STORIA DI WANDA

Wanda Aiello ha 16 anni quando la mattina del 25 dicembre 1939 si sposa a Rossano con Isidoro Calabrò. Sono felici anche se le condizioni economiche non sono delle migliori e subito nascono due bambini, amorevolmente cresciuti da Wanda, mentre Isidoro si spacca la schiena per portare il pane a casa. Poi scoppia la guerra, maledetta ogni guerra che divide le famiglie, Isidoro viene richiamato alle armi e spedito al fronte.

Wanda cerca di cavarsela come può ma, dopo breve tempo, la necessità la espone alle insidie dei corteggiatori, moltiplicatisi in seguito, essendosi costei dedicata alla prostituzione clandestina. Le frequenti vicende sessuali ricevono il loro primo, nefasto epilogo attraverso una infezione luetica, resasi clamorosa per il ricovero nel reparto anticeltico dell’ospedale di Cosenza dal 3 ottobre al 9 novembre 1944.

Appena dimessa, Wanda torna a Rossano, ma è ormai bollata dalla notorietà dell’ultima diagnosi: uretroretinite gonococcica e sifilide latente e tutti ne stanno alla larga, tranne il contadino Giovanni Fortino, ultratrentenne padre ben attorniato di figliuoli, che se ne infischia della malattia e se la prende come concubina. Ma Fortino non si limita alla relazione che, sia per i propri vincoli familiari, sia per la grave malattia della concubina, richiederebbe precauzioni elementari anche da parte di persona rozza e mette incinta Wanda che, nel mese di gennaio del 1946, partorisce una bambina da aggiungere ai due figli avuti da Isidoro, che nel frattempo l’ha abbandonata.

Ovviamente la bambina nasce con le stigmate visibili dell’infezione materna, presentando le spalle erose e la cavità orale, per le sue condizioni, permette di immaginare lo sfacelo del tubo gastro-enterico. La piccola non riesce a succhiare il latte materno, che si esaurisce in fretta, e Wanda è costretta a svezzarla precocemente, proprio mentre insorgenze di gelosia verso la femmina, che dal proprio traviamento non è certo stata tratta a una forma di redenzione, inducono Fortino a staccarsene.

Wanda è allo stremo: le acuizioni del male, il tormento di una maternità colpevole e non sorretta da mezzi di efficace soccorso per la bambina esposta alla necessità di un nutrimento artificiale, segnano la sua degradazione e l’affondamento in essa e, considerato che a Rossano non c’è un ospizio in cui trovare ricovero, la misera viene a trovarsi davanti al bivio dell’ospedale o del carcere. Così, il 3 agosto 1946, Wanda torna nel reparto che tre anni prima l’aveva ospitata, ma questa volta porta con sé il fardello della propria sciagura: la bambina affetta da gastroenterite tossica.

Mamma e figlia vengono dimesse dopo quasi un mese e mezzo, il 12 settembre, senza che si sia verificato un significativo miglioramento delle loro condizioni. Tornata nello squallore della propria stamberga, schivata dalle vicine, priva di ogni risorsa, Wanda talvolta deve, sotto l’assillo della disperazione, raggiungere fuori dall’abitato qualche amico dei periodi di sfrenatezza. E la bambina? La bambina la lascia nella concavità di un giaciglio, sola, con la porta dell’unico locale a pianterreno aperta. Ma per fortuna tra le vicine c’è un’anima generosa, Cristina De Luca, che dà il proprio latte alla bambina sofferente, anche se lo stato del male le impedisce persino la possibilità di sorbire il latte dal cucchiaio.

– È tutto inutile quello che fai per la creatura – dice a Cristina suo marito, commosso ma consapevole della estrema fase cui è giunto il male.

Wanda esce anche di notte, ma appena torna avvisa una sua amica, Annina Calorata, che dà un’occhiata alla bambina e che, non se ne capisce bene il perché, ben presto le diventa ostile. Sarà un caso, ma proprio in questi giorni, il 27 settembre 1946, in un momento in cui Wanda non è in casa, davanti alla stamberga passa Fortino il quale, trovata come al solito la porta aperta, entra e vede la bambina nel suo consueto giaciglio, molestata dall’incessante susseguirsi di mosche. Bestemmia, esce e va dai Carabinieri a denunciare Wanda per maltrattamenti in persona della propria figlioletta. Il Vice Brigadiere Francesco Tallarico si reca sul posto e trova la piccola, collocata su un seggiolino, macilenta e del tutto trascurata sotto il riguardo igienico. Comincia subito le indagini e le testimonianze che raccoglie descrivono le impressioni di ribrezzo dei vicini. Il giorno dopo, sfortunatamente, la bambina muore e per Wanda i guai aumentano di giorno in giorno, tanto che il 27 giugno 1947 viene emesso a suo carico un mandato di cattura, eseguito il 16 luglio successivo.

– Sono innocente, io non l’ho mai maltrattata… io l’amavo la mia bambina… vedete in che condizioni sono ridotta, ma nonostante questo niente mi avrebbe disarmato del mio sforzo di protezione verso la mia misera ultima creatura

Niente da fare, tutto è contro di lei, madre snaturata, così il 7 febbraio 1948 Wanda Aiello viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Rossano con l’accusa di avere usato maltrattamenti alla propria figlia Giovanna, nata da pochi mesi, che ne causarono la morte.

La Corte, dopo avere letto gli atti ed ascoltato i testimoni, lancia un j’accuse durissimo, ma non contro Wanda: approfondita l’indagine, oltre la superficialità di sentimenti, convogliati aprioristicamente dal disprezzo contro Wanda Aiello per la prostituzione e dalla pietà per la sofferenza della infante, la realtà, innegabilmente potuta ricostruire attraverso la coordinazione di elementi, solo in parte acquisiti in periodo istruttorio, si fissa nel seguente rilievo: la serie, continuativa in quanto ineluttabile, dei tormenti che, derivando dalla lue ereditaria, nemmeno le cure ospedaliere avevano potuto domare, si svolse parallelamente alla ripresa della prostituzione clandestina per parte della madre traviata, onde nell’animo dei vicini e non meno in quello del pubblico, la naturale proclività alla disistima si esternò in una indiscriminata moltiplicazione di colpe. Sfuggì a quanti colsero di volo lo spettacolo della bambina stecchita, a volte dovuta affidare alla generosa vigilanza dei vicini alieni dai facili sdegni, sfuggì il complesso degli sforzi e delle cure adottate dalla sciagurata madre. Attraverso prove irrefragabili si è accertato che il lattaio Spena Pietro, durante il 1946 e dopo lo svezzamento (la cui precocità solo in modo equivoco l’unica avversaria dell’imputata, Calorata Annina, descrisse come ispirata a quella dell’interesse di non sciuparsi con l’allattamento), fornì quotidianamente un mezzo litro di latte, destinato alla bambina; De Luca Cristina si prestò alle invocazioni di soccorso rivolte a lei dalla vicina di casa Wanda Aiello e dovette sforzarsi per la somministrazione di qualche cucchiaiata di latte proprio; il marito della De Luca fu testimone delle ansie da cui era dominata l’Aiello; il dottore Romano Pasquale poté direttamente rendersi conto dell’estrema miseria che a costei non impediva di sollecitare prescrizioni mediche non potute, a volte, realizzare presso le farmacie, sprovviste di specialità per infermità luetica; volenterosi sforzi per sopperire alla mancanza del latte materno con pastine glutinate dall’Aiello furono, senza dubbio, sostenuti e non per creare l’apparenza dell’amore materno, ma per darne irresistibile sfogo. Nel dibattimento si è svelata la infondatezza dell’accusa relativa alla pretesa continuità di abbandoni, essendosene appena avverati pochissimi e in condizioni tali da rendere tempestiva, se necessaria, l’assistenza diretta alla bambina.

Poi l’affondo finale: sono risultati inattendibili Fortino, il denunziante, e Calorata, l’amica divenuta accusatrice. Il primo, avendo già affermato di essersi indotto all’abbandono della concubina per averla sorpresa a letto con un uomo, si è apertamente smentito, rendendo manifesta la obliquità del temperamento menzognero. L’altra ha dovuto ammettere che Aiello, appena tornata da qualche gita notturna, gliene aveva dato immediatamente notizia, a dispensa da ulteriore interessamento per la bambina, deplorevolmente lasciata sola alla uscita da casa. Lo stesso Vice Brigadiere Tallarico, riferendosi all’attuale condizione ospedaliera di Rossano, ha chiarito come Aiello si sia trovata nell’impossibilità di ricevere alcuna assistenza pubblica.

Quindi, conclude la Corte, se per il reato ascritto a Wanda Aiello il dolo consiste nella sola coscienza e volontà di arrecare sofferenze fisiche (o morali) in una data continuità, questa non può essere slegata dal suo nesso causale quando, come nel caso in esame, provenga indubbiamente da malattia non potuta estirpare in apposito reparto d’ospedale e Wanda deve essere assolta perché il fatto non costituisce reato.

Ma la Corte, in coscienza, non si esime da un’ultima, durissima considerazione: nella causa presente, all’odio del denunziate si è meccanicamente associata una pietà, il cui carattere postumo pone in risalto se non la effettiva insensibilità, il superficiale interesse per le miserie altrui in ambienti non ancora dominati da vigile assistenza sociale.

È il 28 luglio 1948 e da tre mesi si è insediato il primo parlamento repubblicano della storia italiana.

Il ricorso per Cassazione proposto dal Procuratore Generale della Repubblica viene respinto il 21 maggio 1951.[1]

Un mondo senza solidarietà e compassione è destinato all’estinzione.

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano.