Sono circa le 10,00 del 23 febbraio 1878 quando donna Diletta Leporini, trentaduenne gentildonna nubile, è affacciata al balcone di casa sua in Corso Vittorio Emanuele a Diamante. Vede, a qualche decina di metri, due suoi cugini, Fedele e Giuseppe sacerdote Leporini, che stanno passeggiando e richiama la loro attenzione. I due si fermano sotto al balcone e Fedele le chiede:
– Notizie di Federico?
– Mio fratello è ancora a Lungro… – forse donna Diletta vorrebbe aggiungere altro, ma si ferma perché la sua attenzione viene catturata dal giovanotto Pasquale Capobianco che si ferma alle spalle di don Giuseppe, tira fuori una rivoltella e gli spara un colpo.
– Ah! – geme il prete, colpito al braccio sinistro, mentre si gira per vedere chi gli sta sparando, ma ha solo il tempo di vedere Pasquale con la rivoltella in mano e sentire ciò che gli dice
– Siamo alla vigilia, ancora mi inquieti? – poi parte un altro colpo che raggiunge don Giuseppe alla mammella sinistra. Fedele Leporini, ripresosi dalla sorpresa, cerca di agguantare il feritore, ma questi è lesto a scappare tra la gente, agitando minacciosamente la rivoltella e urlando: – Largo perché se no sparo! –. Anche don Giuseppe, nonostante sia ferito, si lancia all’inseguimento, ma deve ben presto fermarsi per i dolori lancinanti che il piombo gli provoca nelle carni.
Il ferito viene portato a casa – non è grave, se la caverà in un mesetto – ed è qui che il Vice Pretore di Diamante, Gennaro Caselli, prontamente avvisato, lo va ad interrogare per ricostruire l’attentato alla sua vita e capire perché Capobianco gli ha sparato. Don Giuseppe narra i fatti, ma quando il Vice Pretore gli chiede quale potrebbe essere il movente, risponde:
– Ignoro quale sia stato il motivo che abbia spinto Capobianco a consumare a consumare sì grave fatto ai miei danni. Fra me e il medesimo non esistevano inimicizie di sorta, tanto è vero che verso i primi di questo mese, essendo io dilettante di pianoforte, gli richiesi la direzione ove acquistarsi in Napoli la Mazzurka intitolata “la bellissima” di Couph (questo autore è inesistente e potrebbe trattarsi del pianista siciliano Ernesto Antonio Luigi Coop, autore della mazurka per pianoforte “La bellissima”. Nda) ed egli rispondevami “non occorre perché appena andrò in Napoli penso io a mandarla”…
Il Vice Pretore, però, sente puzza di bruciato ed esorta don Giuseppe a riferire la vera causa dell’avvenimento, ma il prete non ne vuole sapere e risponde:
– In tutta coscienza vi ripeto di ignorarla
Puzza di bruciato. Il Vice Pretore ha ragione perché non sta né in cielo e né in terra che uno – specialmente se appartiene ad una delle famiglie più importanti del paese – si alzi la mattina, si armi di rivoltella e spari due colpi al parroco, così, senza motivo. Oddio, il motivo c’è sicuramente e deve essere ricercato nelle parole che Pasquale Capobianco ha detto al prete mentre gli sparava: Siamo alla vigilia, ancora mi inquieti?. Vigilia di cosa? Perché don Giuseppe lo inquieterebbe? Alla prima domanda la risposta è semplice e nessun testimone ascoltato osa negare di non essere a conoscenza che Pasquale Capobianco il giorno dopo avere attentato alla vita di don Giuseppe avrebbe dovuto impalmare la signorina Innocenza Leone. La risposta alla seconda domanda, per logica, deve riguardare l’ormai fallito matrimonio, ma tutti negano (sarebbe meglio dire che nessuno si assume la responsabilità di parlare per primo) di sapere perché Pasquale Capobianco ce l’avesse tanto col prete a causa del matrimonio.
Ma, come spesso accade, a risolvere l’enigma ci pensa la voce pubblica, quello strano modo di fare arrivare le notizie alla giustizia, senza che nessuno si assuma la responsabilità di averle dette. Ad incaricarsi materialmente di andare dal Vice Pretore a raccontare quale potrebbe essere il movente, è la ventenne Angelina Perrone:
– Dopo avvenuto il fatto del signor Capobianco con Leporini, sentii dire pubblicamente da alcune donne, che non saprei determinare chi fossero, che la causa fosse stata l’avere il sacerdote Leporini continuamente sparlato della promessa sposa di Capobianco, dicendo di averla goduta e posseduta allorquando le insegnava il pianoforte e fu per questo che, a mio credere, il Capobianco all’atto del ferimento diceva “mi stai inquietando fino alla vigilia”, cioè un giorno prima delle nozze.
Poi arrivano altre conferme che accreditano questa versione e potrebbe essere la pista giusta da seguire, tanto lo scandalo è già scoppiato. Il problema, semmai, è capire che cosa accadde immediatamente prima del ferimento, perché è chiaro che qualcosa deve essere accaduta immediatamente prima, ma su questo aspetto per il momento è buio pesto.
Intanto si affaccia anche un’altra versione sul possibile movente. A metterla nero su bianco, sempre attribuendola a “taluni che non saprei indicare”, ci pensa don Giuseppe Stumbo, parroco di Sangineto:
– Taluni dicevano che Capobianco, avendo una inveterata passione con Michelina De Luna, che avrebbe voluto sposare, e vedendo che don Giuseppe, sebbene parente della De Luna, le stava sempre d’accanto insegnandole la musica, così sviato dai fervori delle gelosia si fosse indotto a commettere il fatto. Aggiungo poi che su tal proposito il Capobianco ebbe un abboccamento con la matrigna della De Luna, che cercò di dissuaderlo a sposare la Leone, onde così potersi verificare il matrimonio con la figliastra. Il fatto, giunto all’orecchio della famiglia Leporini, ne rimase dispiaciuta. Se poi Capobianco ravvisasse un ostacolo nella persona del sacerdote Leporini onde conseguire i suoi desideri verso la De Luna, io lo ignoro… – dire e non dire, instillare il dubbio che don Giuseppe non godette dei favori della promessa sposa potrebbe essere una strategia per salvare l’onore del prete.
È solo una impressione, ma bisogna indagare perché potrebbe anche essere questa la verità. Fatto sta che dopo la testimonianza di don Giuseppe Stumbo, arriva al Presidente del Tribunale di Cosenza un esposto, datato 15 marzo 1878, a firma di Luigi Leporini, fratello di don Giuseppe, nel quale, tra le altre cose, denuncia: il Sig. Luigi Capobianco, germano dell’assassino, si è portato personalmente a Cosenza ed in Catanzaro, ove tuttavia rattrovasi, millantandosi da parenti che, con i loro grandi mezzi e denaro, si otterrà non solamente la libertà provvisoria dello imputato Pasquale Capobianco, m’ancora dichiararsi il misfatto di competenza correzionale (il Tribunale ordinario e non Corte d’Assise. Nda). Ma Pasquale è ancora latitante e sembra troppo presto chiedere che lo si rinvii a giudizio per tentato omicidio, anche perché ancora non c’è chiarezza sul movente.
A proposito di movente, in un altro lungo esposto, questa volta indirizzato al Pretore di Belvedere Marittimo, titolare delle indagini, Luigi Leporini ne indica uno, molto simile a quello proposto da don Giuseppe Stumbo e ne spiega anche il perché, raccontando dei fatti: la causa imperante nella immaginazione dell’assassino Capobianco è quella di vedere nella vittima Leporini e nei suoi fratelli un ostacolo a conseguire e possedere la signorina Michelina De Luna, tanto più che il signor Raffaele Leporini, altro fratello del ferito, nel giorno 7 febbraio decorso portava in Napoli la giovane De Luna per farla curare ed osservare dai medici napoletani. Oggi, però, si è preinteso che la famiglia degli interessati Capobianco fa propagare una causa falsa, che spinse a delinquere il Pasquale, inventando una favola amorosa di gelosia, cioè che Giuseppe Leporini nel 1872, quando insegnava il pianoforte alla signorina Leone, ne avrebbe abbusato. Ciò, non solo è una favola a cui si vorrebbe dar vita, ma è un assurdo e contradizione ai fatti succeduti nel gennaio e febbraio ultimi. Invero:
- Le lezioni che il Leporini fece alla signora Leone avvennero nel 1872, quando il Capobianco neanche per immaginazione pensava alla signora Leone, la quale è una onesta ed istruita giovanetta ed il Leporini un gentiluomo.
- Giuseppe Leporini, fin dal 1873 non ha acceduto, né parlato con individuo alcuno della famiglia Leone per ragioni d’interessi per la paga del mensile dovutogli quale insegnante di Pianoforte.
- I fatti sviluppatisi nel gennaio e febbraio scorsi sono in piena contradizione con la ideata favoletta di onore imperrocché è notorio all’intero pubblico che Capobianco, dopo aver conchiuso il matrimonio con la signora Leone, ed erano alla vigilia dello sponsalizio, voleva ad ogni costo conchiudere tale matrimonio e sposare, invece, la signora Michelina De Luna, anche fugandosela.
Fatti pubblici ed eclatanti successero sull’oggetto fra la famiglia Leone e Capobianco assassino il quale, financo nel 7 febbraio ultimo, volea assolutamente partire per Napoli unito alla signora De Luna Michelina, accompagnandola fino allo imbarco nella marina, detto Scario; e perché sprovvisto di numerari, si fece dare il portafoglio da Ludovico Fabbiani, ove vi erano lire venti, che si prese, ma non partì perché ne fu distolto dallo stesso Fabbiani, che lo consigliava di andare in Napoli con altro vapore; e come del pari s’impose delle minacce della famiglia Leone e specialmente del signor Pasquale Leone che, irritato, presedeva nel luogo dell’imbarco per impedire anche con la forza, la partenza del Capobianco. Or si dimanda: se il Capobianco non amava, non voleva legarsi in matrimonio con la signora Leone, poteva esser spinto da sentimenti di gelosia per la medesima Leone e per fatti già passati a sua piena conoscenza, cioè che il Leporini nel 1872 aveva fatto lezioni di pianoforte alla signora Leone? Ove fosse stata vera tale diceria, sarebbe stata invece un valevole motivo pel Capobianco di potersi allontanare dalla signora Leone ed appagare, così, i suoi desideri con trattare il matrimonio con la De Luna e non spingerlo all’assassinio. Se Capobianco era geloso, dice Luigi Leporini, lo era di Michelina De Luna e per poterla ottenere si spinse a delinquere contro Giuseppe Leporini, che credeva di ostacolo a questa sua ardente brama.
Non fa una piega, se riuscirà a dimostrare la sua ricostruzione che, intanto, sembra avere un punto debole: le parole pronunciate da Capobianco mentre sparava a don Giuseppe: “Siamo alla vigilia, ancora mi inquieti?”. Ma Luigi Leporini dimostra di non essere uno sprovveduto e spiega la frase secondo il suo punto di vista: Ciò svela eminentemente l’infame causale del reato, imperoché il giorno susseguente doveva ligarsi in matrimonio con la Leone, cosa che aborriva e che faceva perdere per sempre la speranza in lui a poter realizzare gli ardenti desideri del suo cuore per la De Luna, per la quale, anche prima della Leone, aveva sentito i battiti d’amore e che non aveva mai potuto conseguire. Anche questo non fa una piega, ma se non si riuscirà a capire cosa accadde nei momenti immediatamente precedenti alle revolverate, non si potrà capire cosa spinse Pasquale Capobianco a sparare contro don Giuseppe. Ovviamente gli inquirenti sperano di trovare Pasquale e far spiegare a lui le ragioni del suo gesto, ma sembra essere svanito nel nulla.
Il 30 marzo 1878, quasi un mese dopo i fatti, il Maresciallo Cassano, comandante la stazione dei Carabinieri di Belvedere Marittimo invia al Pretore un verbale con i risultati delle ultime indagini svolte con molta discrezione: Dicesi generalmente che il Leporini, allorquando faceva da Maestro alla signora Michelina De Luna, riuscì a deflorarla e che era suo desiderio ottenere che il Capobianco si l’avesse sposata e non già impalmarsi colla Innocenza Leone. Visto, il Leporini, che il Capobianco era in trattativa di sposare la Leone, cominciò andare sparlando sull’onestà di costei per ottenere che il Capobianco l’avesse abbandonata e per maggiormente convincerlo diresse a quest’ultimo una lettera anonima colla quale calunniava la Leone sull’onore. Non è vero, per come mi risulta, che il Capobianco volesse impalmarsi con Michelina De Luna e né che riconoscesse essere il sacerdote Leporini un avversatore ai suoi desideri verso la De Luna, come pure sono in veritiere le altre circostanze riferite da Luigi Leporini nel suo esposto di cui la S.V. mi ha dato copia, giusto quanto mi è risultato da informazioni assunte.
Accidenti! È una terza via, forse quella decisiva perché su questa base viene inviato il fascicolo alla Camera di Consiglio del Tribunale di Cosenza perché decida sul da farsi. Il 23 aprile 1878 arriva la sentenza: viene chiesto il giudizio per Pasquale Capobianco, sempre latitante, con le accuse di tentato omicidio volontario e porto abusivo di arma da fuoco, ma le motivazioni vanno in direzione opposta a quanto richiesto dalla famiglia Leporini: le carte processuali rivelano ancora la causale da cui il Capobianco fosse stato spinto a quello eccesso: la malelingua del Leporini, onde attaccavasi la riputazione della donzella che la dimani dovea impalmare il Capobianco, era scintilla più che idonea a suscitare l’incendio che ne seguì.
Ma il Procuratore Generale del re presso la Corte d’Appello di Catanzaro non è d’accordo perché ritiene che non si tratti di tentato omicidio, ma di ferimento volontario, reato di competenza del Tribunale Correzionale e non della Corte d’Assise, per cui, il 18 maggio 1878, rinvia gli atti alla Sezione d’Accusa chiedendo di modificare il titolo del reato, richiesta che viene accolta il 29 maggio successivo.
Solo adesso le famiglie Leone e Capobianco si fanno avanti per chiarire il senso delle parole dette da Pasquale Capobianco mentre sparava contro don Giuseppe: Siamo alla vigilia, ancora mi inquieti?
Secondo la loro ricostruzione dei fatti, la mattina del 23 febbraio 1878 don Giuseppe ancora passeggiava sotto i balconi della signorina Leone facendo dei segni e discreditandola pubblicamente. Potrebbe essere un buon motivo a far perdere la testa, ma sarà tardiva la loro discesa in campo?
No. il 3 luglio 1878, la seconda Sezione del tribunale Correzionale di Cosenza, dichiarando Pasquale Capobianco colpevole di ferite in offesa di Giuseppe Leporini, col beneficio della grave provocazione e circostanze attenuanti, lo condanna all’ammenda di £ 80 ed alla multa di £ 51 per il porto abusivo di arma da fuoco.[1]
Ed ora Pasquale Capobianco può tornare a casa tranquillo.
[1] ASCS, Processi Penali.