LA PACE IN FAMIGLIA

Verso le 20,00 del 6 ottobre 1945 una donna bussa alla porta della caserma dei Carabinieri di Campana, è molto scossa e parla concitatamente:

– Presto, venite, poco fa in casa mia ho ucciso, mediante quattro colpi di rivoltella, Giovanni Aiello…

Arrivati a casa della donna, Teresa Grande maritata Marinaro, costituita da un’unica stanza, i Carabinieri realmente trovano bocconi sul pavimento, vicino all’armatura del letto (sostegno di ferro ed assicelle di legno), il cadavere del commerciante Giovanni Aiello. Fanno chiamare il dottor Antonio De Sessa per i primi rilievi ed è chiaro che una delle quattro pallottole gli ha spaccato il cuore. Per il resto bisognerà aspettare gli esiti dell’autopsia, che arrivano due giorni dopo: perforazione del diaframma, ferita al rene sinistro con interessamento dell’ilo renale, incapsulamento di una pallottola nel lato sinistro della colonna vertebrale in vicinanza delle ultime vertebre lombari, perforazione penetrante in cavità attraverso il settimo spazio intercostale, perforazione del cuore, ecchimosi alla testa e sugli arti da ritenersi tutte premortali. I colpi sono stati sparati a breve distanza e quello al fianco a bruciapelo. Cosa è successo in quell’unica stanza tra Teresa e Giovanni Aiello? C’è stata una colluttazione tra i due? In attesa che la donna riacquisti la lucidità necessaria per rispondere alle domande, un indizio sembra essere rappresentato da un liquido notato sul prepuzio dell’ucciso e repertato per farlo analizzare, anche se è evidente che si tratta di liquido di natura spermatica, come confermerà la perizia. Che i due abbiano fatto sesso e poi abbiano litigato con gli esiti drammatici che abbiamo visto? Potrebbe essere possibile, se non fosse che Giovanni Aiello è stato trovato completamente vestito e l’eiaculazione sembra essere avvenuta nei pantaloni.

Ma per capire meglio è opportuno fare un passo indietro e ricostruire i rapporti tra i due. Tra Giovanni Aiello e il marito di Teresa, Domenico Marinaro, da circa due anni era stata posta in essere una contrattazione di comunione di animali ovini e caprini, oltre un centinaio, affidati per il pascolo e quant’altro attinente alla custodia ed allevamento di essi, a Marinaro, il quale all’uopo erasi portato con la sua famiglia, cioè con la moglie e le tre figliuolette, in un fondo in località Ceraso, di proprietà di Giovanni Aiello, lontana da Campana circa due ore di cammino. Ad Aiello, commerciante in generi alimentari con negozio a Campana, Domenico Marinaro aveva affidato tutte le tessere annonarie della sua famiglia e Teresa, dato che il marito doveva badare al gregge e non poteva allontanarsi, spesso era costretta ad andare nel negozio del socio o a casa di questi sia per ritirare i generi alimentari razionati che per dargli notizie sulla mandria. La notevole frequenza delle visite determina Aiello, per suo temperamento portato a tale genere di diversivi, a corteggiare Teresa e qualcuno se ne accorge. Per esempio se ne accorge Domenico Funaro che, andato a comprare qualcosa nel negozio di Aiello, nel luglio 1945 lo sorprende nel retrobottega con Teresa, evidentemente intento a cercare di indurla ai propri voleri. Ma se ne accorge anche la diciassettenne figlia di Aiello che inopinatamente assiste ad un abbracciamento compiuto nella sua stessa casa da suo padre nei confronti di Teresa, che era stata addossata ad un tavolino e presentava le vesti alzate. Anche Elisabetta Tridico nel mese di agosto 1945 sorprende Giovanni Aiello che entra in casa di Teresa. Soprattutto se ne accorge Girolama Scalambrino che, il 29 settembre 1945, vede Giovanni Aiello innanzi la porta della casa di Teresa mentre con una mano sul petto della donna, che trovavasi sulla soglia, cercava di spingerla nell’interno, senza riuscire a vincerne la resistenza.

Ma, mentre Funaro, Elisabetta Tridico e la figlia di Aiello si fanno i fatti loro, Girolama racconta l’episodio al marito di Teresa, che va su tutte le furie. Si fa raccontare tutto dalla moglie e poi, dopo averle mollato un paio di manrovesci sul viso, le dice:

– Queste cose me le devono raccontare gli estranei? Perché non me lo hai detto spontaneamente e direttamente? Stai attenta che se scopro qualche cosa ti ammazzo! –

Ricostruito l’antefatto, ora che Teresa si è ripresa, è il caso di ascoltare cosa racconta agli inquirenti:

Aiello, da più mesi, e precisamente sin dal maggio 1945, aveva tentato e tentava, ogni qualvolta se ne presentava l’occasione, di ottenere i miei favori, ma io mi sono sempre opposta. Cominciai a nutrire un vero odio per tali ripetute e sconvenienti insistenze, tanto da essere giunta al pensiero di ucciderlo qualora avesse ancora insistito nei suoi insani propositi. Nella sera del 6 ottobre, verso le 19,00, mi sono dovuta recare nell’abitazione di Aiello per ragguagliarlo in ordine alla vendita di due montoni facenti parte della società, vendita che io e mio marito avevamo progettato di effettuare alla prossima fiera. Aiello, che in quel momento era a cena con i suoi familiari, venne in cucina dove lo attendevo e rifiutò di addivenire alla vendita, poi mi fece una carezza e mi disse: “vai, che ora verrò a casa tua perché mi voglio coricare con te”. Io gli risposi: “non venire perché te ne trovi male!”. Dopo di ciò me ne sono andata a casa e, credendo nell’affermazione di Aiello, mi sono premunita e ho preso la rivoltella, che era chiusa in una cassa, e me la sono messa nella tasca della veste. Difatti poco dopo, mentre me ne stavo in casa con la porta aperta ed il lume spento, è entrato Aiello il quale ha nuovamente cominciato a tentarmi e financo mi ha abbracciata. Io finsi di acconsentire ai suoi voleri e, mentre con la mano sinistra lo abbracciavo attraverso la vita, con la destra estrassi la pistola, la puntai sul fianco sinistro e sparai… dopo il primo colpo Aiello è caduto a terra e gridò: “Ah! Teresa! Ah Teresa, mi hai ucciso!”. Temendo che fosse ancora vivo, ho sparato altri tre colpi con l’intenzione di finirlo

Considerati gli aspri rimproveri del marito, gli inquirenti si convincono che Teresa si è decisa ad uccidere Giovanni Aiello allo scopo di far ritornare la pace nella propria famiglia e quindi ha premeditato il delitto.

Il marito sembra essere estraneo ai fatti, poi spuntano un paio di testimoni che lo inguaiano perché uno dichiara di avergli sentito dire, evidentemente alludendo a Giovanni Aiello:

O lo cacci tu dal mondo o lo caccio io.

E l’altro:

O tu ammazzi lui o io ammazzo te.

Per gli inquirenti questa è la prova che Domenico Marinaro ha partecipato al delitto e lo arrestano, nonostante riesca anche a fornire un alibi, che non viene ritenuto credibile. Così, il primo marzo 1947 la Sezione Istruttoria della Corte d’Appello di Catanzaro rinvia i due imputati al giudizio della Corte d’Assise di Rossano per rispondere di omicidio premeditato.

La Corte è orientata a ritenere la versione dei fatti data da Teresa rispondente a verità, ma rigetta la richiesta della difesa che ne chiede l’assoluzione per avere agito in stato di legittima difesa perché è la confessione stessa di Teresa che non ne contiene gli elementi caratteristici, in quanto Teresa deliberatamente non ha adottato un comportamento cautelare e prudenziale, preferendo affrontare il pericolo dell’altrui offesa. Non è, infatti, vero che Teresa riconosce come la sera dell’omicidio, avvertita da Aiello della sua intenzione di andarla a trovare entro pochi minuti al dichiarato scopo di possederla, approfittando della circostanza favorevole di essere tutti i familiari dell’imputata fuori Campana nella località Ceraso? Non solo: Teresa ha ammesso di avere creduto, che è quanto dire di essere stata sicura di siffatta visita a scopo amatorio ed in previsione di ciò di essersi premunita ponendosi in tasca una rivoltella, di avere lasciato la porta di casa aperta e tenuto spento il lume allo evidente scopo di favorire l’entrata di Aiello; non si oppose agli approcci di lui, né all’abbraccio, anzi finse di acconsentire all’accostamento carnale che, per vero, fu talmente efficace da provocare la eiaculazione di Aiello. Quindi, per tutto questo non si può ammettere che Teresa sparò per difendersi. Ma potrebbe esserci stata una colluttazione tra i due e lo testimonierebbero le escoriazioni sul cadavere di Aiello, che i periti hanno accertato essere state provocate quando era ancora vivo. E Teresa modifica la sua versione dei fatti sostenendo che la colluttazione ci fu. Troppo tardi, la Corte non crede a questa ultima versione e ricostruisce la dinamica di come Aiello si procurò le abrasioni: tutto ciò è certamente da attribuirsi alla pesante caduta del ferito al suolo, al dibattersi violento dello stesso fra due sedie ed uno sgabello fra i quali cadde e si incastrò.

A questo punto resta solo da stabilire il movente in udienza: Teresa fu indotta ad agire da un lato sotto la reazione di uno stato d’ira determinato dall’ingiusto comportamento di Aiello verso di lei, altamente offensivo della propria libertà sessuale perché non può essere disconosciuto avere, la giudicabile, in ogni tempo pieno diritto sia di impedire, sia di interrompere e fare cessare una illecita relazione amorosa; dall’altro lato agì per potere riconquistare l’affetto maritale, compromesso dalla conoscenza avuta dal marito dell’opera di seduzione compiuta da Aiello e per potere ottenere con la pace in famiglia e con un ritorno ai doveri di sposa, qualora essa li avesse per alcun tempo violati, il rispetto altrui e la propria tranquillità di coscienza. Con queste parole la Corte riconosce a Teresa le attenuanti dello stato d’ira e di avere agito per motivi di particolare valore morale, poi si spinge oltre: stima, altresì, concedere all’imputata le attenuanti generiche in vista dei precedenti incensurati; stima, infine, escludere l’aggravante della premeditazione perché, sebbene confessò di avere da tempo concepito l’idea di uccidere Aiello se avesse continuato ad importunarla, quella sera agì in uno stato d’animo conturbato ed esagitato e senza che la esasperazione avesse avuto modo di attenuarsi, essendosi invece via via aggravata dagli avvenimenti che di ora in ora si ebbero a verificare.

Dopo tutto questo ragionamento, ora bisogna determinare la pena da infliggere a Teresa Grande e la Corte, detratte le attenuanti, stima equa una condanna ad anni 6, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, oltre alle pene accessorie, spese e danni.

Ma c’è ancora da valutare la posizione di Domenico Marinaro, il marito di Teresa. La Corte ritiene che manchi del tutto la prova del suo concorso nel delitto. Ma come? Ci sono due testimoni che lo hanno sentito incitare la moglie ad uccidere Aiello e non ci sono prove? Le prove non ci sono perché i due testimoni, in udienza, sono costretti ad ammettere di non aver mai sentito con le proprie orecchie quelle frasi, ma di averle sentite pronunciare ad alcune donne, delle quali ovviamente non conoscono i nomi. Addirittura resta accertato che quella sera Domenico apprese dell’omicidio in contrada Ceraso mentre era intento ad aiutare a spegnere un principio di incendio che si stava sviluppando in una carbonaia ad un centinaio di metri dall’ovile dove custodiva il gregge e dal pagliaio dove stavano dormendo le tre figlie. Quindi Domenico Marinaro viene assolto per non aver commesso il fatto. È l’8 febbraio 1948.

Esattamente un anno dopo, l’8 febbraio 1949, la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Teresa Grande.

Il primo marzo 1950, la Corte d’Appello di Catanzaro, applicando il D.P. 23/12/1949, N. 930, dichiara condonati 3 anni della pena inflitta.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano.