LA CAPANNA DELLA VIOLENZA

Nel 1916 Francesco De Rose di Aprigliano ha 11 anni, sa leggere e anche scrivere un po’ e vorrebbe imparare un sacco di cose, ma per aiutare la famiglia a mettere insieme il pranzo con la cena porta a pascolare una capra in un piccolo pezzo di terra che suo padre ha preso in fitto per coltivarci qualcosa, quando non va a zappare la terra come bracciante a Simeri Crichi in provincia di Catanzaro.

La mattina del 13 marzo 1916 Francesco, seduto sotto un alberello, sta facendo pascolare la capra quando sente un fischio. Si guarda intorno e vede il suo compaesano Gaetano Gallucci di 24 anni, che, poggiato al manico della zappa, lo guarda e gli fa segno di avvicinarsi. Il bambino si alza, scioglie la catenella che tiene legata la capra all’albero per non farla scappare e si avvicina con l’animale a Gaetano:

– Vedi che nella baracca c’è un po’ di grano, fallo mangiare alla capra – gli dice indicando una specie di capanna a qualche metro di distanza. A Francesco brillano gli occhi, con quel poco di grano la capra sarà sazia e potrà tornare a casa prima del solito.

Francesco si gira per andare alla capanna e si avvia, ma non si accorge che Gaetano gli è dietro ed all’improvviso lo afferra, gli strappa la catenella dalle mani e lega la capra ad un alberello. Poi con il bambino che scalcia ed urla disperatamente – il luogo è isolato e nelle vicinanze non c’è anima viva – entra nella capanna, lo butta a terra, sistema una tavola su quella che dovrebbe essere una porta, si abbassa i calzoni, afferra di nuovo il bambino che continua ad urlare e scalciare, lo denuda, gli chiude la bocca con un fazzoletto e ne abusa.

– Se lo dici a qualcuno t’ammazzo! – Nemmeno lo guarda mentre si sistema i calzoni laceri.

Anche il bambino si riveste, ma piangendo e con il sangue che gli scorre lungo le coscette scoperte. Esce dalla capanna. Riprende la capra e torna a casa camminando a fatica. Il dolore è troppo forte e Francesco decide di raccontare tutto a sua madre, Angiolina Paone, che lo prende in braccio ed esce di casa furibonda per andare da sua suocera a farle vedere lo scempio. Poi le due donne con il bambino vanno a passo svelto verso il campo dove stava zappando Gaetano Gallucci e passano accanto al campo di Leonardo Carbone.

Stamatina ha sentutu gridare lu guagliune miu? – gli chiede.

No, chi tena lu guagliunu?

Nente… nente… – gli risponde, riprendendo a camminare, mentre sul posto sta arrivando la moglie di Leonardo Carbone con il pane per il marito. Vede le donne avvicinarsi a Gaetano Gallucci, che sta ancora zappando. Le vede anche affrontare il giovanotto a muso duro, le sente urlare, ma senza capire le parole, poi vede la suocera di Angiolina afferrare un palo di vigna e dare un paio di colpi sulle spalle di Gaetano.

– Perché stanno litigando? – chiede al marito che, addentando il primo boccone di pane, alza le spalle per dire che non sa niente. Allora la donna decide di avvicinarsi ai litiganti e capisce che Angiolina, tutta ‘nzurfata, molto irritata per usare un eufemismo,  sta urlando in faccia a Gaetano Gallucci, accusandolo che aveva disonorato il ragazzetto.

Nun sacciu nente, non l’ho visto proprio stamattina – si difende e, raccattata da un ramo la giacca, si allontana.

– Angiolì, ma ch’è successo? – le chiede la donna.

– Vieni qua… – le risponde ansante e col viso ancora paonazzo per la rabbia. La donna si avvicina e Angiolina toglie i pantaloni al bambino per farle osservare che all’ano ha del sangue.

Tornata in paese, Angiolina va dai Carabinieri e racconta tutto al Maresciallo Giuseppe Medoro, aggiungendo:

– Però la querela non la voglio fare perché mio marito è assente.

Il Maresciallo storce il muso per il disappunto, ma pretende che Francesco sia visitato da un medico e che gli racconti con parole sue i fatti. Quando arriva il dottor Alfonso Cosentini, divaricate le natiche al bambino riscontra alla regione anale due lacerazioni superficiali: l’anteriore lunga circa un centimetro e mezzo, la posteriore, più in alto, lunga circa ¾ di centimetro. La regione si presenta alquanto arrossita, le natiche e la faccia interna delle cosce presentano qualche macchia di sangue. La maglia, la camicia e le mutande sono imbrattate di sangue. Le piccole lesioni sono di lieve entità, prodotte recentemente per introduzione di corpo estraneo (probabilmente membro virile). Assodato che il bambino ha detto la verità, il Maresciallo ordina alla madre di non lavare gli indumenti sporchi di sangue e di tenerli a sua disposizione, poi ordina ai suoi sottoposti di prepararsi per andare a fare un sopralluogo sul posto della violenza. In realtà non sarebbe tenuto, non c’è la querela, ma Medoro ha in mente, se riuscisse a trovare un appiglio, di procedere d’ufficio, ma deve essere certo che i fatti si svolsero in luogo pubblico o, almeno, in luogo esposto al pubblico. Perché? Perché i reati di natura sessuale, secondo il codice penale vigente, sono reati contro la morale e non contro la persona, quindi se uno stupro viene commesso in un luogo dove una persona, passando da lì, può assistere alla scena, il reato è perseguibile d’ufficio perché offensivo della morale, se è commesso in un luogo, diciamo così, privato, il reato è perseguibile solo su querela di parte e le pene per le due fattispecie sono abbastanza diverse.

Arrivati sul posto, Medoro ed i suoi uomini constatano che la capanna si trova nel terreno “Valle”, fra la strada provinciale e la comunale del rione Agosto e che non è visibile dall’una, né dall’altra parte.

– Uhm… il fatto non è avvenuto in luogo pubblico, né esposto al pubblico, bensì in luogo chiuso… come non detto, sospendiamo ogni procedimento e torniamo in caserma – fa, deluso, il Maresciallo Medoro.

Passano tre giorni, quando alle 15,00 in punto del 19 marzo Angiolina Paone bussa alla porta dei Carabinieri di Aprigliano e chiede di parlare col Maresciallo.

Ho mutato opinione… voglio fare la querela senza aspettare mio marito – gli dice. Medoro è raggiante ed in quattro e quattr’otto la querela è pronta e spedita. Poi manda a prendere Gaetano Gallucci, senza risultato perché nel frattempo sembra essere sparito dalla circolazione.

Mentre alcuni suoi uomini si prodigano per rintracciare Gallucci, Medoro scopre cose molto interessanti accadute immediatamente dopo la brutale sodomia ai danni del piccolo Francesco. Per esempio scopre che in paese Gaetano è definito ‘nu ciuatu, un idiota, un epilettico e per questo sarebbe stato riformato alla visita militare. Allora parte la richiesta all’Ufficio di Leva per avere notizie ufficiali e, nell’attesa, Medoro scopre anche che, nei primi giorni di aprile, la madre e la cognata di Gallucci si sono rivolte ad alcuni parenti perché vadano a parlare con i genitori di Francesco per farli desistere dalla querela. Gli interessati, interrogati, negano. Dice il sessantaseienne Giovanni Vigna:

Nei primi di aprile vennero in casa mia, mia figlia e sua suocera dicendomi di andare a casa dei De Rose e richiederli che cosa era accaduto in danno del figliuolo, perché mia figlia e sua suocera dicevano di sapere che i De Rose avessero sporto querela per una guapparia che Gaetano Gallucci avrebbe fatto al figlio. Esse mi mandarono dai De Rose non per pregarli di perdonare Gaetano e fare la remissione di querela, ma perché mi dicessero come era andato il fatto in danno del figlio e di che cosa veramente si trattasse. A me e mia moglie spiegarono che Gaetano aveva in campagna abusato del figliuolo, inculandolo in una capannaio e mia moglie questa risposta riportammo a mia figlia ed a sua suocera, le quali mi dissero: “I De Rose dicianu accussì, ma tutti sanno ca Gatanu è ciuatu!”

E la moglie di Vigna, alla richiesta di dire la verità, cioè che erano stati mandati per ottenere la remissione della querela, risponde:

–  Giuro che né io, né mio marito fummo mandati dai De Rose perché perdonassero Gaetano Gallucci.

Gli inquirenti, però, non credono a questa versione perché non c’era ragione da parte della cognata e della madre di Gaetano Gallucci di mandare loro emissari a casa dei De Rose, se non quella d’invocare il perdono, giacché già sapevano delle lamentanze dei De Rose contro Gallucci.

Ma intanto arrivano le tanto attese notizie dal Distretto Militare: Gallucci Gaetano venne, da questo Consiglio di Leva nella visita del 14-3-1913 riformato per ipertrofia del labbro superiore. In seguito, poi, alle disposizioni contenute nel Decreto Luogotenenziale N° 116 del 1 agosto 1915 venne chiamato a nuova visita e nella seduta del 9 marzo 1916 fu dichiarato abile ed arruolato in prima categoria, revocando la riforma. Quindi Gaetano Gallucci è sano di mente.

È passato esattamente un mese dallo stupro, è il 13 aprile 1916, ed una pattuglia di Carabinieri sta controllando la contrada San Rocco. Sono le 10,00 di mattina ed il sole è già caldo; i Carabinieri Giovanni Garofalo e Paolo Strippoli si fermano un attimo a prendere fiato ed asciugarsi la fronte quando vedono ad un centinaio di metri da loro un giovane che sembra avere gli stessi connotati di Gaetano Gallucci. Senza perdere tempo si avvicinano e, spianando i moschetti, intimano l’altolà all’uomo, che alza le mani e li aspetta: è lui, è il ricercato.

Non posso negare che il 13 marzo scorso, mentre lavoravo nel fondo in contrada Valle, vidi Francesco De Rose che pascolava la sua capra nel vicino fondo Vignella ed egli venne presso di me traendo seco la capra, ma spontaneamente, non già perché io l’avessi chiamato. Non è vero che io avessi legato la sua capra ad un albero e che avessi poscia trascinato De Rose in una qualche capanna vicina, nella quale avessi abusato di lui congiungendomi carnalmente

– E allora perché ti accusa?

Non so spiegarmi perché De Rose mi accusi di sì grave delitto, mentre io sono innocente… egli si trattenne presso di me forse un quarto d’ora e potevano essere circa le ore dieci allorché andò via traendo seco la sua capra perché io gli dissi che quanto prima sarebbe venuto il padrone del fondo e mi avrebbe sgridato se avesse visto quella capra nel suo fondo.

Per gli inquirenti può bastare ed il 19 agosto 1916 la Sezione d’Accusa rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di violenta congiunzione carnale contro natura, dalla quale derivarono lesioni personali guarite in giorni 35, ma intanto è arrivata la richiesta di un certificato di detenzione da parte del Distretto Militare perché Gallucci risulta mancante alla chiamata  indetta pel 16 aprile scorso. Vuoi vedere che il reato lo salverà dalla trincea?

Intanto la guerra infuria e ci sono notevoli problemi a mettere insieme una giuria, così il dibattimento slitta fino al 12 gennaio 1918 quando in una veloce seduta si conclude tutto: Gaetano Gallucci viene ritenuto colpevole e condannato ad anni 3 e mesi 4 di reclusione, oltre spese, danni e pene accessorie.[1]

È salvo, uscirà a guerra finita.

Francesco, invece, le ferite le porterà dentro di sé per tutta la vita.

[1] ASCS, Processi Penali.capanna