VEDOVA, SEDOTTA E ABBANDONATA

Sono circa le 20,00 del 4 maggio 1938 quando in Piazza Matrice di Spezzano Albanese una donna, la trentaquattrenne vedova Emilia Damiano, si avvicina ad un uomo, Domenico Cianci, e gli urla in faccia:

Lazzarone, svergognato, sei venuto a casa mia per truffarmi! – poi, prima che Cianci abbia il tempo di replicare, gli si lancia addosso e gli pianta le unghie sul viso, lasciandogli otto graffi sanguinanti – t’ammazzo!

Cianci urla per il dolore e la rabbia cercando di reagire, ma anche questa volta viene anticipato. Non da Emilia, però. A lanciarglisi addosso, o almeno a tentare di farlo, è il fratello della donna, Cosimo, il quale viene a sua volta placcato dai presenti e tutto sembra calmarsi, così Emilia e Cosimo se ne vanno a casa di lei, mentre Domenico Cianci va a casa di suo fratello Francesco.

Ovviamente vorrete sapere perché Emilia ha letteralmente sfregiato Domenico. Ecco, tutto parte dai primi di gennaio del 1938 quando Domenico si fidanza con la vedova Emilia, promettendole di sposarla e così, dopo varie insistenze da parte del fidanzato, Emilia gli si concede.

Passano i mesi, siamo al primo maggio 1938, e adesso è Emilia ad insistere perché è ormai tempo di sposarsi, anche perché in paese le voci sui loro continui congressi carnali si fanno di giorno in giorno più insistenti ed Emilia non vuole passare per una donnaccia.

– Hai ragione – ammette Domenico – il problema, però, è che non ho i soldi per le carte bollate che servono…

– E quanti sarebbero questi soldi?

– Cinquantaquattro lire! – risponde Domenico senza quasi farla finire di parlare.

– Te li do io, basta che ci sbrighiamo.

Presi i soldi, però, Domenico non va a comprare le carte bollate, ma si precipita a casa di Giuseppina Gullo, con la quale da qualche giorno si è segretamente fidanzato e adesso la cosa viene resa pubblica, con tutte le conseguenze del caso, cioè la rabbia di Emilia per essere stata sedotta, svergognata in pubblico, truffata e abbandonata.

Ma torniamo alla sera del 4 maggio.

Emilia e suo fratello Cosimo sono ormai a casa e stanno discutendo su ciò che è appena accaduto, quando sentono bussare violentemente alla porta, poi la voce di Francesco Cianci che li invita ad uscire per avere spiegazioni sull’aggressione a suo fratello Domenico, che gli è accanto. Hanno paura e non aprono.

Tutto questo trambusto fa affacciare una vicina che vede Domenico Cianci e gli dice:

– Dì a tuo fratello di finirla e di non disturbare Emilia… – poi aggiunge – se vi ammazza non vi paga neppure un soldo perché siete andati a disturbare una donna sola e in casa!

A queste parole i fratelli Cianci pensano bene di lasciar perdere e vanno via, giusto qualche minuto prima che a casa di Emilia arrivi la moglie di Cosimo con il figlioletto in braccio, preoccupata dalle voci che stanno girando in paese sulla lite avvenuta in piazza.

– Andiamocene a casa, ormai tutto si è calmato, le strade sono deserte

– No, ho paura, di sicuro quelli sono appostati qui vicino per aggredirmi – le risponde Cosimo, deciso a non lasciare la casa di sua sorella, almeno per la notte. Poi, dopo le insistenze della moglie, acconsente a tornare a casa sua, ma solo a patto che Emilia gli dia la vecchia pistola a due canne che la sorella aveva ereditato dal marito. La carica, se la mette in tasca ed esce con la moglie.

Giunti in un quadrivio prossimo alla loro casa e dal quale devono necessariamente passare, si para davanti ad essi Domenico Cianci il quale, per nulla riguardoso che ci sia una donna, dice a Cosimo Damiano:

Aspetta che ti debbo dire una parola.

Cosimo, che ha ben intuito cosa voglia significare una conversazione a quell’ora e nello stato d’animo in cui si trova Domenico Cianci, gli risponde:

Lasciami stare… sono con mia moglie e debbo ricondurla a casa…

Ma non fa in tempo a finire la frase che Domenico gli è addosso e comincia a tempestarlo di pugni. Addirittura gli morde il mignolo della mano sinistra così violentemente da staccargli di netto la seconda e terza falange. Cosimo lancia un urlo di dolore, poi un altro urlo, di sua moglie questa volta:

Sanfranciscu miu!

Subito dopo due pistolettate. Domenico Cianci barcolla, fa qualche passo, poi cade a terra in un lago di sangue, gravemente ferito alla regione mandibolare sinistra e nella linea ascellare anteriore sinistra.

Cosimo e sua moglie con in braccio il bambino tornano a casa in attesa che arrivino i Carabinieri per spiegare ciò che è successo, mentre quelli che abitano nei pressi del quadrivio si precipitano in strada per soccorrere il ferito e portarlo a casa della nuova fidanzata, dove riceve le prime cure, ma è chiaro che la situazione è grave e Domenico viene subito portato in ospedale a Cosenza, non prima però, di rispondere a fatica alle domande del Pretore, e mente:

Passavo casualmente dal Vico Santa Maria per ritornare in casa della mia fidanzata, dove ero stato fino a pochi minuti prima, quando fui aggredito dai due germani Cosimo ed Emilia Damiano, i quali stavano in agguato. Cosimo, senza profferir parola, mi sparò due colpi

Anche Cosimo risponde alle domande del Magistrato:

– Si, gli ho sparato due colpi per tema che i Cianci, che erano venuti a cercarmi fino in casa di mia sorella, mi aggredissero… ed in effetti… – continua mostrando il dito tranciato – Domenico Cianci mi ha staccato il dito con una coltellata – dimostrando così di non aver nemmeno compreso che il dito gli è stato mozzato con un morso.

– E la pistola?

– Era a casa di mia sorella e me la sono fatta dare per difendermi perché, come ho detto, temevo di essere aggredito…

Intanto le condizioni di Domenico Cianci si aggravano e dopo un mese di agonia in ospedale, muore.

Omicidio e porto abusivo di pistola sono le accuse che vengono mosse a Cosimo; concorso in omicidio, minacce ed omessa denunzia d’armi sono i reati contestati, invece, ad Emilia. Ma il Giudice Istruttore giudica insussistente il reato di concorso in omicidio attribuito ad Emilia e la proscioglie da questa accusa. Davanti alla Corte d’Assise di Cosenza risponderà solo delle due accuse minori.

Il dibattimento si svolge nelle udienze del 23, 25 e 26 ottobre 1939 e la Corte si convince che, invece, si tratta di eccesso colposo di legittima difesa. E spiega: egli, nei pressi di casa sua, donde doveva necessariamente passare e dove non è spiegabile, senza pensare all’agguato, come mai si ci trovasse Domenico Cianci. Al rifiuto di dare immediatamente le spiegazioni richieste, Cosimo Damiano dovette essere violentemente aggredito, come spiegano le multiple lesioni ed ecchimosi patite e sovra tutto il morso più che canino, infertogli fino a mozzargli un dito. È ovvio che egli sparò dopo d’essere stato concio in quel modo perché, essendo state due le pistolettate, immediatamente consecutive l’una e l’altra, e nel tempo istesso mortali, non era possibile che Cianci potesse, dopo ferito, reagire in quel modo, tanto più che avendo avuta fracassata la mandibola, non avrebbe potuto servirsi della bocca.

Per le stesse ragioni è da inferire, con assoluta certezza, che Cosimo Damiano sparò dopo essere stato aggredito onde, sparando il primo colpo agì legittimamente, ma il secondo colpo, che è stato il mortale, non era necessario, tenuto conto che era bastato il primo a rendere inoffensivo Cianci.

Tutto chiaro. La pena che spetta a Cosimo Damiano per il reato di eccesso colposo di legittima difesa è di anni uno e mesi sei di reclusione, più quindici giorni di arresti per il porto abusivo di pistola, oltre ai danni e le spese e con la sospensione condizionale della pena.

Nei confronti di Emilia Damiano, la Corte, ritenendola responsabile dei reati di minacce ed omessa denunzia d’armi, la condanna a mesi uno di reclusione, con la sospensione condizionale della pena.

È il 26 aprile 1939.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.