L’ESTREMO SUPPLIZIO

È l’11 ottobre 1881, martedì. I bovari Costantino Rende e Pasquale Vivacqua stanno arando un appezzamento di terra dei signori Giannuzzi Savelli in contrada San Biase di Rende, quando l’aratro di Costantino si rompe. Un bel guaio, bisogna ripararlo subito per non ritardare i lavori. Costantino va in una casetta presente nell’appezzamento per prendere una pertica ed i serramenti necessari, ma il problema è che non è tanto addestrato a manifatturare aratri e torna indietro. Per non farne accorgere il fattore Francesco Nigro e suo figlio Angelo, che tutti chiamano Ciccio, chiede a Pasquale Vivacqua di fargli il favore di accomodargli l’aratro.

– Va bene, ma tu devi arare il mio pezzo di terra – gli risponde.

– Stai tranquillo, con i tuoi buoi faccio prima il tuo e poi il mio.

Così Pasquale Vivacqua si avvia verso la casetta conducendo i buoi con l’aratro rotto e quando la giornata di lavoro è finita non è ancora tornato con l’aratro riparato. Costantino porta i buoi del compagno di lavoro alla casetta e con grande sorpresa non lo trova, l’aratro rotto è ancora lì inservibile e gli attrezzi sono custoditi nel solito magazzino. Ciccio Nigro, che comanda più del fattore suo padre, è seduto accanto al portone di casa, nelle vicinanze altri contadini stanno sistemando gli attrezzi da lavoro.

– Don Cì, sapete dov’è Pasquale?

– Se n’è andato, aveva la febbre…

– Ho capito, buona serata don Cì!

È il pomeriggio inoltrato dell’11 ottobre 1891 e Maria Prete, la moglie di Pasquale Vivacqua, è a casa, in contrada Prioli di San Vincenzo la Costa, intenta a sbrigare alcune faccende, quando una bambina la chiama dalla strada:

– Marì, vedi che tuo marito ti aspetta al fiume Settimo perché ti deve dire un’imbasciata!

Maria lascia tutto come si trova e va a al fiume. Pasquale è sulla sponda opposta e le fa segno di raggiungerlo. Quando i due sono vicini, Maria lancia un urlo: suo marito ha il volto e i capelli pieni di sangue.

– O gesummaria! Che è successo? – gli chiede.

– Mi ha percosso con un bastone Ciccio Nigro… aiutami a passare il fiume perché non ce la faccio…

Appena arrivati a casa Pasquale si mette a letto e Maria manda a chiamare i familiari.

– Chi ti ha picchiato? – gli chiede Michele, il fratello, appena entra in casa.

Mentre lavoravo un aratro nella contrada San Biase, Ciccio Nigro mi ha percosso con un bastone a tradimento… i primi tre colpi me li ha tirati sulla testa e sono rimasto stordito

La stessa storia racconta alla madre e ad alcuni vicini che sono accorsi. Poi man mano comincia a non essere più lucido e farfugliare cose senza senso, finché sembra addormentarsi profondamente. Quando la mattina successiva i familiari cercano di svegliarlo e non ci riescono, mandano a chiamare il dottor Annibale Spizzirri che, dopo averlo visitato, prende dalla borsa un foglio, un pennino, l’inchiostro e scrive un biglietto al Pretore di Rende:

Circa le ore 8 am, richiesto per una visita in campagna, mi son recato nel territorio di S. Vincenzo la Costa, in una proprietà del Barone Vercillo limitrofa al fiume Settimo. Quivi ho trovato un tal Pasquale Vivacqua, nativo di Rende, giacente al letto in posizione supina ed immerso in profondo coma, con polsi ritardati e deboli, respirazione interrotta. Interrogato ad alta voce non dava nessun segno di risposta. Coll’esame obiettivo ho rinvenuto una ferita lacero contusa sulla regione occipito parietale di destra ricoperta di sangue aggrumito, di forma irregolare con bordi poco rilevabili ed interessante il solo cuoio capelluto. Sul tronco nessuna traccia di lesioni. Sulle braccia e sugli arti inferiori ho notato delle contusioni diverse, caratterizzate da parecchi lividi più o meno estesi, con edema collaterale, massime al braccio sinistro, senza fratture. Le dette lesioni datano da circa venti ore, sono state prodotte da corpo contundente e lacerante e sono state da me giudicate, quella della testa pericolosa di vita per la grave commozione cerebrale indotta nel ferito; le altre apportanti malattia ed incapacità al lavoro al di là di cinque giorni. Credo perciò mio debito darne conoscenza alla S.V. e ciò per sua norma ed interesse della Giustizia.

Prima di andare via, il dottore incarica un familiare di recapitare il biglietto in Pretura e di avvisare i Carabinieri.

Il Brigadiere Raffaele Brunetti, comandante la stazione di Rende, avendo ricevuto la notizia che il fatto si è svolto a San Biase, va sul posto con i suoi uomini ma, ovviamente, non trova il ferito e viene indirizzato a casa di questi. C’è un problema: la casa di Pasquale Vivacqua è nel territorio di competenza dei Carabinieri di Montalto Uffugo e non potrebbero intervenire quelli di Rende, ma Brunetti è già sui limiti e perché il reato è avvenuto nel suo tenimento, entra in quello di Montalto per assicurarsi della situazione. Trova Pasquale a letto in coma e viene informato dai familiari di come sarebbero andate le cose. Bisogna indagare e interrogare Ciccio Nigro per conoscere la sua versione dei fatti.

Intanto Pasquale peggiora di ora in ora e poco dopo il tramonto purtroppo muore. Lesioni personali seguite da morte è l’ipotesi di reato che il Pretore di Montalto, territorio nel quale si è verificato l’evento morte, iscrive nel registro delle cause. Adesso è più urgente che mai rintracciare Angelo Ciccio Nigro, che però è sparito dalla circolazione e questo, oltre all’accusa mossagli dalla vittima, è un grave indizio della sua colpevolezza. Bisogna, però, anche individuare il movente che lo avrebbe spinto a colpire il povero Pasquale e forse la vedova ne sa qualcosa. Ascoltata dal Vice Pretore non dice nulla circa un possibile movente, ma si preoccupa di precisare:

Un tal Domenico Tespa mi diceva che Nigro, presenti altre persone, chiedendogli dello stato del ferito mio marito, ed avendogli detto ch’era cessato di vivere, nel mostrare dispiacimento aggiungeva che egli nel percuoterlo non intendeva ucciderlo

Perché lo sta giustificando senza mostrare di sapere il motivo per cui Nigro ha aggredito il marito? Forse ha paura del padrone?

Ma i risultati dell’autopsia dimostrano che la volontà di uccidere ci fu, dal momento che il perito, dottor Enrico Bianco, riscontra sulla testa della vittima non una, come aveva detto il dottor Spizzirri, bensì due lesioni che lo portano a concludere: l’individuo in esame fu percosso ripetutamente con arma contundente, grosso bastone, nelle varie succennate parti del corpo e due colpi violentissimi ricevuti sul cranio, uno dei quali ha prodotto frattura del parietale destro, che si rese causa della grande emorragia intracranica e iperemia delle meningi. Come pure i vari colpi ricevuti sul corpo hanno prodotto grave commozione nell’encefalo. Quindi la morte di Pasquale Vivacqua è stata causata unicamente dalle lesioni, tutte traumatiche, avvenute.

Poi da alcune testimonianze sembra emergere il movente del delitto, seppure abbastanza debole: Pasquale avrebbe detto al vecchio fattore Alessandro Nigro di trovarsi altro bovaro perché lui voleva adattarsi alla zappa. Saputo ciò, Angelo “Ciccio” Nigro, fattore in pectore, promise alla presenza di due pecorai di ucciderlo. E, di fatti, mentre Vivacqua era intento ad accomodare un aratro, Ciccio Nigro gli si appressò ridendo e con un grosso bastone lo percosse. Ci deve essere dell’altro, vedremo.

Domenico Tespa, l’uomo che avrebbe riferito alla vedova che Ciccio Nigro gli dichiarò di non avere avuto intenzione di uccidere, interrogato in proposito, nonostante anche il Segretario Comunale di San Vincenzo la Costa, Vincenzo La Valle, lo abbia sentito mentre raccontava il fatto, nega la circostanza per ben due volte e poi, contestategli le deposizioni dei testimoni che lo hanno sentito, dice:

Se io nel caffè di san Vincenzo la Costa ho detto al Segretario Comunale di avere avuto dal Nigro quella confessione, non me ne ricordo bene; se il signor La Valle lo afferma, vuol dire che io l’avrò detto e in tal caso dissi una cosa non vera essendo preso dal vino

–  Vi invito a dire la verità, ricordandovi nuovamente la pena stabilita contro i testimoni falsi o reticenti. Allora, lo avete detto o non l’avete detto?

Quello che ora ho detto è la verità. Io sono una bestia e non so quel che mi dicono. Quando ho un bicchiere di vino, la testa non mi regge più e per ciò che non so darmi ragione delle parole da me pronunziate, secondo il signor La Valle

In così dire il teste si impietosisce, quasi vorrebbe piangere, e fa atto di prostrarsi ai nostri piedi, balbettando confuse parole di pietà e misericordia. E in tutto ciò, mostrandosi confuso ed incerto, non sembra uomo sincero e leale.

Beh, se aveva bevuto e non regge il vino, può starci che l’abbia sparata grossa. Ma secondo Vincenzo La Valle e altri testimoni non era affatto ubriaco:

Domenico Tespa raccontava il fatto in termini chiari e precisi, in modo che le sue parole non lasciavano equivoci. Tespa aveva bevuto del vino ed io me ne accorsi perché il suo fiato puzzava di vino, però ragionava benissimo, con una loquela scorrevolissima ed era brillo anziché ubriaco.

– Pensate che Tespa sia un falso testimone?

Io credo che sia capace di esser corrotto. Ignoro, però, se sia stato o no corrotto da Nigro e persuaso a disdire ciò che disse.

Va bene, ma ancora non si trova né un movente convincente e né Ciccio Nigro, che potrebbe spiegare tutto.

Poi si presenta il forese Antonio Lo Feudo, alias Teresina, e racconta qualcosa di veramente interessante che potrebbe chiarire il movente:

Pasquale Vivacqua aveva manifestato il pensiero di voler uscire dal servizio del signor Pietramala perché Ciccio Nigro gli aveva detto in faccia che doveva fottergli la moglie. Vivacqua, ad evitare disturbi, era andato ad abitare in una casa del barone Vercillo con la speranza di entrare al servizio di costui. Il ventotto settembre incontrai Ciccio Nigro in contrada Pullarella e gli dissi “adesso perdete il forese Pasquale Vivacqua…” e lui mi rispose “ancora non se n’è andato, ma se se ne va li do tante palate che starà otto mesi a letto”. Fatto ritorno a casa chiamai Pasquale e lo avvertii di tale minaccia e lui mi rispose “deve venire di dietro, ma se viene davanti ce la vediamo!”. Per detto della moglie di Pasquale, so che lei, nell’amoreggiare che faceva con costui, venne chiamata da Ciccio Nigro che le disse “non sposare Pasquale chè non te lo fo godere neppure un mese perché è mio pensiero farti sposare un altro”. Questa proposta venne respinta da Maria con sdegno, come lei mi disse

Quindi, secondo questa ricostruzione, Ciccio Nigro aveva in mente di fare di Maria Prete il suo giocattolo sessuale facendole fare un matrimonio di facciata con qualche sempliciotto e godersela a suo piacimento. Ma perché Maria non lo ha detto? Vergogna o paura? Probabilmente vergogna perché adesso anche Michele Astorino, cognato del povero Pasquale, ammette:

Il motivo reale di una tale divergenza tra Ciccio Nigro e mio cognato è il seguente: Nigro voleva ad ogni costo godersi Maria e tanto ciò è vero che quando lei volle sposare mio cognato, egli si oppose volendo invece che avesse sposato altro individuo quasi fatuo per così riuscire nel suo pravo disegno. Pasquale si accorse di tutto e allontanò la moglie da San Biase conducendola tra noi in contrada Prioli. Tutto quanto ò riferito è stato confessato più volte da Pasquale mio cognato prima che perdesse la parola. Maria annuiva a quanto diceva il marito circa le pretese di Ciccio Nigro, per il resto ascoltava al pari di noi.

E Maria? Si deciderà a dire qualcosa? Ascoltata dal Giudice Istruttore conferma quanto ha gia detto, cioè niente se non una specie di giustificazione di Ciccio Nigro e poi, alla domanda del magistrato risponde:

Da pochi giorni mi ero unita in seconde nozze coll’infelice mio marito Pasquale e non mi ero accorta che Nigro aveva in mente di giacere con me, né molto meno potei capire ch’esso mio marito era geloso di lui. Credo, piuttosto, che il misero mio marito voleva abbandonare il servizio del Nigro perché faceva maggiori lucri col novello padrone. Fu percosso a causa che il Nigro si dispiacque e lo percosse, donde la sua morte

Niente da fare. E Maria continua a sorprendere tutti dichiarando di non volersi costituire parte civile nel processo, cosa che invece fanno la madre, il fratello e la sorella della vittima. Perché Maria no? Mistero.

Siamo ormai alla fine di dicembre del 1881, quasi due mesi dopo i fatti, e il ricercato è ancora latitante. E non ci sono sue notizie nemmeno il 10 febbraio 1882, quando la Sezione d’Accusa è chiamata a decidere sul rinvio a giudizio di Angelo Ciccio Nigro per rispondere di ferite volontarie che han prodotto la morte. Il Collegio Giudicante dimostra subito di avere dei dubbi circa il titolo del reato e osserva: tenuto conto della causale, ostacolo alle lascive voglie, alle minacce precedenti, al modo come Nigro si avvicinò a Vivacqua prima di colpirlo, si rileva che il detto Nigro prima di dare i colpi aveva di già formato il disegno di disfarsi di Vivacqua e che tal proponimento lo mandò ad effetto proditoriamente, avvicinando la vittima designata col sorriso sulle labbra fingendo amicizia e che poi ebbe intenzione di uccidere e non ferire risulta chiaro sia per la quantità dei colpi vibrati, sia pel sito ove furono diretti, sia per la violenza. Per lo che non è a parlarsi di ferite, sibbene di omicidio volontario qualificato assassinio per premeditazione e prodizione (tradimento, cioè, in questo caso, l’essersi avvicinato alla vittima fingendo amicizia. Nda) ed in questi sensi è uopo modificare la rubrica del reato.

La conseguenza è che Angelo Ciccio Nigro viene rinviato in contumacia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

La causa si discute il primo maggio 1882. Per il Collegio non ci sono dubbi e gli esiti sono drammatici:

Angelo Nigro, figlio del fattore dei signori Giannuzzi Savelli, aveva concepito dissonesta passione per la moglie del Vivacqua ed in più circostanze manifestò intento di volerne violare l’onore, di maniera che il Vivacqua mandò via la moglie e prese divisamento di andarsene altrove a procacciarsi il pane. Avutone conoscenza il Nigro, proferì minacce di morte e colse il destro onde menarlo ad effetto. Era il Vivacqua nel dì 11 ottobre 1881 nella contrada San Biase intento ad accomodare un aratro nell’ora che sopravvenne il Nigro e sorridendo dimostrossi amico. Indi, proditoriamente lo ferì sul capo con colpi di bastone e lo lasciò semivivo sul suolo. Fratturato il parietale destro produsse emorragia e subita morte. Le cause che precedettero, i conquesti dell’offeso, varie testimonianze, la fuga immediata, la latitanza comprovano la reità del Nigro e la manifesta volontà di uccidere.

Ha considerato che due aggravanti intervennero, la premeditazione e la prodizione. Aveva Nigro formato il disegno prima dell’azione di attentare alla vita di Vivacqua e miselo in atto con simulazione di amicizia, che non dava motivo di alcuna diffidenza.

Ha considerato che l’omicidio, accompagnato da premeditazione o prodizione si appella assassinio, se volontariamente commesso.

Ha considerato che l’estremo supplizio è la pena di tal crimine, che la sentenza di tal crimine deve essere stampata, affissa e pubblicata e che ne sono le conseguenze il pagamento delle spese a pro dell’Erario dello Stato e del ristoro dei danni a pro della parte lesa.

Per tali motivi

La Corte condanna Nigro Angelo, riconosciuto dal pubblico come Francesco, alla pena di morte, al pagamento delle spese ed al ristoro dei danni. Ordina che la presente sentenza sia stampata, affissa e pubblicata nei modi e luoghi voluti dalla legge.

Così giudicata in Cosenza oggi, la prima di maggio milleottocentottantadue dai signori Cav. Giacomo Pallotta Presidente, Luigi Viviani e Giuseppe Martini giudici.[1]

Ciccio Nigro, sicuramente emigrato clandestinamente sotto falso nome in qualche parte del mondo, quando qualche amico fidato o familiare lo avvisò della condanna avrà sorriso con lo stesso sorriso che aveva stampato sul viso il fatidico 11 ottobre 1881, e avrà pensato: “Provate a prendermi!”.

[1] ASCS, Processi Penali.