PORTA RISPETTO

È l’11 dicembre 1895 e manca ancora un’oretta al tramonto quando nel tabacchino di Salvatore Iaccino, in Via Botteghelle a Celico, entrano due clienti, i cognati Filippo Cavallo e Raffaele Corrado:

– Salutiamo! – fa Raffaele Corrado portandosi due dita al cappello, ricambiato da Iaccino e dagli altri due clienti che stanno chiacchierando tra loro. Poi caccia di tasca una moneta e continua – Dammi un sigaro.

Iaccino glielo porge e Corrado lo spezza in due, metà per lui e metà per suo cognato, che lo accende. In questo momento entra Salvatore Gaudio il quale, visti i due cognati, sbotta:

Bisogna rispettare le gente mia  perché non crederti di trovare delle femminucce!

Se non vi rispetto è perché poco m’importa di voi!  – gli risponde Filippo Cavallo. A queste parole Gaudio gli si avvicina minacciosamente ed il suo avversario fa subito la mossa di tirare il coltello.

Preoccupato che possa accadere qualcosa di brutto nel tabacchino, Iaccino si mette in mezzo e caccia via i due cognati, trattenendo Gaudio all’interno:

Quando vi volete quistionare andate fuori dal mio negozio!

Cavallo e Corrado escono e si fermano a pochi metri di distanza. Iaccino tiene per un braccio Gaudio, ma poi lo lascia per dare un sigaro ad uno dei due clienti che hanno pensato bene di farsi i fatti loro. A questo punto Gaudio mette la mano in tasca, tira fuori un coltellino a piegatoio, lo apre, se lo rimette in tasca ed esce sulla strada, ricominciando a litigare con i due cognati:

Non ho paura di voi due, son buono a rompervi la testa e farvi pisciare in un orciuolo!

Tanto forte sei che non hai paura di nessuno? – gli risponde ironicamente Raffaele Corrado.

E da una parola all’altra subito spuntano in mano i coltelli. Gaudio fa per lanciarsi addosso a Cavallo, ma questi, con una mossa fulminea lo anticipa e lo accoltella all’addome, facendolo stramazzare bocconi a terra. Potrebbe finire tutto qui, ma Cavallo non è soddisfatto e salta addosso all’avversario, cominciando a tempestarlo di coltellate alle spalle, mentre gli urla:

Ne vuoi più… ne vuoi più… ne vuoi più? – poi si alza ansimando, sputa a terra e scappa.

Gaudio, a sangue caldo, a fatica si rialza, poi si avvicina a Raffaele Corrado, che è rimasto fermo tutto il tempo col coltello in mano, e lo colpisce due volte al gluteo sinistro ed alla coscia, quindi ricade a terra praticamente morto perché una delle coltellate che ha ricevuto alle spalle gli ha perforato un polmone e reciso l’arteria polmonare.

I Carabinieri arrivano quasi subito, ma Gaudio è stato portato a casa ed è disteso sul letto, morto a 23 anni. I presenti raccontano come più o meno si sono svolti i fatti ed i militari vanno a casa di Raffaele Corrado, pure disteso sul letto mentre il medico gli sta ricucendo le ferite:

– Io e mio cognato abbiamo preso un sigaro e ce lo siamo diviso, poi è entrato Gaudio che ha detto a mio cognato che lo doveva rispettare se no lo faceva pisciare in un orciuolo e gli faceva una pugniata al muso. Poi ha dato una spinta a mio cognato, facendogli cadere la pipa. Così stavano per venire alle mani perché Gaudio fece mossa di tirare il coltello, anzi lo tirò fuori. Io, vedendo che le cose potevano venir serie, ho estratto pure il mio coltello non con l’idea di ferire Gaudio e di aiutare mio cognato, ma bensì di riappaciarli. Poscia, usciti fuori tanto mio cognato che Gaudio tra di loro si colluttarono, cadendo entrambi per terra. Io, vedendo questo, ho cercato di andarmene, ma Gaudio, alzatosi da terra, mi venne a dare due coltellate… sono innocente…

Di Filippo Cavallo per tutta la notte non ci sono notizie, poi la mattina successiva si presenta spontaneamente al Sindaco di Spezzano Piccolo e dichiara di volere essere inviato direttamente davanti al Prefetto e rimanere a sua disposizione, ma non viene accontentato e deve rispondere alle domande del Pretore:

Confesso di avere ucciso Salvatore Gaudio con un coltello a piegatoio, ma se tanto feci vi fui seriamente provocato. Il fatto avvenne nel seguente modo: io abito in una casa che resta nei pressi dell’abitazione della zia di Gaudio a nome Finita Scarpelli. La sera del giorno tre dicembre la Scarpelli disse a mia sorella Maria che andava in cerca di una donna allo scopo di mandare a rilevare un tomolo di castagne a Serra Pedace. Mia sorella si offrì, ma nel giorno seguente, malgrado che fosse stata chiamata dalla Scarpelli, non volle andare a rilevare le castagne ed io la bastonai. La Scarpelli, irritata, cominciò a parlar male dell’altra mia sorella più grande ed avendola io intesa, le dissi che a lei, come donna di età, non conveniva parlare in tal modo. Allora fu che la figlia della stessa si permise pronunziare al mio indirizzo la parola di cornuto ed altre simili. Nel giorno sette poi, dopo che io verso il mezzogiorno avevo cessato il lavoro di muratore nella chiesa di San Michele, venne da me Salvatore Gaudio e mi domandò conto del diverbio avvenuto con la zia ed avendogli risposto che erano ciarle di donne da non tenersi in conto, mi rispose: “Statti attento che debbo farti una passa magnifica” ed andò via con l’idea, forse, di mettere in attuazione la minaccia fattami. Nel giorno susseguente, giusto come mi riferì Salvatore Rosanova, cercò di mettersi d’accordo con Luigi Granata per bastonarmi. Stavano così le cose quando nelle ore pomeridiane di ieri, mentre mi trattenevo con mio cognato ed altri amici nella rivendita di Sali e Tabacchi di Iaccino, venne Gaudio e cominciò ad offendere dapprima Filippo Siciliano e poscia si rivolse a me con parole offensive. Io, per evitare quistioni, me ne uscii in mezzo alla via e mi posi a fumare. Allora fu che egli venne e mi vibrò uno schiaffo da farmi cadere a terra la pipa e siccome io manifestai anche una volta l’idea di volere andare via, egli mi diede del vigliacco, dicendomi nel contempo che doveva pisciarmi nelle orecchie e che quella sera doveva farmi la pelle e subito dopo estrasse un coltello e con lo stesso mi vibrò un colpo da produrmi al viso la ferita che mi osservate – in effetti sul viso ha qualcosa che somiglia ad un graffio – ed io, di contraccolpo, gli assestai due schiaffi da farlo cadere a terra ma egli, subito rialzatosi, mi venne contro un’altra volta col coltello, ragione per cui io, per garantirmi, col coltello a piegatoio che asportavo, gli vibrai vari colpi da farlo cadere a terra ed essendosi egli rialzato e seguitando ad inveirmi contro, io gli assestai altri colpi e poscia fuggii.

Poi cita come testimoni i due amici presenti nel tabacchino e altri paesani che erano in strada mentre accadeva la lite fatale. Il suo problema, però, è che nessuna delle persone indicate conferma la sua versione: Guido non gli tirò né schiaffi e né coltellate, ma fu lui che proditoriamente colpì la vittima all’addome e poi per altre sette volte alle spalle. Anche l’antefatto viene smentito e così si scopre ciò che potrebbe avere scatenato la furia omicida:

Nei primi di dicembre comandai la sorella di Filippo Cavallo per andarmi a prendere un tomolo di castagne a Serra Pedace e mi promise di si. La mattina seguente, però, mi disse di non potere andare ed io le risposi: “Una volta che tu per quello che mi devi non puoi farmi un servizio, almeno pagami e fai il comodo tuo”. Allora, di risposta soggiunse: “Fammi la cedola e ti risponderò”. Così, da una parola all’altra ci siamo irritate, ma senza profferire parole offensive al nostro indirizzo. Il fratello di costei, che trovavasi presente, sentendoci, forse urtato, cercò di venire in mia casa per battermi, ma io e mia figlia abbiamo chiuso la porta senza dire altro. Filippo Cavallo un tempo desiderava mia figlia e siccome io non volevo tale unione perché cattivo soggetto, egli andava sempre minacciandomi.

– Pare che vostra figlia lo abbia chiamato cornuto e gli abbia detto anche altre parole offensive…

Mia figlia giammai pronunziò la parola di cornuto ed altro

Ecco, lo sgarbo subito per il rifiuto della proposta di matrimonio, sommato all’intervento di Salvatore Gaudio in difesa della zia e della cugina sono stati la causa di tutto.

Quando tutto sembra chiaro, comincia ad accadere qualcosa di strano: tre testimoni cambiano versione e adesso sostengono che Gaudio schiaffeggiò Cavallo e gli vibrò una coltellata. Gli inquirenti li interrogano più volte, li sottopongono a confronti e riscontrano molte contraddizioni, per cui vanno avanti per la loro strada chiedendo ed ottenendo il rinvio a giudizio di Filippo Cavallo per omicidio volontario e di Raffaele Corrado per concorso in omicidio. È il 6 marzo 1896.

Il dibattimento è fissato presso la Corte d’Assise di Cosenza il 18 aprile 1896 e sembra che tutto scorra come previsto, finché un giurato chiede al Presidente della Corte di domandare ad uno dei tre testimoni che hanno cambiato versione se effettivamente Salvatore Gaudio avesse dato un ceffone a Filippo Cavallo fuori la rivendita, mentre il tabaccaio, interrogato immediatamente prima, ha deposto che lo avesse percosso dentro il botteghino, per lo che o l’uno o l’atro testimone dev’essere falso.

Il ceffone lo diede fuori la rivendita e non dentro ed io, essendo fuori della stessa, vidi quando Gaudio ne sortiva con un coltello fra le mani – giura Michele Falbo.

A questo punto la Parte Civile chiede che i due testimoni, avendo deposto il falso, siano sottoposti a procedimento di falso, ma il Pubblico Ministero afferma che per ora non è il caso di accondiscendere alla richiesta, non essendone il momento, però fa istanza che i due testimoni siano messi in disparte per poi riesaminarli. Magari così avranno la possibilità di capire cosa rischiano e quindi dire la verità. I due vengono messi in isolamento in due stanze separate del Tribunale in attesa di essere richiamati.

Ma non è ancora finita. Quando viene chiamata a deporre Rachele Sicoli, racconta:

Stando in casa intesi che Salvatore Gaudio profferì le parole “cornuto fregato”, senza capire a chi dirette. Uscita, vidi che Salvatore Iaccino cercava di dividere Gaudio da Cavallo. Dopo di ciò Gaudio trasse il coltello e disse: “Chi si vuol fare avanti, si faccia”, indi Cavallo trasse il coltello e si azzuffarono e non vidi che fecero

– È vero che Anna Scarpelli, la zia della vittima, testimoniò contro di voi in una causa, mentre voi le avevate chiesto di testimoniare a vostro favore? – chiede a bruciapelo il difensore di Parte Civile. Rachele Sicoli tentenna, poi risponde:

Due anni fa fui imputata  e Anna Scarpelli era testimone a carico, ma io non pretesi da lei che avesse mentito e perciò non sono sua nemica

Ma Rachele Sicoli nelle sue risposte ha tenuto un contegno sospetto per le varie contraddizioni in cui è incorsa e il Presidente della Corte, dopo di averla più volte seriamente ammonita sulla santità del giuramento prestato e sull’obbligo di dire tutta la verità, null’altro che la verità, ordina che sia fatta ritirare in una delle camere appartate per essere poi nuovamente interrogata.

Escussi tutti gli altri testimoni, il Presidente fa rientrare il tabaccaio e il ceffone di Gaudio a Cavallo magicamente sparisce:

Ho visto solo che Gaudio quando fece il segno a Cavallo di volergli fare una guanciata, non lo colpì

Michele Falbo invece conferma di aver visto Gaudio dare un ceffone a Cavallo fuori dal tabacchino.

Rachele Sicoli torna sui suoi passi e conferma ciò che ha dichiarato al Giudice Istruttore:

Ebbi occasione di vedere Salvatore Gaudio che, impugnando un coltello a piegatoio si avvicinava a Cavallo che estrasse a sua volta il coltello e con lo stesso vibrò a Gaudio un colpo alla pancia, da farlo cadere bocconi a terra e poscia fattoglisi sopra gli vibrò replicati colpi alla schiena, dicendo: “Ne vuoi più… ne vuoi più… ne vuoi più…”. Rialzatosi si diede in fuga.

Evidentemente le camere appartate portano consiglio ed ora si può proseguire perché è tempo di emettere la sentenza.

Filippo Cavallo è riconosciuto responsabile di omicidio volontario e, con le attenuanti generiche e della provocazione lieve, è condannato ad anni 11 e mesi 8 di reclusione, oltre alle pene accessorie, spese e danni.

Raffaele Corrado è riconosciuto responsabile di complicità non necessaria in omicidio volontario e, con le attenuanti generiche, viene condannato ad anni 7 e mesi 6 di reclusione, oltre alle pene accessorie, spese e danni.

Cavallo e Corrado ricorrono per Cassazione, ma il 3 luglio 1896 il loro ricorso viene rigettato e la pena è definitiva.

Il 25 novembre 1896 la Corte d’Appello di Catanzaro, in esecuzione del Decreto di Amnistia del 24 ottobre 1896, dichiara condonati mesi 3 della pena inflitta a Raffaele Corrado.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.