L’AMANTE INDIANA

Eugenio Prastaro è di Acri e zappa da quando è bambino. A marzo del 1905, quando ha appena compiuto 15 anni, prende in prestito i soldi necessari e parte per Napoli dove si imbarca per andare Allamerica. A Boston arriva il 5 aprile 1905 e non fa fatica a trovare da lavorare come contadino. Poi si trasferisce nella parte settentrionale dello Stato di New York e, nonostante ogni tanto gli piaccia alzare il gomito, continua a lavorare sodo ed a comportarsi bene, tanto che nel 1923 ottiene la cittadinanza americana e compra anche un mezzo catorcio di automobile.

Adesso che ha ormai 33 anni vive a Salamanca, nel territorio della riserva indiana della Nazione Seneca, e il gomito lo alza sempre più spesso. Ma è in vigore ormai da tre anni il proibizionismo, così comincia a frequentare uno speakeasy, un locale clandestino dove si vendono e bevono liquori di pessima qualità, ed è qui che conosce Amelia Farmer, una nativa americana di due anni più grande, alla quale piace bere, e sboccia l’amore.

I due vanno a vivere insieme e quando non lavorano se ne stanno a casa ad ubriacarsi. Ogni tanto li va a trovare qualche amico e la loro casetta è sempre piena di bottiglie vuote sparse dappertutto.

Anche la sera del 24 febbraio 1924 hanno un ospite, Carl Blacksnake, un parente di Amelia, e come al solito l’alcol scorre a fiumi, riducendoli in uno stato di ubriachezza nauseante. Poi una parola fuori posto di Carl, forse una proposta indecente ad Amelia, e si scatena l’inferno: Eugenio e Amelia afferrano due sedie e le spaccano in testa a Carl, che cade a terra in fin di vita con il cranio fratturato, ma nessuno sarebbe in grado di dire chi abbia tirato la micidiale sediata. I due si fanno prendere dal panico e decidono che è meglio ripulire il pavimento dal sangue, trascinare Carl in mezzo alla strada, racimolare tutti i soldi che hanno, raccattare qualche indumento, saltare in macchina e scappare, non prima, però, di aver chiamato la Polizia per segnalare la presenza di un uomo morto in mezzo alla strada.

Ma Carl quando arriva la Polizia respira ancora e gli agenti non ci mettono molto a scoprire cosa è successo: gli basta seguire le tracce di sangue che arrivano fino alla casa di Eugenio ed Amelia, perché i due hanno lavato il pavimento, ma non hanno pensato ad un metodo per non far colare il sangue per strada. O, forse, non lo hanno ritenuto necessario perché proprio nel momento in cui gli agenti sfondano la porta di casa, loro stanno attraversando il confine con la Pennsylvania, certi che nessuno li troverà, per stabilirsi a Bradford. Carl muore la mattina dopo nell’ufficio della Polizia, dove è stato portato.

Cambiano nome, adesso Eugenio si chiama Giacomo Felice, e vivono tranquilli come se niente fosse accaduto per anni, lavorando e non facendosi notare, poi Eugenio (o Giacomo, se preferite) decide che è il momento di tornare ad Acri perché teme che forse qualcuno lo ha riconosciuto o ha riconosciuto Amelia. In paese ora vive tranquillo e passa qualche anno senza che accada niente, poi il 12 febbraio 1938 i Carabinieri bussano alla sua porta e lo arrestano: dagli Stati Uniti sono arrivate le carte che lo accusano e dovrà affrontare il processo davanti alla Corte d’Assise di Cosenza, dopo una brevissima istruttoria, secondo quanto richiesto direttamente dal Ministro di Grazia e Giustizia, visto l’incartamento arrivato da Washington.

Come ci sono arrivati gli americani? Trovano per caso Amelia Farmer che addossa tutta la responsabilità ad Eugenio, con l’accordo di dichiararsi colpevole di partecipazione accessoria al delitto e così viene condannata al carcere per un tempo non inferiore ad un anno e mezzo e non superiore a tre anni.

Eugenio Prastaro però si dichiara innocente e addossa tutta la responsabilità all’ex amante e lo ripete anche in udienza davanti alla Corte:

– Ha fatto tutto da sola per difendersi dalla concupiscenza di Carl Blacksnake, di cui dovette respingere l’aggressione in un momento di furore erotico, determinato dall’ubriachezza

I giudici però ritengono che questa versione non sia credibile perché non trova nessun controllo negli atti e non è neppure accennata dalla Farmer, che l’avrebbe senza dubbio segnalata all’Autorità Americana come circostanza esimente, mentre sta il fatto che la donna accettò la sua parte di responsabilità ammettendo di aver concorso al delitto. Per la Corte vale il racconto fatto da Amelia e cioè di un litigio sorto per ragioni non bene accertate e che il povero Blacksnake sia stato ridotto dai due amanti nello stato in cui fu trovato. Giusto o sbagliato che sia, secondo una considerazione logica, la Corte ritiene che preponderante, senza dubbio, nell’aggressione fu l’azione di Prastaro che, dopo aver colpito in casa la vittima, ebbe cura di trascinarla sulla pubblica via perché per trasportare il corpo di un uomo morente occorre una forza fisica di gran lunga superiore a quella della Farmer. Il concorso del Prastaro si ricava poi dalla sua condotta posteriore al fatto, la quale lo designa come un colpevole, avvalorando la versione della Farmer e le conclusioni della polizia americana. Se di fatti l’imputato fosse stato innocente ed estraneo al litigio, come dice, segnalando alla polizia la presenza di un uomo ferito sulla strada, non si sarebbe poi affrettato a prendere il largo con la fuga notturna in automobile in compagnia della complice, riparando sotto falso nome nello Stato contiguo per far disperdere ogni traccia di sé e dell’amante.

Potrebbero essere guai seri, ma la Corte vuole, e deve, andare fino in fondo per chiarire se si sia trattato di omicidio volontario o, piuttosto, di omicidio preterintenzionale, perché la differenza in termini di pena è notevole.

La Corte osserva che, pur essendo completa la compartecipazione criminosa di Eugenio Prastaro, non sussistono elementi precisi per ritenere che egli abbia agito con la volontà di uccidere, sia perché manca una causale proporzionata, sia per lo stato di ubriachezza e sia perché il mezzo usato per colpire non era adeguato. Il capo d’imputazione va perciò modificato da omicidio volontario in omicidio preterintenzionale, concedendosi il beneficio della semi infermità mentale a causa di ubriachezza volontaria, applicando il vecchio Codice Penale vigente all’epoca dei fatti, più favorevole all’imputato.

Eugenio Prastaro può tirare un sospiro di sollievo.

La pena può essere fissata in anni tredici di reclusione, ridotti alla metà per il beneficio di cui sopra e quindi va applicata nella misura di anni sei e mesi sei. Tale pena deve dichiararsi interamente condonata per effetto dei R.D. di amnistia 31 luglio 1925 n. 1227, 1 gennaio 1930 n. 1, 5 novembre 1937 n. 77 e ordina l’immediata scarcerazione dell’imputato, se non detenuto per altra causa.[1]

È il primo luglio 1939 ed Eugenio Prastaro può ballare la tarantella per aver fregato gli americani (e pure gli italiani).

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.

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