UNA CANTATA E UNA COLTELLATA

Verso le nove di sera del 26 novembre 1894 Pietro Rotondaro e Francesco Viola da Roggiano Gravina si presentano dai Carabinieri e chiedono del Brigadiere Nemesio Ferrari, il comandante della stazione.

– Poco fa mio fratello Vincenzo è stato ucciso con un colpo di coltello da Giuseppe Volpe – dice, visibilmente scosso, Pietro Rotondaro.

Senza perdere un minuto di tempo il Brigadiere corre sul luogo del delitto e trova Vincenzo a terra in un lago di sangue, di già freddo cadavere. Lì vicino c’è un tale, Francesco Argento, che sembra stia curiosando troppo e il Brigadiere lo chiama per chiedergli se sa o ha visto qualcosa, ma Argento si dimostra restio a parlare, non dando alquanto i schiarimenti necessari al riguardo, e viene portato in caserma, dove la lingua gli si scioglie e racconta:

Verso le quattro e mezza ho incontrato nell’osteria di Maria Carmela Cribari, sita nella piazzetta Gravina, Saverio Naccarato e Giuseppe Volpe; con loro c’era pure Vincenzo Rotondaro. Questi, in unione a Giuseppe De Rosa, che in quel momento rappresentava il bettogliere, bevettero alcuni litri di vino e si trattennero a chiacchierare fino alle otto e mezza, quando l’osteria fu chiusa. La comitiva fece poi quattro passi nella piazzetta e quindi cantarono alcune canzoni senza il minimo sturbo di questioni fra di loro; in quel momento passava per caso certo Iannelli Salvatore e lo invitarono a prendere parte al canto. Iannelli e Volpe fecero una cantata e poscia Volpe, essendo che stava la comitiva riunita in forma di cerchio, si tolse da vicino al Iannelli e andiede a prendere posto vicino a Rotondaro. Il caso volle che nel cambiare posto, Volpe urtò contro un bastone che Iannelli teneva appeso al braccio con un laccio e il bastone urtò contro il muso di Rotandaro, che ne rimase offeso, dicendo che mai nessuno gli aveva passato il bastone sul muso. Volpe cercò di calmarlo e di continuare nel canto, essendo che era stata una cosa di nulla, ma quello non volle persuadersi, volgendo delle ingiurie contro Volpe per ben due volte, con le seguenti parole “Va piglialo in culo tu e tua madre!”. Allora Volpe, senza proferire parola, scioltosi dal mantello che teneva col lembo destro sulla spalla sinistra, estrasse un coltello a serramanico, vibrò un colpo al collo di Rotondaro e poscia fuggì col coltello, gettando via il mantello. Nel frattempo dalla propria abitazione si affacciò con una lanterna Giuseppe De Rosa e domandò che cosa era successo e io l’invitai ad accorrere; egli venne con la lanterna ed appena giunto, Rotondaro disse “Mi ha ucciso… sono morto…” poi cadde a terra e spirò. Io allora corsi a svegliare la madre dell’estinto e per non dirle tutto d’un colpo che era morto, le dissi che era avvinazzato e che non mi fidavo di condurlo a casa. La madre si destò, corse e fece dirottissimo pianto nel constatare che il figlio era già morto. Poco dopo accorsero Pietro Rotondaro e Francesco Viola, che curarono di avvertirvi…

Tornato subito sul luogo del delitto, il Brigadiere trova i due Carabinieri di pattuglia che erano usciti in servizio nel pomeriggio e viene avvisato che in via della chiesa principale avevano incontrato vari giovinastri e uno di questi, Giuseppe Volpe, si era avvicinato al muro di una casa lasciando cadere a terra un coltello, che hanno provveduto a sequestrare, mentre il giovane si dava alla fuga entrando in casa sua. I due militari, non essendo ancora a conoscenza dell’omicidio commesso da Volpe, non lo hanno inseguito perché il coltello sequestrato non è di genere vietato.

– Tu resta qui – ordina il Brigadiere ad uno dei due Carabinieri – e tu vieni con me a fare una visita a casa di Volpe – ma ormai è tardi, il ricercato a casa non c’è e ogni sforzo per rintracciarlo è vano.

Il 29 novembre, però, il Vice Pretore di San Marco Argentano si presenta dai Carabinieri accompagnando il ricercato Giuseppe Volpe, che si costituisce spontaneamente e, interrogato, offre la sua versione dei fatti:

Il pomeriggio del 26 scorso, nella bettola di Maria Carmela Cribari, giuocammo a carte un litro di vino, che bevemmo come tra fratelli. Finita la prima partita venne Vincenzo Rotondaro ed il giuoco a vino fu smesso a circa le ore ventuno, essendo già passato l’orario di chiusura dell’esercizio e rimanemmo nella piazzetta Gravina a divertirci cantando. Mentre eravamo tutti là passò Iannelli Salvatore, detto il Bonifataro, e si unì alla nostra compagnia. Invitato da Iannelli, volevo anche io cantare ed in effetti cambiai posto e, mentre prima mi trovavo vicino a Iannelli, passai vicino a Rotondaro. Questi, nel muovermi, mi ingiuriò dicendo “Va piglialo in culo tu e tua madre!”, perché diceva di essere stato urtato con un piccolo bastone e che se avesse tenuto la pipa in bocca, gliel’avrei fatta andare in gola. Accesi un fiammifero e potetti accertarmi che Rotondaro non era stato offeso e che il Bonifataro teneva al braccio destro un piccolo bastone attaccato con una cordicella. Rotondaro, nel veder accendere il fiammifero, ripetette l’ingiuria, aggiungendovi “vallo a pigliare nel culo tu, tua madre e anche i cerini che hai acceso!”. Ripetette varie volte tali espressioni ed io a rispondergli sempre colla parola “fratello” e gli osservai che mai io ero stato così maltrattato da nessuno. A tali parole Rotondaro ripetette ancora altre volte le ingiurie, aggiungendovi un pugno in viso. Indi si dimenò nel mantello armato di coltello, che gli fu tolto e serrato da Francesco Argento. Estrassi allora di tasca il coltello ed a difesa con esso infersi un colpo a Rotondaro e fuggii immediatamente e nella fuga il mantello mi cadde. Non so se il coltello mi cadde o lo gettai, ma dopo il colpo m’imbattei nei Carabinieri, che ancora non erano stati informati, e potetti liberamente rincasare

Il racconto di Volpe contrasta con quello del teste Argento e il Pretore chiama a deporre gli altri giovanotti presenti per chiarire la situazione: Luigi Merenda e Saverio Naccarato confermano la versione di Argento, mentre Iannelli prima conferma sostanzialmente quella dell’imputato, ma poi aggiunge:

Rotondaro si risentì e disse che un altro poco gli si facevano andare a perdere quattro soldi perché l’urto del bastone gli poteva rompere la pipa. Io per calmarlo gli dissi che avevo due pipe e che poteva scegliere quella che voleva se la sua pipa si fosse rotta, ma non valse a calmarlo e ingiuriò Volpe che, svoltosi il mantello, gli tirò un forte colpo al collo dicendo “tè cecatu fricatu!”. Poscia fuggi

Quindi è chiaro che c’è stato un alterco per futili motivi, ci sono state delle ingiurie, c’è stata una tremenda coltellata, c’è un morto ammazzato e la versione dell’imputato è smentita dai testimoni, almeno per quanto riguarda il preteso pugno in faccia e il preteso tentativo di accoltellamento da parte della vittima. Per questo la Procura chiede alla Sezione d’Accusa il rinvio a giudizio di Giuseppe Volpe davanti la Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario, rinvio a giudizio che viene disposto l’8 marzo 1895.

La discussione della causa è fissata per l’11 giugno successivo e durante il dibattimento emerge che, nonostante la violenza del colpo e la parte vitale presa di mira, ci sono dei dubbi sulla effettiva volontà omicida di Giuseppe Volpe, così come viene giudicato provocatorio il comportamento della vittima. Tutto si svolge velocemente e nella stessa giornata viene emessa la sentenza:

La Corte d’Assise del Circolo di Cosenza ha dichiarato Volpe Giuseppe, contadino da Roggiano Gravina, colpevole di omicidio oltre l’intenzione in persona di Rotondaro Vincenzo, con provocazione lieve e con circostanze attenuanti e conseguentemente lo condanna ad anni 8 e mesi 4 di reclusione, escomputandogli la carcerazione in precedenza sofferta, e pene accessorie.

La sentenza non viene appellata e la pena diventa definitiva.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.