LA STRANA MORTE DI MARIA SANTORO

– Buongiorno Carmè, dov’è tua sorella Maria, devo parlarle… – chiede Santa Quintieri a Carmela Santoro, entrambe di Bonifati, la mattina del 15 maggio 1940.

– È a letto… – le risponde.

Passa un po’ di tempo ed un’altra vicina fa la stessa domanda a Carmela, ottenendo la stessa risposta, ma ancora più tardi, alla stessa domanda, Carmela risponde che sua sorella Maria non è rientrata a casa e comincia a chiamarla per la campagna ad alta voce, senza ottenere risposta. A sera, Carmela, non avendo ancora notizie di sua sorella, comincia a piangere dicendo che ha paura di andare a dormire. La mattina seguente c’è preoccupazione in tutto il paese, tanto che il podestà, Eugenio Trombieri, va a trovare Carmela per cercare di capire cosa può essere accaduto a Maria Santoro, ma le risposte alle sue domande sono confuse e contraddittorie, poi gli dice:

– Pare che l’hanno vista a Cetraro col maestro Brusca

– Credo che sia meglio avvisare i Carabinieri – suggerisce il podestà.

– Ma… io ho paura di andare dai Carabinieri…

– Che dici! Tua sorella è scomparsa e tu hai paura della Legge?

– Cerchiamola noi, se non la troviamo poi ci vado…

E la cercano per giorni senza risultato. Poi, la mattina del 20 maggio Carmela va dal podestà e gli dice:

– Vorrei svuotare la vostra vasca Paparella in contrada Cirimarco, magari Maria è caduta lì… – il podestà acconsente, anche se trova un po’ strano come mai, tra le tante vasche di sua proprietà, Carmela voglia controllare soltanto quella.

– O gesummaria! – urla Carmela coprendosi il viso con le mani quando vede il cadavere di Maria nella vasca svuotata di acqua ed è subito chiaro che il cadavere è lì da qualche giorno.

A questo punto è inevitabile avvisare i Carabinieri, che cominciano le indagini e la prima persona ad essere ascoltata è Carmela, che dà risposte evasive.

Quindi viene sentita Adalgisa, la figlia naturale della povera Maria, che nonostante sia una bambina di otto anni sembra avere le idee molto chiare:

– La sera del 14 maggio, mentre andavo a letto, vidi mamma che entrò a casa e trovò Quintieri, lo invitò ad uscire, ma Quintieri rimase. Poi vidi che zia Carmela e Francesco Quintieri bastonavano mamma, che era caduta per terra. Cercai di gridare, ma zia Carmela mi disse che avrebbe bastonato anche me e restai zitta, poi mi addormentai. La mattina dopo chiesi di mamma e zia mi disse di non saperne niente

Adesso Carmela dovrà rispondere con precisione, altrimenti per lei potrebbero essere guai seri. E le risposte sono chiarissime:

– L’ho ammazzata… l’ho ammazzata con la complicità di Francesco Quintieri, il mio amante, perché mia sorella contrastava la relazione amorosa e quindi sorse in noi il proposito di eliminarla, proposito che attuammo nella sera del 14, in casa, poco dopo che mia sorella era tornata dal mulino

– Come l’aveta uccisa?

È stato Francesco ad atterrare Maria. Quando arrivò a casa lo trovò e lo fece uscire, ma poi Francesco rientrò attraverso la botola del vano terreno, la colpì nella camera antistante alla stanza da letto e le otturarò la bocca per non farla gridaresu invito di Francesco menai un colpo di bastone colpendo mia sorella alla testa, mentre lui colpì numerose volte mia sorella con pugni e calci

– E poi?

– Poi abbiamo messo il cadavere in un sacco, lo abbiamo trasportato fino alla vasca e ve lo abbiamo gettato

– Come lo avete trasportato?

Durante il cammino io reggevo il sacco dalla parte dei piedi del cadavere e Francesco reggeva il resto portandolo in spalla

– E basta?

– Tornati a casa abbiamo lavato il pavimento per far scomparire le macchie di sangue, abbiamo ridotto in pezzi il sacco e l’abbiamo bruciato, quindi ci siamo coricati accanto alla piccola Adalgisa, profondamente addormentata, e abbiamo soddisfatto le nostre brame d’amore. All’alba ci siamo separati

I Carabinieri rintracciano subito Francesco Quintieri, lo arrestano e lo interrogano:

– Io non ho fatto niente! Non so perché Carmela Santoro abbia fatto il mio nome!

– Ha detto che siete amanti…

– Amanti? Io nemmeno so dove è la sua casa! Figuratevi che dopo la scoperta del delitto mi sono fatto indicare la casA delle sorelle Santoro!

– Quindi, se non sapevi dove abitavano le Santoro, dovevi essere da qualche altra parte la notte del delitto…

– Si, infatti ero a casa di Domenico Castiglia con mia moglie!

Peccato che sia Castiglia che sua moglie lo smentiscano ed è sempre più difficile credergli se il suo alibi è falso e ad accusarlo c’è la figlia della vittima, testimone oculare, e la chiamata in correità dell’assassina, così si procede con le accuse di omicidio premeditato, aggravato dai futili motivi e per avere approfittato delle circostanze di tempo, di luogo e di persona, tali da ostacolare la difesa, nonché di soppressione di cadavere.

Poi Carmela viene interrogata dal Procuratore del re e aggiunge:

Quando Francesco vide che Maria era come stordita, si alzò e, preso un altro bastone, la colpì violentemente alla testa, tirandole anche calci – una versione leggermente diversa da quella resa ai Carabinieri, ma potrebbe essere dovuta ad una cattiva interpretazione delle espressioni dialettali o ad una cattiva trascrizione nei verbali.

– Si, adesso ripeti come è stato trasportato il cadavere…

Lo trasportò nel sacco solo Francesco, io lo seguii senza, però, aiutarlo a portare il sacco

Ahi! Un’altra contraddizione, nemmeno questa presa in considerazione. Scrive il Pubblico Ministero: non monta rilevare tali contraddizioni, quando Carmela Santoro precisa la responsabilità di Quintieri.

Quando, però, Carmela viene interrogata dal Giudice Istruttore, poco prima di essere messa a confronto con l’amante, ritratta:

– Non siamo stati noi, sospetto che sia stato l’amante di Maria, Tommaso Scola, a Bonifati lo chiamiamo Scatuzzu

No, è subito chiaro che Scatuzzu non c’entra niente e, secondo il Procuratore del re, la ritrattazione e l’accusa a Tommaso Scala sono un artifizio maturato durante la vita in comune nel carcere, che è stata leva potente nell’animo di Carmela Santoro, onde ella è stata tratta a modificare gl’interrogatori precedenti.

In questo garbuglio di contraddizioni e ritrattazioni, si scopre che, siccome Carmela aveva precedentemente peccato con altro giovane e aveva procreato un bambino, ucciso dalla madre loro, essa aveva subito un processo per infanticidio, era stata imprigionata ed era stata assolta, Maria voleva che la sorella non peccasse più oltre iniziando la tresca con Francesco Quintieri, sposato con figli. Questa circostanza confermerebbe il movente addotto da Carmela, che precisa:

Maria, venuta a conoscenza della mia relazione, si dimostrò ostile, raccomandandomi di troncarla e di avviarmi sulla via del pentimento, in considerazione al primo fallo che avevo commesso e per il quale ero stata carcerata… ma, appena uscita dal carcere fui invasata di amore per Francesco, onde ebbe inizio la tresca… ci davamo appuntamento in campagna per i nostri congressi carnali… talvolta lui veniva a casa e le visite erano controllate da Adalgisa, che probabilmente ne avrà parlato alla madre, onde le scenate

Le visite erano controllate da Adalgisa?

Io non ho visto mai venire altra volta Quintieri a casa nostra! – protesta la bambina che, invitata a ripetere il racconto di ciò che vide, ad un certo punto dice – dopo i rimproveri di mamma, Quintieri uscì. Poi andai nella camera da letto e intesi bussare alla porta, zia Carmela aprì e subito entrò Quintierizia Carmela diede a costui un bastone e con l’altro che aveva in mano colpì mia madre. Mamma è caduta per terra dopo la prima bastonata gridando: “Ah!”. Quando io e zia Carmela siamo andate a letto, mamma è rimasta per terra e non parlava ed era piena di sangue…– è un racconto confuso in contraddizione con ciò che ha detto ai Carabinieri, ma bisogna considerare che è una bambina di otto anni alla quale hanno ucciso la madre davanti ai suoi occhi e i ricordi possono essere confusi dal dramma a cui ha assistito.

Anche Carmela, davanti al Procuratore del re dice un’altra cosa:

Maria aveva avuto rapporti con Francesco Quintieri

– Questo, però, ai Carabinieri non lo hai detto, quindi non è vero che ti voleva redimere…

Credo che mia sorella ostacolasse la mia relazione con Francesco Quintieri per gelosia

Ma nemmeno questa giravolta viene presa in considerazione.

C’è un particolare che dovrebbe far capire chiaramente che Carmela sta mentendo: lei ha raccontato che, dopo aver buttato il cadavere di Maria nella vasca, tornati a casa lavarono le macchie di sangue sul pavimento, ma sul pavimento i Carabinieri non hanno trovato alcuna traccia di sangue, che sarebbe dovuta esserci nonostante i tentativi di eliminarle, perché il sangue non va mai via del tutto. A conferma dei rilievi dei Carabinieri arriva la perizia necroscopica del dottor Antonio Leonardi: le macchie di sangue non potevano esserci perché in corrispondenza della regione temporale destra, della regione zigomatica e regione mentoniera dello stesso lato si notano delle contusioni con ecchimosi. Non si notano altre lesioni evidenti ed apprezzabili. Ecchimosi e contusioni, non ferite che potettero far sprizzare sangue, quel sangue che Carmela dice di aver lavato con il suo complice e che Adalgisa dice di aver visto. Ma forse il sangue uscì dalla bocca, dal naso, dalle orecchie di Maria in dipendenza del colpo sulla regione temporo-parietale che determinò l’emorragia endocranica e conseguente emorragia cerebrale, causa della morte. No, impossibile secondo i periti, perché se del sangue uscì dalla bocca, dal naso o dalle orecchie della povera Maria, sangue si sarebbe trovato alla sezione della scatola cranica, nel cavo orale, nel retrobocca, ove niente si rinvenne.

E quindi Carmela continua a non dire la verità.

A questo punto, viste le numerose contraddizioni e giravolte di Carmela, ci si dovrebbe seriamente porre il problema se Francesco Quintieri sia davvero corresponsabile del delitto, ma gli inquirenti continuano a credere alla sua colpevolezza perché la chiamata in correità è precisa e chiedono, ottenendolo, il rinvio dei due amanti al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

Il 2 luglio 1941, esaminati gli atti, ascoltati gli imputati ed i testimoni (tra i quali la piccola Adalgisa che non riesce a rendere una deposizione organica come le precedenti; parla a sbalzi e risponde solo a precise domande; non dice niente di specifico oltre a quanto disse ai Carabinieri ed al Giudice Istruttore), la Corte si trova in difficoltà avendo vissuto in questa vicenda giudiziaria il suo travaglio spirituale circa la responsabilità di Francesco Quintieri. Si, perché ad un occhio terzo non è stato difficile accorgersi delle numerose incongruenze, contraddizioni ed omissioni di cui sono pieni gli atti e comincia uno stringente esame critico delle risultanze processuali come da quella che, se non seguita, può dare la spiegazione di come e perché fu uccisa la povera Maria Santoro: il Procuratore Generale crede alla responsabilità di Quintieri perché accusato in maniera precisa, circostanziata, per ben due volte da Carmela Santoro che, contemporaneamente, accusò se stessa e perché raggiunto dalla deposizione di Adalgisa, che assistette alla barbara uccisione di sua madre per opera di Quintieri e della Santoro. Completa, nella concezione del Procuratore Generale, il quadro dell’accusa contro Quintieri, la considerazione della mancanza di motivo onde Carmela Santoro, che ne era l’amante, avrebbe dovuto calunniarlo. Se la semplice argomentazione si considera in superficie, si può dire che essa sia idonea a sortire l’effetto che il pubblico accusatore, nella retta coscienza per l’intimo suo convincimento, si è proposto di conseguire: l’affermazione della responsabilità dell’imputato Quintieri. Ma se le sue argomentazioni si valutano al vaglio di una profonda e serena critica, esse non possono valere a sorreggere una sentenza di condanna nei rapporti di Quintieri. La chiamata di correo è insidiata da contraddizioni perché la verità dovrebbe esser riferita sempre ad identico modo e resistita da prove generiche e specifiche, evidentemente riferendosi alle diverse ricostruzioni dei fatti raccontate da Carmela e da Adalgisa, in relazione al modo in cui Quintieri avrebbe partecipato al delitto ed alla assoluta assenza di sangue sulla scena del crimine. Per i suoi trascorsi, Carmela appare alla Corte come abituata a non affermare cose precise e la chiamata di correo può, eventualmente, essere il risultato di tale sua proclività a non dire precisamente la verità. Poi evidenzia ed analizza tutte le contraddizioni in cui Carmela è caduta nei suoi interrogatori ed anche le incongruenze e le contraddizioni tra le affermazioni di Carmela e quelle di Adalgisa, tanto che la Corte afferma: o mentisce Carmela Santoro quando afferma che la piccola Adalgisa era stata testimone delle visite di Quintieri in casa e quando suppose che questa ne avesse riferito alla madre, o mentisce Adalgisa quando nega che Quintieri si fosse altre volte recato in casa della zia! E ovviamente anche le contraddizioni in cui cade la piccola Adalgisa passano al vaglio critico della Corte per stabilire se sia credibile o meno e punta l’attenzione su due circostanze emerse già nelle prime indagini, completamente ignorate dagli inquirenti e riemerse in dibattimento.

La prima: Adalgisa disse di avere riconosciuto Quintieri come l’uomo che colpì sua madre perché “l’aveva visto quando essa andava a Torrevecchia a comprare il sale o qualche altra cosa”. Ma quando Quintieri disse che non conosceva la bambina, i Carabinieri, che ricevettero la deposizione e l’interrogatorio, avrebbero dovuto sincerarsene traverso il mezzo che la procedura offre: il riconoscimento dell’imputato con le garanzie di legge. Si sarebbe avuta la prova di questa importante posizione enunciata da Adalgisa, che avrebbe agevolato la critica sulle situazioni conseguenti. Niente fu fatto al riguardo. I Carabinieri non fecero nessuna indagine; né essi, né il Giudice Istruttore domandò ai tanti testimoni escussi se sapessero che la piccola Adalgisa conoscesse Quintieri.

La seconda: il mattino seguente all’omicidio di sua madre, quando ancora nessuno sospettava la tragedia, Adalgisa andò in casa di Giuseppina Sangregorio e questa, che si era accorta dell’assenza di Maria, le chiese “che cosa avrebbe fatto dal momento che la madre non si era ritirata” e la piccola rispose semplicemente “non so” ed andò via con i bambini di Giuseppina Sangregorio. Per la Corte questo è un fatto molto importante perché può essere rivelatore di una situazione opposta a quella che Adalgisa riferì ai Carabinieri, cioè che potrebbe non aver affatto assistito all’omicidio di sua madre, eventualità che potrebbe spiegare le contraddizioni nei suoi racconti. Come mai, dice la Corte, se Adalgisa assistette alla scena cruenta, il richiamo di Giuseppina Sangregorio alla figura materna che non è in casa non le fece venire nessuna lagrima, nessun sospiro, nessun accenno, nessuna parola!? Niente! Sembra inverosimile!

Ma, d’altra parte, questa indifferenza può spiegarsi con la psicologia dei bambini: può non aver coordinato la domanda all’avvenimento precedente e questa assenza di potere di coordinazione può spiegare la indifferenza di lei al ricordo della madre percossa, atterrata. E ciò è possibile! Ma chi toglie dall’animo dei giudicanti il dubbio che il comportamento di Adalgisa sia stato conseguente al fatto che ella niente vide, niente ascoltò in quella sera? La psicologia dei bambini può far pensare persino alla menzogna. È talmente complesso e talmente inesplorato l’animo dei bimbi, che ogni loro manifestazione può avere spiegazioni molteplici e contrastanti.

Però potrebbe darsi che Adalgisa, come sostiene l’accusa, non parlò perché la zia Carmela le ingiunse di tacere, altrimenti le avrebbe inflitto il castigo della madre. La Corte smonta anche questa ipotesi: è possibile, ma questa possibilità non toglie la situazione di dubbio perché quando Adalgisa era in casa di Giuseppina Sangregorio la zia non c’era e la bambina scherzava con i figli della donna, onde se il nome della madre, il mancato rientro di lei avesse richiamato nella memoria e nell’animo della bambina il tragico ricordo della sera precedente, non avrebbe avuto il freno dello sguardo torvo, minaccioso di sua zia per non pronunciare una parola, un sospiro, per non sprecare una lacrima. La minaccia della sera prima! Quando l’animo è gonfio di dolore, la minaccia non può frenarlo, specie quando chi ha minacciato non è sul luogo ove il dolore viene riacutizzato. Poi la Corte ipotizza, addirittura, che Adalgisa e sua zia sembrano quasi che siano d’accordo per mentire. Forse che la bambina soggiacque alla suggestione della zia, invasata o dall’idea di vendicarsi di Francesco Quintieri o dall’altra di attenuare la sua responsabilità nel presupposto sciocco, ma spiegabile per la mentalità di una contadina, che il concorso di Quintieri nel delitto potesse scemare la sua responsabilità? La Corte non sa chiarire questo aspetto e ammette che, trattandosi solo di null’altro che ipotesi e supposizioni, all’interrogativo si potrebbe rispondere solo se fosse possibile penetrare nell’animo, nello spirito, nella mente di questa bambina di appena otto anni e quindi, persistendo il dubbio, ormai è chiaro che la Corte si accinge ad assolvere Francesco Quintieri, almeno per insufficienza di prove.

A questo punto il Pubblico Ministero, per cercare di ribaltare la partita, gioca la carta delle menzogne che Quintieri ha detto nei suoi interrogatori e la Corte ammette che, si, è vero che l’imputato ha mentito più volte e su molti aspetti della vicenda, ma le sue menzogne non provano che partecipò al delitto, né valgono a sanare le menzogne, le contraddizioni di Carmela Santoro e della piccola Adalgisa. Quindi il dubbio permane e l’accusa gioca quella che è davvero l’ultima carta a sua disposizione: il trasporto del cadavere. Carmela Santoro da sola non poteva trasportare il cadavere nella vasca ove fu gettato e questo prova che Carmela non fu da sola a compiere il delitto. Ma la Corte è preparata e ribatte che su questa situazione le congetture possono essere molteplici. Come quella, per esempio, che Quintieri non partecipò al delitto ed abbia invece partecipato al trasporto del cadavere, come non si può escludere che sia stato qualcun altro ad aiutare Carmela a trasportare il cadavere. Chi può dirlo? Non è Quintieri che deve offrire alla giustizia altro responsabile, è l’accusa che deve dar prova che egli abbia partecipato al delitto, onde possa essere condannato! Ma siccome prove certe non ce ne sono, l’argomenti è chiuso e Francesco Quintieri va assolto per insufficienza di prove.

La Corte adesso deve valutare il grado di responsabilità di Carmela Santoro, che è pacifica, sia per la sua confessione, sia perché ammessa anche dalla difesa, che ha chiesto di derubricare il reato da omicidio aggravato e condannarla per omicidio preterintenzionale, in quanto l’entità delle lesioni riscontrate sul cadavere di Maria non farebbero chiaramente ritenere che ci fosse una volontà omicida.

La Corte crede che Carmela Santoro uccise la sorella, ma non crede alle modalità del delitto, così come da essa esposte perché smentite, contraddette e quindi è necessario ricostruire il delitto, nei limiti consentiti dalle risultanze processuali con altre situazioni diverse da quelle che l’imputata enunciò, che promanano da posizioni o accertate o pacifiche. Leggiamo il ragionamento che fa la Corte: dal racconto di Carmela emergerebbe l’aggravante della premeditazione, ma questa è insussistente per la mancanza dei requisiti richiesti dal Codice Penale. Piuttosto si può parlare di un delitto d’impeto, scaturito dalla accesa discussione tra le due sorelle la sera del 14 maggio 1940, dovuta alla presenza in casa di Francesco Quintieri, e ciò lo dimostrano sia l’arma usata per colpire, un comune pezzo di legno, sia l’entità delle lesioni, due ferite contuse che non produssero fratture ossee. L’arma usata, non idonea a produrre la morte, e le ferite dimostrano che chi colpì – cioè Carmela Santoro – non ebbe l’intenzione di uccidere. Anche il movente porta alla stessa conclusione: troppo frivolo! La opposizione legittima o no, per motivi morali o per gelosia, di Maria Santoro a che la sorella non si imbestialisse nella tresca adultera, è motivo non proporzionato alla reazione omicida. Se la reazione fu conseguente all’opposizione stessa, Carmela Santoro volle ferire, non uccidere la sorella. Fatalmente, il colpo alla tempia fu mortale. Quel che successe dopo non ha relazione con la intenzione. L’occultamento del cadavere servì per celare il delitto, non è rivelatore del proposito specifico di chi il delitto commise. Dell’occultamento dovrà rispondere come reato a sé.

Chiarito che si trattò di omicidio preterintenzionale, la Corte condanna Carmela Santoro ad anni 15 di reclusione, ai quali va sommato 1 anno di reclusione per l’occultamento di cadavere. Oltre alle pene accessorie, spese e danni.

Siamo a Cosenza ed è il 2 luglio 1941.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.