I BASSIFONDI DI MALA VITA

Sono le 23,00 del 6 febbraio 1940, giorni di Carnevale, quando all’Ospedale di Cosenza arrivano due giovanotti, i fratelli Pietro e Ferdinando Vitelli, con ferite da arma da taglio.

– Chi è stato? – chiede loro l’Agente di servizio.

– Il murifabbro Carmine Alpinolo – gli risponde Ferdinando.

– E perché?

Si era permesso di togliere la maschera a nostra sorella che era con noi e giustamente ne abbiamo preso le difese, ma lui ha cacciato il coltello…

I fratelli Vitelli denunciano Alpinolo, che viene rinviato a giudizio e condannato a 8 mesi di reclusione. Ma Carmine Alpinolo non è uomo che si rassegna e dimentica: cova odio feroce, senza farne mistero, contro tutti i fratelli Vitelli, compreso Raffaele che, né in quella sera della mascherata, né in altre, avea questionato con lui e che, anzi, sapendosi perseguitato sente, per quieto vivere, il bisogno di ricorrere al Brigadiere Citrigno perché lo diffidi a non molestarlo più oltre.

Il trentunenne Raffaele Vitelli fa bene a temere Carmine Alpinolo, (ben noto alla Polizia, la quale lo ha dipinto delinquente violento e sfruttatore di donne) il quale, uscito dal carcere, più volte dichiara che, senza indugi, avrebbe tagliato il cuore a tutti e tre i fratelli, ma passano un paio di mesi e non succede niente.

La sera di Capodanno 1941 Raffaele Vitelli, col suo cane lupo al guinzaglio, sta passeggiando con Cosimo Grimaldi e quando i due amici arrivano nei pressi della casa di Nicola Trentinelli, prega Cosimo di attenderlo un momentino e sale in quella casa ove si trova il figlio della sua amante:

– Dammi la chiave di casa – il ragazzino ubbidisce, gliela porge e Raffaele torna dal suo amico Cosimo, che nel frattempo è stato raggiunto da Giuseppe Broccolo e Salvatore Girolamo.

I quattro chiacchierano tra di loro quando, dalla vicina cantina di Giuseppe Gallo, accompagnato dall’amico di mala vita Raffaele Donnino, esce Carmine Alpinolo che vede Raffaele e gli va incontro, nonostante non sia necessario passargli accanto. Quando gli è davanti, eseguendo il vecchio progetto di provocarlo, dice al suo amico Donnino mentre cava di tasca un lungo coltello:

Questo è il fratello di quei due malandrini… – poi continua rivolgendosi direttamente al suo nemico – Carogna, ti debbo far fare la fine dei tuoi fratelli! – Il braccio armato scatta come una molla verso il petto di Raffaele Vitelli, che è svelto a spostarsi di quel tanto che basta ad evitare la lama, che gli lacera la manica del cappotto, senza ferirlo.

Terrorizzato, Raffaele scappa trascinando il suo cane lupo che abbaia furiosamente, ma Alpinolo lo insegue e lo raggiunge. Vitelli, vistosi perduto, aizza il cane contro Alpinolo, ma questi, quando se lo vede con le zampe sul petto che digrigna i denti e prima che lo morda, lo colpisce col coltello alla spalla sinistra ed il cane, guaendo per il dolore si ritira con la coda tra le gambe.

In questi brevissimi istanti Raffaele Vitelli ha avuto il tempo di estrarre il suo coltello e quando vede il suo cane scappare, vistosi perduto, vibra una coltellata al petto di Alpinolo, colpendolo al quinto spazio intercostale di sinistra.

Alpinolo urla di dolore mentre cade a terra ferito; Donnino lo soccorre e lo accompagna all’Ospedale. La ferita non sembra grave, i medici lo ricuciono e lo rimandano a casa con una prognosi di dieci giorni, ma prima di uscire viene interrogato dall’Agente di turno:

– Chi è stato?

– Non lo so, non l’ho riconosciuto… – dichiara per omertà e poi, mantenendosi sempre nella menzogna, continua – improvvisamente e senza motivo sono stato ingiuriato, provocato, preso a calci e poscia ferito di coltelloil mio aggressore, nella fretta di ferire, ha per giunta accoltellato il suo stesso cane!

Appena rientrato a casa, Alpinolo racconta la verità ai suoi intimi, ai quali precisa ridendo:

Il cane l’ho ferito io col proposito di sballarlo!

Dopo una decina di giorni la ferita è chirurgicamente guarita, ma compaiono i sintomi di una pleurite emorragica con versamento endotoracico e quando viene nuovamente interrogato in Questura, forse temendo di non poter portare a termine i suoi propositi di vendetta, cambia versione e dichiara:

Mi ha ferito Raffaele Vitelli. Costui, appena mi vide mi ferì, apostrofandomi con le parole: “Carogna, questa te l’avevo serbata per il primo dell’anno e cerca di farti medicare perché questa nemmeno Cristo te la potrà guarire”.

Il giorno dopo, interrogato dall’Autorità Giudiziaria, non ripete la frase ingiuriosa e, sempre assumendo di essere stato ferito improvvisamente e senza motivo alcuno, querela Raffaele Vitelli per lesioni personali. Gli inquirenti, che conoscono bene la sua personalità, sono restii a credergli, anche perché le testimonianze che via via vengono raccolte dicono esattamente il contrario. I giorni passano, la dinamica dei fatti si delinea sempre più chiaramente e, di conseguenza, le cose peggiorano per Alpinolo, insieme alle sue condizioni di salute. La pleurite emorragica degenera in pleurite putrida, con conseguente endocardite essudativa così, il 12 febbraio 1941, dopo 42 giorni dal ferimento, Carmine Alpinolo muore. E le cose cambiano anche per Raffaele Vitelli perché adesso si procede per omicidio.

L’ho ferito per essermi dovuto difendere… uscito dalla casa di Trentinelli insieme a Girolamo e Broccolo, mi imbattei nell’Alpinolo, che era in compagnia di uno sconosciuto e mentre questi stava per allontanarsi, l’Alpinolo gli disse: “Perché te ne vai? Aspetta!” e così dicendo, estratto un coltello, mi inseguì e, raggiuntomi, mi tirò due colpi, riuscendo a tagliarmi il cappotto ed il pantalone, nonché a scalfirmi un fianco – e mostra al Giudice lo strappo sulla manica del cappotto. Poi continua – lo sconosciuto lo seguiva tenendo la rivoltella in mano ed io, in tali contingenze, cercai scampo spingendo contro l’Alpinolo il mio cane lupo, il quale fu dall’Alpinolo ferito onde, nell’imminenza del pericolo, estrassi a mia volta un coltello a serramanico e gli vibrai una coltellata, dopo della quale l’Alpinolo, rimasto ferito, fuggì

Le testimonianze raccolte, compresa quella di Raffaele Donnino, combaciano sostanzialmente con questa versione dei fatti e tutto sembra indirizzarsi verso il proscioglimento di Raffaele Vitelli per avere agito in stato di legittima difesa. Ma lungo il corso istruttorio la famiglia di Carmine Alpinolo, reclutando nei bassifondi della mala vita alcuni testimoni e precisamente Rosario Novaro, Emilia Giugliano e Pasqualina Ricciardelli, li induce a deporre di aver visto Raffaele Vitelli ferire sia il cane che Carmine Alpinolo, che fu Vitelli a provocare la vittima la quale, inerme e con le mani alzate quasi in atteggiamento di resa, tentava sfuggirlo indietreggiando. Una versione francamente non credibile, ma sorprendentemente sposata dalla Procura Generale di Catanzaro, che chiede il rinvio a giudizio dell’imputato con la terribile accusa di omicidio premeditato. Il Giudice Istruttore, però, la pensa in modo opposto e proscioglie l’imputato perché non punibile per avere agito in stato di legittima difesa.

Tutto è bene quel che finisce bene secondo la legge, ma le sorprese non sono finite perché il Procuratore Generale appella la sentenza e la Sezione Istruttoria, il 14 marzo 1942, gli dà ragione e rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per omicidio premeditato.

Il dibattimento si tiene nelle udienze del 9 – 10 e 11 luglio 1942 e la Corte, ascoltati i testimoni e letti gli atti, afferma subito che il Procuratore Generale prima e la Sezione istruttoria dopo si lasciarono fuorviare dalle mendaci incolpazioni dell’Alpinolo e dal falso deposto dei testi dell’ultima ora, se hanno potuto giudicare che il prevenuto si sia reso responsabile di omicidio premeditato. L’uno e l’altra prestarono piena fede all’Alpinolo, un tristo, uno sfruttatore di donne, un delinquente violento. Tristo al segno che la di lui moglie ha sentito il bisogno, nel suo dolore di donna oltraggiata e di moglie abbandonata dopo appena un anno di matrimonio, da dover dire al Giudice Istruttore che l’interrogava quale parte lesa, ch’ella per l’uccisione di suo marito non aveva nulla da chiedere alla giustizia.

Essi credettero alla premeditazione solo perché il tristo osò affermare che il prevenuto, dopo aver ferito ebbe a dirgli “Questa te l’avevo promessa per il primo dell’anno e nemmeno Cristo te la potrà guarire” e non si accorsero che tale affermazione era del tutto mendace, vuoi perché, come conclamano tutte le pagine del processo, Vitelli fu trascinato al fatto in seguito di improvvisa, inaspettata aggressione ad opera dell’Alpinolo, vuoi perché, attraverso le di costui diverse ed inconciliabili dichiarazioni che vanno dalla reticenza per omertà alla calunnia per insana vendetta, si aveva quanto bastava ch’egli non meritava alcuna credibilità.

E continua a smontare la teoria accusatoria dimostrando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura Generale e dalla Sezione Istruttoria, Vitelli non aveva alcun motivo di vendetta per uccidere Alpinolo perché era già stato vendicato dalla Legge per il ferimento dei fratelli ma, viceversa, era Alpinolo che, per essere ribelle alla Giustizia come rivela la sua omertà, nonché per essere sordo alla voce del lecito e dell’onesto, come assicura la sua vita scorsa fra bari e prostitute, trovava nella condanna un permanente motivo di rancore contro coloro che alla condanna l’aveano portato.

Come hanno potuto la Procura Generale e la Sezione istruttoria, sostiene la Corte, non tener conto che Raffaele Vitelli avea terrore dell’Alpinolo, il quale si vantava di dovergli tagliare il cuore, e si ha la prova che lo sfuggiva ed avea perfino dovuto chiedere l’intervento della Polizia per far cessare le minacce alle quali veniva fatto segno? Come non considerare che la fatale sera del Capodanno 1941 Vitelli fu improvvisamente ed inaspettatamente aggredito? Come hanno fatto a credere che il cane fu ferito da Vitelli, quando le perizie certificano che l’ubicazione della lesione al lato esterno della spalla sinistra, fu inferta da colui che stavagli di fronte e contro cui si era avventato saltandogli al petto, cioè Carmine Alpinolo? Infatti, continua la Corte, il cane non poté essere ferito da Vitelli che, standogli dietro, non avrebbe potuto che colpirlo alla spalla destra, tranne che non sia mancino, ipotesi mai fatta.

Ma la prova regina, quella che scagiona definitivamente Raffaele Vitelli, sono le testimonianze di Rosario Novaro, Emilia Giugliano e Pasqualina Ricciardelli, i testi proposti dalla famiglia Alpinolo, che la Corte definisce manifestamente falsi e quindi non meritano alcuna credibilità.

Non può credersi alla prostituta Ricciardelli, affermante che l’Alpinolo era inerme e che il Vitelli, con unica coltellata, ferì il suo cane e lui, perché perfino il Donnino, compagno di mala vita di Alpinolo, non ha potuto negare che questi era armato di coltello e col coltello a tenzonare.

Non merita fede la Givigliano, non tanto per aver affermato l’assurdo, cioè che l’Alpinolo fosse inerme e rinculasse mentre Vitelli, armato, lo inseguiva, ma per avere avuto la sfrontatezza e l’audacia di deporre che, stando sulla soglia della porta di sua suocera, ebbe agio di accorgersi dello svolgersi del litigio e del duplice ferimento quando, viceversa, il verbale di ricognizione dei luoghi ci fa apprendere che dalla detta soglia non si vede il punto dove il ferimento avvenne. Ella afferma una circostanza assolutamente nuova e precisamente che, appena l’Alpinolo fu ferito sopraggiunse un vecchio il quale ebbe a dirgli: “è stato poco quello che ti hanno fatto!”. Di tale invettiva, da nessuno sentita, non ebbe a farne cenno nemmeno l’Alpinolo in alcuna delle sue numerose testimonianze.

Non è credibile, infine, il Novaro poiché, essendosi trovato, come ha affermato, nella bettola di Gallo nel momento in cui ne uscirono l’Alpinolo e il Donnino, egli non poté nulla vedere, né sentire poiché durante il cruento episodio, che fu immediato, nessuno di coloro che erano nella bettola uscì fuori, come rilevasi dalle affermazioni del bettoliere e perché nemmeno la moglie lo vide sul luogo del delitto. La loro menzogna si è scoperta dalla ferita del cane, che Ricciardelli, Givigliano e Novaro fanno risalire, falsamente, al Vitelli.

Da tutto questo non può esservi alcun dubbio, secondo la Corte, che Carmine Alpinolo, sanguinario e prepotente, non provocato, aggredì a mano armata Raffaele Vitelli e questi, che attraverso la sorte del suo cane vide la propria, fu, per difendersi e cioè per rendere inoffensivo l’aggressore, costretto a ferirlo.

Per questo motivo va assolto, come chiede anche il Pubblico Ministero.

Però Raffaele Vitelli portava con sé, abusivamente e senza giustificato motivo, il coltello con cui si difese e questo è reato, per cui la Corte lo condanna a mesi 2 di arresti.

È ovvio che l’assoluzione comporta il respingimento della richiesta di risarcimento degli asseriti danni avanzata dalla parte civile.[1]

È l’11 luglio 1942 e i soldati italiani stanno combattendo ad El-Alamein.

 

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.