LO SCONOSCIUTO

È buio pesto quando, alle 21,00 del 9 dicembre 1918, un uomo imbacuccato nel suo mantello bussa alla porta della caserma dei Carabinieri di San Marco Argentano. È sconvolto ed il piantone lo accompagna nell’ufficio del Maresciallo Giuseppe Ceci.

– Circa quattro ore fa, in contrada Petrone, ignoti malfattori hanno sparato un colpo di arma da fuoco nella casa di Carolina Zaccaro, uccidendo mia figlia Carmela – denuncia Benedetto Antonucci, sessantaseienne contadino di Cetraro, stabilitosi a San Marco da molti anni

Il Maresciallo Ceci non perde tempo e con i suoi uomini raggiunge immediatamente il luogo del delitto. Interroga i presenti e ricostruisce il fatto: verso le 17,00 Carmela Antonucci dalla sua abitazione si recava in quella di un suo zio, Antonio Antonucci, per fargli visita. Giunta nei pressi della casa di Carolina Zaccaro, vide vicino la porta Paolina Sarpa, intenta a fare la calza, la quale, dovendo narrarle come pochi momenti prima si era questionata con le vicine di casa Enrichetta Occhiuzzi, la di costei madre Carmela Antonucci e la nuora di questa Angiolina Pasqua per causa di un pezzo di legno, la chiamò a sé. Quindi, Paolina Sarpa, rivoltasi a Carolina Zaccaro che si trovava in casa seduta vicino al focolare, disse:

Che, sei nemica con Carmela?

No – rispose Carolina, invitando le due donne ad entrare ed a sedersi al fuoco.

Mentre ragionavano tra loro, sopraggiunse la ragazza Maria Bufano che cercava Paolina perché dovevano dormire assieme. Anche Maria si accomodò con le altre tre e tutte insieme continuarono a chiacchierare, sedute in modo tale da rimanere all’estremità di un lato del camino Carolina Zaccaro, accanto a lei la ragazza Maria Bufano, accanto a questa Paolina Sarpa ed al capo opposto Carmela Antonucci, la quale appoggiava il lato sinistro al muro, presentando la schiena allo spiraglio della porta, che lei stessa aveva lasciato socchiusa. Secondo questa disposizione, di fronte a Carmela si trovava Paolina, la quale presentava il petto allo spiraglio della porta.

Mentre le quattro donne chiacchieravano, sopraggiunse il bambino Antonio Bufano che, per incarico di sua sorella, era andato a sollecitare Carmela Antonucci per consegnarle un fiasco d’acqua.

Il bambino, giunto dietro l’uscio della casa di Carolina Zaccaro, notò che sotto la porta di un vano attiguo, adibito a cucina, vi era un uomo che non conobbe e che gli fece segno di starsene zitto. Antonio, terrorizzato, si allontanò senza eseguire la commissione e lo sconosciuto, da parte sua, non appena il bambino si allontanò, stese la mano armata nello spiraglio dell’uscio e fece esplodere un colpo di rivoltella, indubbiamente contro Paolina Sarpa, che si trovava di fronte e, per deviazione di mira, il proiettile colpì Carmela Antonucci alla clavicola della spalla sinistra, rendendola cadavere all’istante. Carmela, ricevuto il colpo, si rovesciò su Paolina, la quale cercò di sollevarla, ma quando si accorse che era morta, la lasciò al suolo.

Lo sconosciuto, esploso il colpo, si diede alla fuga e fu visto da Antonio mentre fuggiva in direzione del vallone sottostante, che mena verso l’abitazione di certo Raffaele De Cesare, distante circa 400 metri.

Ricostruiti sommariamente i fatti, per il Maresciallo Ceci è ora di mettersi in azione per scoprire l’identità dello sconosciuto assassino. E sembra che non ci vorrà molto, perché le donne presenti in casa di Carolina Zaccaro al momento del delitto hanno le idee molto chiare in proposito: a sparare non può che essere stato quel Raffaele De Cesare, verso la cui casa fu visto fuggire l’assassino. Perché le donne ne sono convinte? Semplice: Raffaele De Cesare è il marito di Paolina Sarpa, probabile vero obiettivo del colpo mortale, ed è notorio che tra i due non corrano buoni rapporti. E ciò spiegherebbe anche il movente, cioè disfarsi della moglie per rimanere libero e sposare altra donna, come lo stesso De Cesare va dicendo pubblicamente.

– A settembre, prima di andarmene da casa – avverte Paolina Sarpa – ho visto una rivoltella sotto il materasso del nostro letto…

In seguito a ciò, verso le ore 2 del giorno 10, il Maresciallo Ceci con i suoi uomini va a casa di De Cesare.

Avete una rivoltella? – gli chiede senza preamboli.

– No – risponde l’uomo, che continua –. Ne avevo portata una dall’America circa due anni fa, ma l’ho venduta ad un carrettiere di Fagnano, a me sconosciuto

– In realtà sappiamo che a settembre avevate un’arma nascosta sotto il materasso – gli contesta Ceci.

– Rivoltelle non ne ho, l’ho venduta! – insiste.

– Va bene, vorrà dire che daremo un’occhiata in giro…

La perquisizione è molto approfondita e, in effetti, sembra non esserci nessuna arma in casa, ma poi un Carabiniere si mette a frugare in soffitta e, sotto un cumulo di patate conservato su di un telaio di canne, nota che un mattone del pavimento non è fissato come gli altri. Lo solleva e lancia un urlo per richiamare l’attenzione del Maresciallo:

– L’ho trovata! È qui!

Si tratta di una rivoltella di calibro 9, sistema Smith, nichelata, carica a 5 colpi. Scaricata l’arma, i militari osservano che un colpo era stato esploso da poche ore perché la canna puzza ancora di polvere e quindi al colpo esploso De Cesare aveva sostituito una cartuccia nuova.

– E questa? Perché l’avete nascosta?

– Ehm… la tenevo sotto il pagliericcio, e appena sentita la vostra voce, siccome nella vicina contrada Petroni avevano fatto quistioni, per tema che fossi ricercato, l’ho nascosta appunto per non destare sospetti

– Cosa avete fatto nel pomeriggio del 9 dicembre?

Mi sono ritirato a casa prima di far nottesono innocente!

Raffaele De Cesare finisce in camera di sicurezza con l’accusa di essere l’assassino di Carmela Antonucci. Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi ed il possesso dell’arma da solo non può bastare per inchiodare De Cesare alle sue responsabilità, ammesso che sia proprio lui l’assassino, e quindi bisogna cercare altri riscontri ed altre testimonianze.

Enrichetta Occhiuzzi, Angiolina Pasqua ed il loro garzone Filippo Sabato, nel sentire il cane baiare verso le 17,15 del giorno del delitto, giurano di aver visto un uomo fuggire fra gli alberi, proveniente dalla direzione della casa Zaccaro e verso il vallone che mena a casa di Raffaele De Cesare. In un primo momento dicono di non aver riconosciuto l’uomo, ma il giorno dopo si presentano in caserma e dicono di ritenere che lo sconosciuto era precisamente De Cesare. Poco e troppo vago.

Continuando le indagini, al Maresciallo Ceci risulta che Raffaele De Cesare il 9 dicembre alle 6,30 si presentò a lavorare da certo Nardi Giuseppe in contrada Cerretto, dove rimase fino alle 15,30. Alle ore 16, dopo aver consegnato i buoi a Pasqua Angelina in contrada Petroni ed acquistato due polli, si allontanò dirigendosi verso la sua abitazione dove, indubbiamente, avrebbe dovuto arrivare prima del tramonto del sole.

Adesso il Maresciallo Ceci, in attesa di trovare i riscontri necessari, si sofferma sui rapporti tra Paolina Sarpa e suo marito Raffaele De Cesare e scopre che, nel tempo che quest’ultimo era unito con la moglie, oltre ai maltrattamenti che le usava, fu sottoposto a procedimento penale per maltrattamenti e lesioni e condannato a mesi cinque di reclusione. Egli è un pregiudicato e capacissimo a delinquere, per cui non vi è alcun dubbio che l’autore dell’omicidio sia lui ed a rafforzare questa convinzione ci sarebbe la circostanza che alle ore 17,30, mentre le sorelle Giuseppina e Cristina Antonucci, sorelle della morta, erano intente ad attingere acqua da una fontana che dà nel vallone, situata nelle vicinanze dell’abitazione del De Cesare, videro questi scendere dalla collina, proveniente dalla direzione della casa Zaccaro e, non appena accortosi della vista delle sorelle Antonucci, entrò in un suo orto e come un pazzo si mise a staccare foglie di cavolo dalle piante, cantando la canzone “Ti ho cacciata la bella tua, io l’ho perduta e non la vidi chiù”. Le sorelle Antonucci tornarono a casa e dopo pochi minuti appresero la triste notizia della morte di Carmela. Quindi, secondo il Maresciallo Ceci, è da ritenere che De Cesare, giunto a casa prima del tramonto del sole, lasciò i polli e recossi all’abitazione Zaccaro per commettere il delitto e dopo di averlo commesso rincasò. Al ritorno che faceva nel rincasare, giunto alla fontana fu visto dalle sorelle Antonucci e cominciò quella sceneggiata.

Interrogato di nuovo, De Cesare non ha difficoltà a confermare di aver lavorato con i buoi fino alle 15,30, di avere riportato gli animali nella stalla di Angiolina Pasqua, impiegando una decina di minuti, di essersi fermato nella stalla per un’altra ventina di minuti per accomodare l’aratro, di aver poi preso i due polli e di essersi avviato verso casa intorno alle 16,00. Conferma di avere strappato le foglie di cavolo per darle da mangiare ai maiali. Ammette di aver visto le sorelle Antonucci solo dopo essere entrato nell’orto e non durante il tragitto, ma non dice di avere cantato, come hanno sostenuto le Antonucci. Diversamente dal primo interrogatorio, dice di essere rimasto a casa fino all’imbrunire, quando uscì per andare a semenzare il grano nel suo terreno, trattenendosi fino alle 21,00. Poi rincasò e si mise a letto, restandoci fino all’arrivo dei Carabinieri, verso le 2,00 del 10 dicembre. Ammette di aver fatto uso della rivoltella il 7 dicembre, vigilia dell’Immacolata, e di avere sostituito il bossolo usato con una cartuccia nuova, ma De Cesare smentisce categoricamente un passaggio del verbale redatto dal Maresciallo Ceci la notte in cui fu arrestato in casa e gli fu sequestrata la rivoltella:

Non è vero che ai Carabinieri che vennero in mia casa a richiedermi la rivoltella io abbia detto di aver nascosto l’arma perché, avendo fatto quistioni nella vicina contrada Petrone, temessi di essere ricercato. Nulla sapevo del fatto avvenuto nella detta contrada, certamente i Carabinieri hanno dovuto equivocare

De Cesare, a questo punto, attacca: non può essere stato lui ad uccidere la povera Carmela Antonucci perché proprio in quel preciso momento stava lavorando nel suo orto e ha due testimoni inattaccabili: le sorelle della morta! E qui si gioca tutto per una questione di quattro o cinque minuti. Vedremo.

Poi arrivano i risultati dell’autopsia: Carmela fu uccisa da un proiettile di rivoltella calibro nove, corrispondente a quello delle cartucce sequestrare a De Cesare. E si scopre una cosa terribile, visto ciò che accadde: Carmela era incinta da oltre 6 mesi!

Il 16 dicembre, il Maresciallo Ceci raccoglie la testimonianza di una anziana contadina, la quale giura che la sera del delitto, verso l’imbrunire e cioè pochi minuti prima del delitto, mentre rincasava, giunta nelle immediate vicinanze della casa di Carolina Zaccaro, fece incontro con Raffaele De Cesare.

Si raccomandò di non dire nulla a nessuno che in quell’ora ci eravamo incontrati. Dopo che lo rassicurai di mantenere la promessa di stare zitta, continuai il cammino verso casa mia, mentre De Cesare continuò verso l’abitazione di Carolina Zaccaro, dove commise il delitto e poscia allontanossi precipitosamente verso il vallone che mena alla sua abitazione

Anche per il Pubblico Ministero gli indizi raccolti sono sufficienti per ritenere Raffaele De Cesare responsabile dell’omicidio di Carmela Antonucci, per cui ne chiede il rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio, per avere, la sera del 9 dicembre 1918, con la intenzione di uccidere la propria moglie Sarpa Paolina, esploso contro la stessa un colpo di rivoltella il quale, investendo per errore Antonucci Carmela perforò alla stessa il polmone ed il cuore e fu causa unica ed esclusiva della immediata morte.

Il 19 maggio 1919, la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta e rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

Raffaele De Cesare si siede al banco degli imputati poco più di un anno dopo, l’8 luglio 1920 e le cose potrebbero cambiare perché le parole di due testimoni sembrano velatamente smentire le dichiarazioni delle sorelle Antonucci e quelle degli altri testimoni che avrebbero visto De Cesare subito dopo il delitto vicino alla propria abitazione.

Giovanni Ciardullo giura e racconta:

Dopo due o tre minuti dal colpo, intesi la voce di De Cesare gridare: “Piove! Piove!”. La mia abitazione è equidistante tra la casa di De Cesare e quella in cui venne uccisa Carmela Antonucci

Nicola De Marta, guardia carceraria, racconta:

Inseguii De Cesare una volta che evase dal carcere ed andai sul luogo ove commise il delitto. Notai che da questo luogo alla casa di De Cesare vi è una discreta distanza perché bisogna scendere e poi salire metà della collina. A mio modo di vedere occorrono trenta minuti o tre quarti d’ora per percorrere la distanza a passo calmo

Se è vero che Giovanni Ciardullo ha sentito cantare De Cesare dopo due o tre minuti dallo sparo e considerata la testimonianza della guardia carceraria, come ha potuto fare l’imputato a trovarsi vicino casa sua dopo aver sparato? Non sarà facile per la giuria decidere.

In Camera di Consiglio la discussione è vivace, ma alla fine i giurati raggiungono l’accordo sul quesito cardine a cui devono dare risposta: Ha l’imputato De Cesare Raffaele, di anni 31, contadino di San Marco Argentano, commesso il fatto?

La risposta è NO.

A questo punto gli altri tre quesiti non hanno più senso ed il processo si chiude con l’assoluzione di Raffaele De Cesare per non aver commesso il fatto.[1]

 

 

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[1] ASCS, Processi Penali.