IL PALADINO DI MICHELINA

Domenico Fortunato vive a Policastrello di San Donato Ninea ed è geloso della moglie Michelina Creazzo. Quando la sera del 5 marzo 1946, alticcio per il vino bevuto, torna a casa e non la trova, sbircia dalla finestra e la vede che sta parlando con un uomo. Rosso di rabbia, va su tutte le furie.

– Dove sei andata senza dirmi niente? – e giù botte.

Sono andata da mia madre per procurarmi della farina da ridurre a pane domani – cerca di giustificarsi.

– Ah! Da tua madre sei stata? Puttana! – e continua a picchiarla, così Michelina pensa bene di scappare inseguita dal marito, che però nel buio la perde di vista. La malcapitata trova rifugio prima in casa della vicina Silvia Imbriosa e poi in quella di Gelsomina De Patto, la figlia di Silvia.

Forse avvisato da qualcuno o forse perché dalla strada sente la voce della moglie, Domenico ne scopre il nascondiglio e si mette ad urlare:

– Fatela uscire subito se no è peggio!

Nessuna risposta. Dopo aver ripetuto parecchie volte la richiesta, condita da insulti e minacce, Domenico comincia a tirare sassi contro la porta di Gelsomina ed a questo punto comincia ad arrivare gente, attirata dal trambusto. Arriva anche il fratello di Michelina, Luigi Creazzo, che tenta di rabbonirlo senza riuscirci e poi arriva anche Celeste Berlingieri, che a muso duro gli dice di smettere quel lancio di sassi. Niente da fare, Domenico continua imperterrito a tirare pietre e allora Berlingieri gli dà in testa due colpi con un pezzo di legno di cui era uscito munito dalla non lontana sua casa.

Sta per scoppiare una zuffa tra i due ma viene evitata per l’intervento di Luigi Creazzo e di Domenico Agricoltore, che afferrano per le braccia il marito geloso e si allontanano con lui dal posto. Domenico, però, dopo pochi passi riesce a liberarsi dalla stretta dei due pacieri e torna indietro tenendo una mano in tasca. Celeste Berlingieri, che nessuno ha fatto allontanare, vede l’avversario che si sta avvicinando e, senza timore, gli va incontro con qualche cosa in mano, ma diversa dal pezzo di legno: evidentemente un coltello.

I due ora sono vicini uno di fronte all’altro, nemmeno un paio di passi, e nessuno si intromette. Si scrutano, fanno finte e controfinte, sbuffano; sono secondi carichi di tensione, poi si lanciano contemporaneamente all’assalto e tutto dura pochissimo. Domenico Fortunato è stato ferito da tre coltellate: una alla regione sotto clavicolare sinistra, una alla regione mammaria sinistra con penetrazione in cavità, una alla regione sotto ombelicale con fuoriuscita di visceri e perforazione dell’ansa del tenue. Celeste Berlingieri, a sua volta, è stato ferito con arma da taglio alla regione temporo parietale sinistra, dietro il padiglione dell’orecchio sinistro, alla volta cranica e al dorso della mano destra.

Le condizioni di Domenico Fortunato sono molto serie, a stento riesce ad arrivare a casa, mettersi a letto e pronunciare poche parole invocanti assistenza per essere salvato, poi cade in uno stato di incoscienza, interrotto solo raramente da attimi di lucidità.

La mattina dopo a casa Fortunato arrivano i Carabinieri che interrogano i presenti e insistono molto per ottenere qualche parola dal ferito, che riesce soltanto a dire:

– Non ce la faccio a parlare… non mi ricordo – poi entra in coma e il giorno successivo muore per la sopravvenuta peritonite settica.

A Berlingieri va di lusso, se la caverà in una ventina di giorni, ma deve difendersi dall’accusa di omicidio, reato per il quale viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari.

La causa si tiene il 6 dicembre 1947 e la difesa chiede subito il proscioglimento dell’imputato perché non punibile avendo agito per legittima difesa, mentre l’accusa chiede la condanna, con la concessione delle attenuanti generiche, a 14 anni di reclusione.

La Corte osserva: l’imputato non ha negato di avere reiteratamente colpito di coltello il Fortunato, ma egli e la sua difesa hanno invocato insistentemente la discriminante della legittima difesa, avendo sostenuto che egli sia stato costretto ad usare il coltello dalla necessità di salvarsi dal pericolo di venire sopraffatto dall’avversario, armato di coltello. La Corte è invece rimasta convinta che esso Berlingieri, lungi dall’evitare di scontrarsi con Fortunato (il quale, per quanto ubriaco, forse non a torto aveva avuto quella manifestazione di gelosia per la moglie, da lui vista dalla finestra a parlare sulla strada col sospettato amante), assunse un certo atteggiamento che non pare fosse stato da vero paciere come quello di altri intervenuti, ma di paladino della donna che aveva dato adito a gelosia. Egli si dette prima a bastonare Fortunato e poi, invece di andarsene a rincasare, separato com’era stato dai presenti, indugiò sul luogo ed anzi si mosse anche egli col coltello alla mano verso l’avversario e così dette modo al seguito della vicenda di sangue. La Corte però è convinta che Berlingieri non abbia avuto volontà di uccidere, ma quella di ferire, dando nel buio colpi all’impazzata, quindi, nella specie, non trattasi di omicidio volontario, bensì di omicidio preterintenzionale, senza potersi, altresì, affermare l’aggravante dell’arma giacché non si è potuto assodare se il coltello usato fosse stato di genere vietato.

Stabilito il reato da perseguire, è il momento di quantificare la pena da infliggere: tenute presenti le modalità dei fatti e non essendo i precedenti penali dell’imputato tali da farle negare, è il caso di concedere le attenuanti generiche, portando la pena ad anni 6 e mesi 8 di reclusione, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.

Il primo marzo 1950 la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonati anni 3 della pena.

Nove giorni dopo, il 10 marzo 1950, la Suprema Corte di Cassazione discute il ricorso proposto dal Pubblico Ministero e annulla la sentenza della Corte d’Assise di Castrovillari, limitatamente all’esclusa aggravante dell’arma per difetto di motivazione e rinvia gli atti alla Corte d’Assise di Catanzaro.[1]

Purtroppo gli atti non sono disponibili e non ci è possibile illustrare la nuova sentenza.

[1] ASCZ, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.