LA CORONA DI FAMIGLIA

Il 15 maggio 1904, dopo quasi quattro anni passati Allamerica, il ventisettenne stagnino Francesco Montesano torna a San Nicola Arcella dove ha lasciato sua moglie, la ventunenne Maria Teresa Margarita. Posato il bagaglio davanti casa, Francesco respira profondamente prima di entrare e riabbracciare la moglie, ma la porta è chiusa, chiaramente chiusa a chiave, e le due finestre sono anch’esse chiuse. Strano, non ricorda che sua moglie avesse mai avuto, nella decina di mesi di convivenza prima di emigrare, l’abitudine di serrare tutto per uscire. Allora bussa, la chiama ad alta voce, ma niente. Una vicina, richiamata dal trambusto, si affaccia e gli dice che Maria Teresa è partita. Partita? E per dove? Boh!? Forse per la Spagna dove abita il padre. E quando?

– Avantieri sera. L’ho vista che portava via un sacco di roba da casa e due o tre persone l’aiutavano…

– E chi erano?

– Non ho riconosciuto nessuno, era troppo buio.

Sconsolato, Francesco va a casa di suo padre e qui trova sua sorella Angela Rosa che, con gli occhi accesi dall’ira, gli dice:

– Tua moglie è scappata con il mio fidanzato!

La terra sembra aprirsi sotto i piedi di Francesco e ingoiarlo nelle sue viscere. È un cornuto e sua sorella è una disonorata come tutta la famiglia! Corre a casa, riesce a forzare la porta e ad entrare. Tutto sembra in ordine, solo che mancano un baule, tutta la biancheria, l’oro che aveva regalato a Maria Teresa, i salami e qualche altra cosa. Con gli occhi di fuori per la rabbia va dal Pretore e gli racconta:

Sciaguratamente, nel 1899 contrassi matrimonio con Maria Teresa Margarita, domiciliata a San Nicola Arcella, e dopo circa dieci mesi partii per l’Estero, da cui sono tornato stamattina. Dall’Estero ho continuamente pensato a mia moglie e per farla vivere agiatamente in più volte le ho spedito più di duemila lire. Mia moglie, intanto, lungi dal guardare e rispettare l’onore mio e della famiglia, invece di consacrare a me tutto il suo affetto, a me che lavoravo lontano per l’incremento della famiglia, si dava al contrario al bel tempo, contraendo relazioni carnali con un tale Antonio Marino, lavorante sulla linea ferroviaria. Adesso sono scappati insieme e si è portata via tutto…

Così parte la denuncia per adulterio e appropriazione indebita per i due amanti e i Carabinieri cominciano ad indagare tanto per scoprire chi siano le altre persone coinvolte, quanto per scoprire dove diavolo siano andati gli adulteri.

Il Brigadiere Angelo Martino, tra testimonianze e confidenze, viene a sapere che gli oggetti rubati devono trovarsi depositati nel casello ferroviario N. 138 dove è domiciliato Francesco Marino e vanno a fare una perquisizione. Lui, ovviamente, non c’è ma c’è la matrigna, Maria Raimondo, che dice di non sapere niente di oggetti trafugati. Però, man mano che i Carabinieri rinvengono i detti oggetti, la donna confessa che i medesimi appartengono a Maria Teresa Margarita.

– C’eravate anche voi quando la roba è stata trafugata? – Maria è titubante, poi ammette:

– Si… io e il mio figliastro, accompagnati da Maria Teresa e da una certa Angela, da noi stessa invitata ad aiutarci, abbiamo trasportato gli oggetti in casa mia. Maria Teresa ha detto che era roba sua, ma non so cosa debbo farne, visto che mio marito, Antonio e Maria Teresa sono partiti per andare ad Acerra, da dove lei dovrebbe recarsi in Spagna presso il genitore

Tutta la refurtiva trovata viene sequestrata e restituita a Francesco Montesano che la terrà in custodia, compresa la chiave di casa, avendone egli stretto bisogno, e Maria Raimondo viene dichiarata in arresto e portata nel carcere di Scalea. Con lei e Maria Teresa, per quanto riguarda il furto, vengono denunciati anche Antonio e suo padre Francesco il quale è appena rientrato in paese e viene anch’egli portato al fresco.

Tre giorni dopo accade quello che nessuno si sarebbe aspettato: Maria Teresa Margarita si presenta spontaneamente dal Pretore di Scalea:

Avendo saputo che mio marito si è querelato contro di me per adulterio, mi presento spontaneamente per chiarire i fatti – esordisce –. Partito mio marito Allamerica circa quattro anni dietro, circa due anni dietro Antonio Marino cominciò ad amoreggiare colla sorella di mio marito ed entrammo così in confidenza, per modo che io facevo l’imbasciate ad entrambi. Mia suocera, vedendo l’intimità tra me e Antonio, circa un anno dietro cominciò ad esternare sospetti sul mio conto. Ciò fu causa che io, a poco a poco, mi determinassi a tradire la fedeltà coniugale, per modo che Antonio fu preso da passione per me e lo dimostrano le lettere, le cartoline e le due fotografie che mi spedì allorché si trovava sotto le armi. Appresa pochi giorni dietro la notizia del rimpatrio di mio marito, Antonio si consigliò in Scalea da qualche persona che lo indusse a schivare per prudenza l’incontro con mio marito, conducendo me con lui in qualche luogo sicuro. Io, ritenendo che Antonio avesse mezzi sufficienti, mi determinai a seguirlo credendo che fossimo andati all’Estero e pieno il baule di vari oggetti e raccolti in due cesti il pane col salame, li trasportammo nel casello ferroviario abitato da Antonio e sua famiglia, con l’intenzione di portarli con me nel viaggio. Il padre di Antonio, tornato dal servizio, nel vedere il baule e i cesti protestò dicendo che non voleva trattenerli nella sua abitazione e cedette soltanto alle mie preghiere. Fatto conoscere al padre l’intenzione di allontanarci, egli, che dovea recarsi ad Acerra presso un suo fratello, ci propose di andare assieme ed infatti partimmo. Giunti a Napoli fummo consigliati a ritornare

– Confermi che la roba presa è tutta di tuo marito?

– No. Le due collane e gli anelli d’oro, come pure lo scialle di seta, il fazzoletto di seta gialla col pezzo di velluto ed il baule appartengono a mio marito, il restante degli effetti sono di mia esclusiva proprietà!

Antonio e suo padre confermano la versione dei fatti data da Maria Teresa e siccome i precedenti penali degli indagati sono ottimi, tutti e tre ottengono il beneficio della libertà provvisoria, ma qualche giorno dopo la loro scarcerazione, il 25 maggio, accade un fatto singolare che rischia di inasprire gli animi e far scorrere il sangue: sul muro del giardino attiguo alla piazza di San Nicola Arcella viene trovato affisso uno scritto diffamatorio con relativi disegni, chiaramente riferito a Francesco Montesano, che ne viene in possesso e lo presenta al Pretore di Scalea per denunciare il fatto:

Tale scritto si appartiene a Marino Antonio, contro il quale mi sono precedentemente querelato pel reato di adulterio commesso in correità con mia moglie, e ora mi querelo anche per questo – dice porgendo un foglio con un disegno ed uno scritto abbastanza lungo.

“Deve esserci scritto qualcosa di veramente offensivo per avere spinto Montesano a questo passo”, pensa il Pretore mentre comincia a leggere:

Cara moglie io sono venuto dalla merica e sono venuto a pigliarmi la corona di brilante con i corna tutti di oro e il denaro che ho portato io l’accucchiamo insieme con la corona di oro e ci siamo proprio propriatarioni. adesso non abbiamo bisogno di niente più perché siamo i primi del mondo, quindi mettiamo la corona in testa e lasciamoci caminare per mezzo al paese che ti ai abbracciato le corne mi metterei una morte in faccia e non uscisse nemmeno fuori della porta e nemmeno a Maria Teresa farei uscire come già non escie perché già è la più vergogna al mondo quando si accettano le corone di corne. Oltre di questo quando che ti ai pigliato i vavi dell’innamorato o sia la schiuma restata dei forestieri ma io lavrei bandonata e non la guardasse nemmeno in faccia per sino morta. Basta se non la vuoi capire la capirai se no quando per mezzo al paese o Casetto (Casaletto, l’antico nome di San Nicola Arcella. Nda) o qualunque paese devi bassare il cappello perché questa carta la manderò dove tu vai sempre mezzo alla piazza, perché ti ai abbracciato tua moglie con le corna dei forestieri certo tu capirai tutto.

Sono il Cazzo.

Beh, l’anonimo, oltre a chiamare cornuto Francesco Montesano, offende pesantemente anche Maria Teresa e quando le cose stanno così, se venisse provato che l’autore dello scritto è Antonio Marino, siamo pronti a scommettere che dovrà guardarsi le spalle con molta attenzione, cosa che, scommettiamo di nuovo, farebbe bene a fare chiunque altro, nel caso venisse scoperto.

Il Brigadiere Angelo Martino, che conduce anche questa indagine, brancola nel buio, poi una scintilla di luce sembra accendersi quando Francesco Marino, il padre di Antonio, gli confida di aver visto suo figlio mentre disegnava delle figure con una matita su di un pezzo di carta, ma che non fece caso e né può ammettere che siano le figure trovate sullo scritto anonimo. Interrogato, Antonio ammette che spesso si è divertito a disegnare delle figure simili, ma nega recisamente di essere l’autore di quelle in discorso.

Ma c’è qualcosa che potrebbe incastrarlo. Siccome sul retro dello scritto anonimo è riportata la bozza di una domanda di ammissione come operaio avventizio nelle ferrovie, viene fuori che Antonio ha effettivamente presentato una domanda simile e quindi quella bozza potrebbe essere stata scritta da lui. Potrebbe esserci qualcun altro, oltre a lui, che potrebbe avere usato lo stesso foglio? Secondo gli inquirenti, nessuno. Secondo il padre di Antonio, invece, il foglio di carta forse sarà stato smarrito da suo figlio e rinvenuto da qualche suo nemico che ne ha approfittato per comprometterlo. Chi potrebbe essere un potenziale nemico? L’uomo non è in grado di fare alcun nome.

Abbandonata dal marito e indispettita per lo scritto anonimo, che ritiene scritto da Antonio, Maria Teresa decide di farla finita con questa storia, ma Antonio sembra non volere accettare il nuovo stato delle cose e insiste perché scappino insieme.

La sera del 5 giugno, verso le 22,00, Antonio va a casa dell’amante vestito da donna e colla scure sotto la veste a scopo di difesa perché teme che Francesco Montesano possa appostarsi nelle vicinanze per fargli la festa. Maria Teresa apre, lo fa entrare e dopo alcuni complimenti si mettono a letto. Antonio depone la scure sul tavolo accanto al letto, mentre Maria Teresa mette pure a tiro un pugnale che di recente aveva fatto affilare all’amante.

– Vienitene con me ad Acquappesa, ho trovato un lavoro lì – le dice accarezzandola.

Maria Teresa, invece, con un balzo salta dal letto, afferra la scure ed il pugnale e con questo vibra un colpo all’addome dell’amante, che, sorpreso, balza a sedere sul letto tenendosi le mani premute sulla ferita. Maria Teresa è una furia, butta il pugnale e continua a colpirlo con la scure, ferendolo alla guancia sinistra. Poi mira alla fronte e abbatte la scure, ma Antonio, miracolosamente, riesce a schivare il colpo, che lo ferisce al braccio destro.

Maria Teresa, a questo punto, getta la scure e scappa nel buio della notte. Antonio, sanguinante, rimette gli abiti da donna e torna a casa, dove riceverà le cure del caso. Sebbene la ferita all’addome sia pericolosa di vita, se la caverà in una ventina di giorni, ma rimarrà col viso sfregiato per il resto dei suoi giorni.

Verso le 4,30 del 6 giugno Maria Teresa bussa alla porta di casa dell’Assessore Delegato Biagio Lomonaco. Le dicono di aspettare perché è ancora a letto e deve avere il tempo di prepararsi.

– È urgente, non posso aspettare. Ditegli che lo aspetto a casa, ma che venga subito perché è una cosa importantissima!

Lomonaco va quasi subito e Maria Teresa, piangendo, gli racconta:

Verso mezzanotte ho inteso bussare alla porta, ho chiesto chi fosse e mi è sembrato di riconoscere la voce di una donna del vicinato che per qualche possibile malore mi veniva a chiedere aiuto. Aperta la porta si è presentato Antonio Marino vestito da donna. Cacciatosi dentro e chiuso l’ingresso, a viva forza mi ha obbligata a coricarmi secolui. Per schermirmi dalle violenze gli ho detto di coricarsi priamente lui, mentre l’avrei seguito subito. Lui si svestì e si mise a letto e io, fingendo di dover ottemperare a bisogni corporali, ho preso un pugnale e, avvicinatami al letto, gli ho vibrato un colpo nell’addome. Lui in precedenza aveva deposto sul guanciale una piccola scure. Nel ricevere il colpo mi afferrò la mano e con l’altra mano afferrò la scure e vibrò alcuni colpi. Io, per paura di essere uccisa, mi sono frettolosamente allontanata di casa.

L’Assessore, visto il letto tutto intriso di sangue, capisce che una violenta colluttazione deve esserci davvero stata e, trattandosi di una donna insultata nel mentre stava tranquillamente nel proprio domicilio, le consiglia di andare immediatamente a denunciare l’aggressione direttamente al Pretore. Comunque, per affrettare i tempi, Lomonaco manda a chiamare il Brigadiere Martino, che arriva dopo qualche ora. Constatate le condizioni della stanza, si mette alla ricerca di Antonio Marino e lo trova a casa. La versione del giovane è completamente diversa:

Ci spogliammo entrambi e ci coricammo insieme per circa tre ore e mezzo, poi mi assopii e mi svegliai di soprassalto e saltai sul letto chiedendo a Maria Teresa, che stava sulla sponda del letto, che cosa fosse mai che sentivo un bruciore nella pancia e lei mi disse: “Tu me ne facesti tante ed io te ne voglio fare una…” e mi colpì tre volte di seguito con la scure. L’afferrai ma riuscì a svincolarsi ed a fuggire. Temendo che andasse a chiamare i parenti per farmi finire, presi gli indumenti e la scure e fuggii

Martino capisce che il racconto del ferito è vero quando va a casa di Maria Teresa ma di lei non c’è più traccia, essendosi allontanata per ignota destinazione, non prima, però, di avere raccontato in pubblico la sua versione dei fatti.

Ma la mattina del 7 giugno Maria Teresa, accompagnata dall’Assessore Lomonaco, va a Scalea dai Carabinieri e si costituisce. Interrogata, conferma la sua versione dei fatti e aggiunge:

Il motivo per cui mi determinai a commettere il reato è il seguente: da circa un anno, durante l’assenza di mio marito, tenevo relazioni illecite con Antonio Marino. Dopo che mio marito mi querelò per adulterio e per avere sottratto alcuni effetti dalla casa nostra, io risolvetti, pur vedendomi abbandonata da mio marito, di ritirarmi in casa e di abbandonare la tresca con Antonio. Lui però non voleva desistere ed in uno degli ultimi giorni Antonio venne a trovarmi nel mio fondo e mi esortò a tenermi fedele a lui e prendermi coraggio. Mi suggerì di portare a lui il pugnale, quello che ho usato per ferirlo, per affilarlo e col quale avrei dovuto uccidere mio marito, piantandoglielo, come diceva Antonio, all’ombellico. Il due giugno gli portai il pugnale e lo affilò, poi me ne andai e lui mi accompagnò per un tratto mentre io l’esortavo a lasciarmi stare altrimenti sarebbe finita brutta. Non è vero, quindi, che io gli avrei dato appuntamento. Il giorno quattro Antonio venne davanti casa mia in compagnia di Nicola D’Elia e mi fece chiamare da un ragazzino. Affacciatami al balcone, Antonio m’invitò ad andare da lui, io mi rifiutai e chiusi il balcone mentre si mordeva le mani e la giacca. Disse alla mia vicina Angela Rosa Galiano che se fossi andata con lui si sarebbe acquietato, altrimenti avrebbe ammazzato me e mio marito e poi si sarebbe ammazzato. E le stesse cose mi ha detto quando venne di notte a casa mia…

– Ma se quando tuo marito ti ha denunciata tu te ne eri partita col tuo amante, perché adesso avresti rifiutato le sue proposte? Forse c’è stato qualche abboccamento con tuo marito con l’intesa che se tu avessi ucciso Marino ti avrebbe perdonata?

– No, non ho avuto nessun abboccamento con mio marito, tranne quando venne a casa per riprendersi gli oggetti che gli appartengono.

Quando i due ex amanti vengono messi a confronto, il contegno franco e risoluto di Maria Teresa, in contrapposizione a quello agitato ed equivoco tenuto da Antonio, fa vacillare le certezze degli inquirenti in merito al movente e alla vera dinamica, ma il ferimento resta e deve essere giudicato dal Tribunale Penale di Cosenza, come devono essere giudicati l’adulterio, il furto e anche la presunta diffamazione ai danni di Francesco Montesano, fatta mediante lo scritto che gli inquirenti attribuiscono ad Antonio Marino.

Il 19 agosto 1904 il Collegio Giudicante emette la sentenza:

La querela di Francesco Montesano, per quanto riflette i reati d’adulterio e di diffamazione è rimasta pienamente giustificata dai risultati dell’odierno pubblico dibattimento. Relativamente all’adulterio, i testimoni hanno concordemente accertata la notorietà in San Nicola Arcella della relazione carnale in cui vissero e continuarono a vivere i due giudicabili, specie quando si divulgò in paese la fuga dei due amanti e ciò non solo con grave offesa del povero Montesano, ma ben pure con grave scandolo ed offesa della pubblica moralità. Si arroga che gli stessi imputati non hanno punto negato la turpitudine da loro commessa. Per tale fatto, il Tribunale crede giusto applicare, tanto al coniuge adultero che al correo, mesi sei di detenzione per ciascuno.

Quanto poi alla lamentata diffamazione, l’imputato si è protestato innocente, se non che le parziali ammissioni del prevenuto Marino e gli altri risultati del dibattimento hanno offerto la prova sufficiente della piena responsabilità del medesimo. Per tale fatto stimasi equo infliggere al colpevole un anno di reclusione e lire mille di multa.

Ritenuto poi che dalla pubblica discussione è rimasta esclusa l’esistenza sia della voluta complicità nel furto lamentato dal Montesano ed ascritta ai giudicabili Marino Antonio e Ramundo Maria, sia della ricettazione imputata a Marino Francesco. Infatti è vero che Antonio Marino e la Ramundo prestarono la loro opera materiale al trasporto di una cassa ed una cesta alla casa di Marino Francesco e che quest’ultimo consentì a ricevere, ma è vero altresì che essi furono assicurati dalla Margarita che gli oggetti in parola a lei si appartenevano e non al marito. Pertanto devesi ritenere d’avere essi agito nella massima buona fede, tanto più che la maggior parte degli effetti furono poscia effettivamente riconosciuti di pertinenza della Margarita.

Quanto all’imputazione di porto di pugnale e di lesioni personali ascritte alla Margarita, la medesima, sin dal primo momento confessò di avere asportato fuori dalla sua abitazione un pugnale allo scopo di farlo affilare dal Marino Antonio e di avere, nella notte dal 5 al 6 giugno, nella propria casa in San Nicola Arcella e nel mentre Marino Antonio giaceva con lei nel letto, cagionato allo stesso, volontariamente e mediante colpi di pugnale e di scure, varie lesioni personali. Si scusò col dire di avere commesso tale fatto in un momento di sconforto e di turbamento delle sue facoltà mentali, determinati dal fatto di sapersi abbandonata dal marito e disonorata per colpa di Marino il quale, nonostante la volontà determinata d’essa Margarita di troncare con lui ogni relazione amorosa e della già manifestatagli decisione di non più riceverlo in casa (e ciò nella speranza di potersi riconciliare col marito e recuperare l’antico affetto di lui) si era fatto lecito in quella notte, vestito da donna, di presentarsi nella casa di lei e con una scure minacciata di morte (per come anche precedentemente praticato) ove essa non avesse ceduto alle sue voglie libidinose e continuata l’illecita tresca. Versione, questa, sebbene del tutto contraria a quella offerta dal Marino, confermata in quasi tutti i suoi dettagli dai risultati dell’istruzione, per come principalmente ne fanno fede i testimoni. Niun dubbio, quindi, che alla Margarita, rea confessa, competa il beneficio dell’infermità parziale di mente, pertanto, avuto riguardo alle circostanze tutte del fatto, stima equo condannarla alla pena di mesi sei e giorni cinque di reclusione per tutti i reati alla stessa ascritti.

Antonio Marino ricorre per Cassazione, ma il 3 maggio 1905 il ricorso viene rigettato. [1]

[1] ASCS, Processi Penali.