È il 30 dicembre 1948, in casa di Carlo Raimondi, nella frazione Marri di San Benedetto Ullano, fanno le frittole e ci sono, come da tradizione, alcuni invitati tra i quali Filippo Zoccoli. Per finire di mangiare ci vuole la sera e tutti, per usare un eufemismo, sono abbastanza brilli. Raimondo, Zoccoli e altri decidono di andare nel locale circolo ricreativo CRAL per divertirsi ancora un po’ con altri amici.
– Buonasera compagni! Me ne frego dei democratici fascisti! – saluta Raimondo, stendendo il braccio col pugno chiuso, poi tocca la testa di Saverio Lato, che sta giocando a carte. Costui, infastidito, mostrandogli un distintivo sul bavero della giacca, gli risponde:
– E io me ne frego di te, io sono fascista!
Ne nasce una vivace discussione alla quale partecipano anche altre persone e principalmente Achille Gaudio e Filippo Zoccoli.
Gaudio rimprovera Raimondo e, per evitare che l’alterco degeneri in rissa, lo invita ad uscire dal locale. Zoccoli, al contrario, prende le difese del suo amico ed esclama:
– Carluccio, tu resta qui, a te non ti tocca nessuno perché io rompo il culo a tutti!
È chiaro che da un momento all’altro scoppierà il finimondo e allora il gestore del circolo, Giuseppe Iulianelli, ingiunge a tutti i presenti di uscire. Una volta fuori, Gaudio prende da parte Zoccoli e, camminando in direzione della piazza del paese, gli dice:
– Ce l’hai con me? Io non ti ho fatto nulla!
Dietro di loro sta camminando Silvio Matera, fratello uterino di Zoccoli, e qualche metro più indietro Francesco Cipriani, Carlo Raimondo e Mario Ramundo. Quando i primi tre sono davanti al tabacchino di Angelina Buono, all’improvviso si azzuffano e nelle mani dei fratelli spuntano due coltelli, con i quali cominciano a colpire Gaudio.
– Mamma mia! – urla il ferito accasciandosi a terra. Sentendo queste parole, Mario Ramundo corre in aiuto del suo amico, ma Filippo Zoccoli, non appena si sente strattonare, si gira, lo vede e gli dice:
– Anche tu qui? – e subito gli si avventa contro vibrandogli una coltellata al basso ventre, facendolo stramazzare al suolo.
I due fratelli si guardano negli occhi e scappano sparendo nel buio, mentre sul posto arriva gente che soccorre i feriti e li accompagna dal dottor Aristodemo Milano, il quale costata su Gaudio quattro ferite da punta e taglio: una all’ipocondrio sinistro penetrante nella cavità addominale con ernia epiploica, un’altra alla regione lombare destra, un’altra alla regione occipito-parietale destra e l’ultima, di striscio, sull’angolo labiale zigomatico destro. Su Ramundo è presente una sola ferita da punta e taglio alla regione mediale ipogastrica penetrante in cavità con fuoriuscita di un’ansa intestinale, lesione del peritoneo e notevole emorragia. Data la gravità delle ferite di entrambi, il medico ne ordina il ricovero in ospedale per essere sottoposti ad intervento chirurgico urgente.
Ed in attesa della preparazione delle sale operatorie, i Poliziotti di servizio in ospedale hanno il tempo di interrogarli:
– Verso le sette di sera sono stato colpito con quattro coltellate dai fratelli Zoccoli. Detti fratelli mi hanno dato due colpi per uno – dichiara Gaudio.
– E perché lo hanno fatto?
– Il movente della questione è dovuto al fatto che il giovane Carlo Raimondo era venuto a diverbio per ragioni di partito con certo Saverio Lato. Carlo Raimondo è comunista, mentre Lato è democratico cristiano. Nella circostanza io ho fatto da paciere e sono riuscito ad allontanare Raimondo portandolo con me fuori dal dopolavoro. È intervenuto Filippo Zoccoli e, bestemmiando, ha rivolto a Raimondo le seguenti parole: “Perlamadonna, vieni con me, non ti toccherà nessuno perché romperò il culo a tutti!”. E così Raimondo è tornato insieme a Zoccoli e io sono rientrato nel locale, ma per prudenza non ho risposto alle parole profferite da Zoccoli. Quando tutto sembrava calmo chiesi spiegazioni a Zoccoli sui motivi per i quali pronunciò quelle parole e uscimmo fuori parlando. Dopo aver percorso una trentina di metri, a tradimento fui aggredito alle spalle con due coltellate vibratemi da Silvio Matera e contemporaneamente fui colpito da suo fratello Filippo Zoccoli.
– Ricordate come erano i coltelli?
– Il coltello di Filippo era con lama lunga a forma di pugnale, mentre non mi è stato possibile scorgere il coltello di Silvio.
– E Ramundo, l’altro ferito, cosa c’entra in tutto questo?
– Il mio amico Mario, che ha avuto modo di assistere alle scenate, era intervenuto per fare da paciere e nel contempo per cooperare per allontanarmi dall’ira dei fratelli, ma purtroppo è stato anche lui colpito a coltellate da Filippo Zoccoli.
Mario Ramundo, da parte sua, conferma parola per parola quanto ha riferito Gaudio, proprio mentre lo stanno portando in sala operatoria ma, nonostante l’operazione sia riuscita, cinque giorni dopo muore e adesso il reato diventa omicidio volontario.
Dei fratelli uterini non c’è traccia, poi l’8 gennaio 1949 Filippo Zoccoli si costituisce in carcere:
– La sera del 30 dicembre, nonostante fossi stato alle frittole di Carlo Raimondo, non ero ubriaco. Andammo al dopolavoro e Carlo, nemmeno lui era ubriaco, appena entrato salutò i presenti col pugno chiuso dicendo: “Compagni, buonasera!”. Tale saluto non piacque a Gaudio che, rivolto a Carlo Raimondo, disse: “Se non la fai finita ti piglio a schiaffi!”. Intervenni allora io e con buone e garbate parole feci presente a Gaudio che il mio amico, fra l’altro minorato fisicamente perché zoppo, non meritava di essere trattato in quella maniera. L’incidente lì per lì ebbe fine, senonché Gaudio, uscito dal locale quasi subito dopo, tornò dopo una ventina di minuti e, chiamatomi sulla porta, mi invitò ad andare con lui fuori paese. Io, per evitare questioni, rifiutai dichiarandomi però pronto ad andare con lui nella vicina piazza per un’amichevole discussione. Assieme ci avviammo verso la piazza e durante il tragitto Gaudio non fece altro che insultarmi e provocarmi dicendomi: “Vigliacco, mascalzone, non ti devi permettere di rispondere quando parlo io, se no ti rompo il culo!”. Io, sempre per evitare questioni, non risposi. Quando eravamo a circa duecento metri dal dopolavoro e stavamo per arrivare in piazza, Gaudio mi tirò un pugno alla testa pronunziando le parole: “Ora rompo le corna a te e a tutta la razza tua”. Io risposi tirando un pugno a lui e in questo momento Gaudio portò la mano alla parte posteriore dei pantaloni e fece la mossa di estrarre un’arma da una fondina di cuoio, che io distinsi benissimo quando, al movimento della mano il risvolto della giacca si piegò all’indietro, ma non mi fu possibile vedere arma alcuna poiché, proprio in quel momento, mi sentii all’improvviso colpire da due pugni alla testa e capii di avere un altro nemico. Allora, per difendermi e liberarmi dai due aggressori, estrassi di tasca un temperino e colpii prima chi mi stava di dietro e poi Gaudio il quale, come vidi distintamente, non aveva ancora estratta alcuna arma dalla fondina sulla quale, peraltro, teneva sempre poggiata la mano. Appena colpiti i due, per paura di essere aggredito ancora e sparato, mi diedi a scappare, proprio nel momento in cui sopraggiungeva mio fratello Silvio il quale, avendo sentito dirmi: “Fuggiamo se no ci sparano”, si mise a scappare con me…
– Quindi l’altro non sai chi sia…
– Quando fui colpito da due pugni alla nuca, nel girarmi riconobbi Mario Ramundo, garzone del padre di Gaudio.
– Abbiamo molti testimoni che nel dopolavoro ti hanno sentito pronunciare parole di minaccia, sei sicuro di non avere detto niente?
– Non è vero che abbia detto parole di minaccia.
– Secondo quanto hanno raccontato Gaudio e la buonanima di Ramundo, tu aggredisti Gaudio e poi Ramunno, quindi arrivò tuo fratello e tutti e due li avete accoltellati. Gaudio sostiene che avevi in mano un pugnale…
– Ripeto che fui soltanto io a colpirli e ciò feci per difendermi e mai con l’intenzione di uccidere, tanto più che con tutti e due ero in ottimi rapporti di amicizia. È falso che io avessi un pugnale o un lungo coltello poiché quella sera avevo solo un temperino, che mi cadde durante la fuga.
– Erano presenti testimoni che possono confermare le tue parole? Il luogo era illuminato?
– Sul luogo non si trovava alcuna persona presente ed era scarsamente illuminato da una lampadina elettrica.
– Tu e tuo fratello eravate ubriachi?
– Assolutamente no!
Però Zoccoli forse si sbaglia perché si presenta un certo Antonio Spinelli che sostiene di essere stato presente ai fatti e racconta le cose esattamente come le ha raccontate Filippo. Poi si presenta anche un ragazzino che, dicendo di aver visto tutto, conferma la versione di Gaudio. Chi dice la verità? Secondo almeno sette testimoni Spinelli certamente mente perché non poteva essere a quell’ora in quel posto e quindi, di conseguenza, è al ragazzino che bisogna prestare fede.
Ma nonostante la versione di Zoccoli sembri proprio non reggere, il suo difensore e quello di suo fratello uterino, gli avvocati Luigi Gullo e Florindo De Luca, insistono sulla legittima difesa scrivendo al Giudice Istruttore: Zoccoli è stato necessitato all’azione dalla violenza altrui, la quale si è manifestata con tutta la ben nota tecnica dei malandrini; al povero Zoccoli, colpevole di nulla, è stato, la sera del fatto, teso il più cattivo degli agguati. Le parti offese, che con la loro condotta hanno creato le condizioni dalle quali è stato necessitato il comportamento di Zoccoli, pare che si agitino per trascinare nella processura persone che non hanno commesso proprio nulla. Vi preghiamo, all’uopo, di procedere con la massima cura e con la prudenza che il caso impone.
Parole che lasciano intuire che tutto si è svolto in un brutto ambiente, anche se da tutte le testimonianze agli atti, nulla lascia pensare che Gaudio e Ramundo siano dei malandrini. No, veramente non proprio da tutte le testimonianze, perché qualcuno racconta di botte, minacce e soprusi ricevuti ad opera dei due.
Di Silvio Matera non ci sono ancora notizie e ci vorrà la fine del mese di aprile del 1950 perché si costituisca. Interrogato direttamente dal Procuratore della Repubblica, si difende:
– Nego di aver commessi i reati che Vostra Signoria mi contesta. Sono innocente e non so proprio spiegarmi come mai io sia stato accusato di aver concorso nell’omicidio di Mario Ramundo e nel tentato omicidio di Achille Gaudio. La sera del 30 dicembre 1948 mi trovavo nei pressi di Piazza Corsini, vidi mio fratello Filippo litigare con Gaudio e Ramundo. Quando mi avvicinai la lite era finita. Mio fratello, nel vedermi giungere, mi avvertì di allontanarmi perché Gaudio e Ramundo potevano ammazzarmi e allora io, intimorito, corsi dietro a mio fratello e ad un certo momento pensai bene di andarmene a casa.
– A noi risulta che le cose andarono diversamente, cioè che accoltellasti due volte Gaudio alle spalle mentre litigava con tuo fratello.
– Il fatto è avvenuto come io ho narrato. I testimoni indicati da Gaudio riferirono cose non rispondenti al vero e non so spiegarmi come essi mi accusino di fatti che non ho commesso. Ripeto che io non ero presente né prima che avvenisse la discussione tra mio fratello e Gaudio, né durante la discussione e perciò non potevo colpire quest’ultimo alle spalle. Purtroppo non posso indicare testimoni a mia discolpa perché in quel momento non badai a guardare chi fosse presente alla lite e non so dire se i testi indicati da Gaudio e Ramundo fossero presenti alla discussione.
Per gli inquirenti può bastare e, dichiarata conclusa l’istruttoria, chiedono ed ottengono il rinvio a giudizio di tutti e due gli imputati per rispondere di omicidio volontario in persona di Mario Ramundo e tentato omicidio in persona di Achille Gaudio. Ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Cosenza il 13 giugno 1950.
Durante il dibattimento Zoccoli viene smentito da tutti gli avventori del dopolavoro: la sera del 30 dicembre 1948 era visibilmente avvinazzato e non lucido come ha sempre sostenuto. Forse l’ubriachezza potrà essergli d’aiuto.
Per la Corte non ci sono i presupposti per parlare di omicidio volontario e tentato omicidio e quindi bisogna derubricare i capi d’imputazione in omicidio preterintenzionale e lesioni gravi. D’altra parte, per la Corte, non ci sono dubbi sulla responsabilità di entrambi gli imputati in ordine al delitto di lesioni gravi in danno di Achille Gaudio e del solo Filippo Zoccoli in ordine al delitto di omicidio preterintenzionale in danno di Mario Ramundo. Riguardo all’aggressione nei confronti di Gaudio, la Corte basa il suo convincimento non solo prendendo per buona la versione di Achille Gaudio, che ha sempre sostenuto di essere stato aggredito alle spalle da Silvio Matera e non dal fratello Filippo Zoccoli, che si limitò a prestare manforte al fratellastro vibrandogli due coltellate nella parte anteriore del corpo, ma anche dalle ubicazioni delle ferite sul corpo della vittima: due alla parte posteriore del corpo e due a quella anteriore, circostanza, questa, che dimostra come Gaudio venne colpito da due persone e nel modo da lui indicato. In più ci sono i testimoni che hanno dichiarato di aver visto Matera seguire il fratello e Gaudio fin dall’uscita dal dopolavoro, staccarsi di corsa dal gruppo ed avvicinarsi ai due mentre ancora discutevano e non dopo il ferimento. E, stando così le cose, è inutile che la difesa insista con la richiesta della legittima difesa nei confronti di Ramundo in quanto è risultato che costui accorse, senza alcuna arma, in aiuto di Gaudio quando costui era stato già aggredito e al solo scopo di mettere pace e quindi nessuna offesa, né reale e né presunta, arrecò a Zoccoli.
Inoltre, per la Corte, Silvio Matera, pur partecipando al ferimento di Gaudio, non concorse in alcun modo a quello di Ramundo in quanto è risultato in modo pacifico, per ammissione della stessa vittima, che costui venne colpito con un solo colpo vibratogli da Zoccoli. E non potrebbe essere altrimenti perché il delitto commesso da Filippo Zoccoli fu ideato ed eseguito improvvisamente.
Accertati i fatti, la Corte osserva che, anche in mancanza di una causale adeguata, siccome gli imputati non insistettero nell’azione violenta contro le vittime, nessuno degli imputati agì con la volontà di uccidere, ma soltanto ferire.
La Corte decide, in considerazione degli ottimi precedenti penali, di concedere a Filippo Zoccoli il beneficio delle attenuanti generiche, beneficio che nega a Silvio Matera in considerazione delle precedenti condanne riportate e del fatto che fu proprio lui a prendere l’iniziativa della violenza, facendo precipitare un semplice alterco verso un epilogo così tragico.
Chiarito anche questo aspetto, non resta che determinare le condanne da infliggere ai due.
Silvio Matera viene condannato ad anni 3 e mesi 6 di reclusione; Filippo Zoccoli ad anni 13 della stessa pena, oltre alle pene accessorie, spese e danni. Ma c’è da applicare l’articolo 1 del D.P. 23/12/1949 N. 930: a Zoccoli vengono condonati anni 3 di reclusione e a Matera anni 2.
La difesa propone appello e, il 28 luglio 1952, la Corte d’Appello di Catanzaro, accogliendo parzialmente il ricorso, riduce la pena inflitta a Filippo Zoccali ad anni 10 di reclusione (ovviamente bisogna sempre considerare i tre anni già condonati) e rigetta il ricorso di Silvio Matera.
Il 28 maggio 1953 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Filippo Zoccali, mettendo la parola fine alla vicenda.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.