurità possono ben vedere Graniti che di risposta al pugno ricevuto da Console si slancia contro costui e gli vibra un sol colpo di coltello in direzione del collo, dandosi subito alla fuga. Accorrono sul posto e trovano Console esanime per terra, in mezzo ad un lago di sangue perché il colpo al collo, vibrato dall’alto in basso, ha reciso la succlavia, leso la giugulare e perforato l’apice del polmone.
Le indagini sono veloci, non c’è alcun dubbio che ad uccidere Console sia stato Antonio Graniti per i loro precedenti rancori e quindi il delitto è stato premeditato. Ma c’è un problema: il ricercato è letteralmente svanito nel nulla, tanto che per chiudere l’istruttoria si attende per quasi quattro anni e poi, in assenza di novità, si decide di rinviarlo in contumacia al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari, che il 13 marzo 1930, dopo avergli concesso il beneficio delle attenuanti generiche, lo condanna a 17anni di reclusione.
Ci sarebbe da chiedersi come abbia fatto Antonio Graniti a sparire. Bene, dopo un lungo vagabondaggio capita nel comune di San Nicola Arcella e trova lavoro sotto falso nome, senza destare alcun sospetto e mantenendo una condotta integerrima. Passano così molti anni, quattordici dall’omicidio per la precisione, ma siccome nella vita niente può essere dato per scontato, ecco che un banale incidente nel quale resta coinvolto, gli costa una denuncia per lesioni colpose guarite in giorni sei e viene scoperta la sua vera identità. Arrestato, il 22 novembre 1940 viene riaperto il dibattimento col rito ordinario, ma questa volta davanti alla Corte d’Assise di Rossano.
Durante la discussione in aula Antonio Graniti confessa ampiamente il suo delitto e aggiunge:
– Fui trascinato al delitto dalle ingiuste e gravi provocazioni di Console, che prima mi chiamò da parte con oscuri e sinistri propositi aggressivi e poscia si diede a percuotermi. Io non ebbi alcuna intenzione di uccidere il mio avversario mentre reagivo contro l’aggressione di costui, tanto è vero che mi limitai a vibrargli un sol colpo di coltello senza che, data l’oscurità della sera, avessi avuto modo di dirigere il colpo in uno anziché in un altro punto del corpo…
La Corte, da parte sua, non esita a ritenere pienamente fondata sia l’una che l’altra proposizione difensiva. Infatti, quanto ai gravi atti provocatori commessi dalla vittima contro Graniti, essi sono rimasti a pieno dimostrati dalle dichiarazioni rese dai testi presenti al fatto di sangue, i quali hanno concordemente affermato che il Console, dopo aver con modi subdoli e mafiosi ottenuto da Graniti, malgrado la riluttanza di costui, di separarsi dai suoi amici e di seguirlo per una via clandestina ed oscura, cominciò ben presto ad usargli violenza dandogli un pugno tanto forte che essi poterono udirne il rumore, al che Graniti rispose con un colpo di coltello. E per quanto riguarda la volontà omicida, negata dall’imputato, pare anche alla Corte che di essa possa seriamente dubitarsi, non tanto e soltanto nei reati d’impeto, com’è quello in esame, dato il veloce e tumultuoso confluire nel campo della coscienza di diversi gruppi di rappresentazioni, è sempre difficile identificare la volontà omicida e differenziarla da quella generica di ledere, ma soprattutto perché, nella fattispecie, non solo Graniti si limitò a vibrare un sol colpo, ma è anche verosimile che, com’egli ha detto, abbia vibrato il colpo stesso senza rendersi esattamente conto della sua direzione, data l’oscurità della sera. Né la prova della volontà omicida, nella fattispecie, scaturisce meglio dalla causale, la quale d’ordinario è l’indice più notevole per sorprendere il processo dell’atto volitivo. La causale, questo è il punto focale perché nel processo col rito contumaciale fu individuata nel rancore nutrito da Graniti nei confronti di Elviro Console dopo la lite del luglio 1926, nella quale quest’ultimo ebbe la peggio. Adesso, invece, la Corte di Rossano rovescia la questione e dice che quella lite vale a dimostrare la conservazione di un postumo rancore nell’animo di Console contro Graniti e non il contrario, come a torto ha ritenuto la Corte d’Assise di Castrovillari nella sua sentenza contumaciale. E che fosse stato appunto Console a non dimenticare l’offesa ricevuta da Graniti in quell’incidente, si evince dal fatto che nella sera del 31 ottobre fu proprio Console a provocare Graniti nel modo che già sappiamo.
Fatto questo ragionamento, la Corte ritiene giusto derubricare il reato da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale e concedere all’imputato le attenuanti generiche e della provocazione grave. Le attenuanti generiche sia perché di tale beneficio fu già ritenuto meritevole dalla Corte d’Assise di Castrovillari, sia con riguardo ai lunghi anni di ansia e di rimorso trascorsi dal prevenuto dacché, quattordici anni or sono, commise il suo delitto. La pena, pertanto, resta diminuita ad anni quattro e mesi due di reclusione. Non solo: al prevenuto spetta anche il condono di un anno sulla predetta pena, in applicazione del R.D. d’indulto del primo gennaio 1930.[1]
È il 22 novembre 1940 e sul fronte greco-albanese, le truppe elleniche penetrano in territorio albanese occupando Coriza, a sud del lago di Ocrida, Ersekè, Leskovik e fanno prigionieri 2.000 soldati italiani.
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano.