ANGELO DELLA CASA DI DIO

È il primo pomeriggio del 5 ottobre 1896 quando i carri del Circo Equestre Solinas ed altre due carovane di giostrai e ambulanti vari arrivano nell’ampio spazio di fronte alla sede della Cooperativa di Consumo fra Lavoratori di Cadelbosco di Sotto a pochi chilometri da Reggio Emilia. Bambini e curiosi corrono a vedere una moltitudine di persone che si affretta a scaricare dai carri tutta l’attrezzatura del circo e poi a piantare i pali ed il tendone. Verso le 19,30 tutti gli artisti ed il resto del personale vanno a mangiare qualcosa in un’osteria vicina e poi a continuare a darsi da fare per montare le tende e finalmente mettersi a dormire.

Anche il ginnastico milanese Eugenio Pozzi, il Pannino, ed il suo collega Alberto Cacciani, il Moro, hanno montato la loro tenda e si mettono a dormire. Sono circa le 22,00. Dopo circa un’ora, uno stalliere, il Romano, evidentemente ubriaco, entra nella tenda e li sveglia

– Tu come artista  non dovresti dormire qui – dice a Pannino, parlando ad alta voce – dammi un tendone perché mi voglio coricare!

Il Moro, allora, per evitare discussioni gli porge un tendone e il Romano se ne va, coricandosi sotto un carro ad una quindicina di metri da loro. I due ginnasti si rimettono a dormire, ma non passa nemmeno un’ora che vengono svegliati dalle grida allarmate di una donna. Il Moro, bestemmiando, si alza e va a vedere cosa sta succedendo e torna subito dopo

PanninoPannino, hanno dato una coltellata al Negret!

Il Negret, Angelo Della Casa Di Dio, trentatreenne suonatore ambulante di fisarmonica, è ferito gravemente, boccheggia. Un rantolo, poi più niente, solo le urla di disperazione di una donna.

Il Brigadiere a cavallo Egidio Pierantoni arriva sul posto con i suoi uomini prima che faccia giorno e trova il cadavere coperto da una tela incerata. Lo scopre e annota: salma umana senza cappello, il capo supino sopra poca paglia, capelli neri, fronte regolare, ciglia e sopraciglia nere, occhi semichiusi di color castano, naso grosso, baffi neri, mento largo, bocca semichiusa con le arcate dentarie unite, labbra pallide, colore del viso pallidissimo, indossa camicia di percalle a righe bianche e bleu, un gilet di stoffa nera, calzoni di cachemir uso inglese, scarpe di cuoio nero allacciate. Su di esso si trova una giacca di stoffa pressoché uguale a quella dei calzoni. Offre un’altezza di metri 1,55 e presenta gli indumenti che lo coprono dal petto alla vita tutti intrisi di sangue. Ha le braccia distese lungo il corpo, le gambe pure stese, meno la sinistra che è flessa sul ginocchio ad angolo ottuso. Inoltre si osserva che ha il petto scoperto lordo tutto di sangue. Ma c’è un particolare che salta agli occhi e che potrebbe sconvolgere la tempistica e la dinamica dei fatti: la ferita da taglio alla regione succlavia sinistra, che ha interessato il fascio vascolo-nervoso e l’apice del polmone, è stata suturata a soprasotto con un filo di canapa dal flebotomo Virginio Gorini e pare che ciò sia avvenuto pochi istanti prima della morte, tanto è vero che ad una estremità del filo c’è ancora attaccato un comune ago da cuoio che si usa presso le donne di casa. Quindi sicuramente il Negret non è stato accoltellato nel punto dove è morto. Infatti, seguendo alcune tracce di sangue, a circa sei metri dal corpo queste si interrompono ed è lì che tutto dovrebbe essere accaduto.

Ma chi e perché ha ucciso il suonatore ambulante? Il Brigadiere Pierantoni brancola nel buio: la causa dell’omicidio sembra essere per quistioni e per ora ignorasi l’autore del delitto.

In proposito dell’omicidio del povero Angelo, mio convivente come marito – racconta Giulia Riva –, posso dire che venerdì giunsi qui a Cadelbosco circa alle ore nove di sera, unitamente alla carovana costituita da mia madre Luigia Del Bard e da suo marito Caledante Argentini, conduttore di giostra per cavalli giranti. Con me c’era Angelo… lui suonava la fisarmonica ed io facevo la ginnastica. Vendevo anche canzonette e pianeti per guadagnare qualche cosa. Essendo stanchi abbiamo mangiato in carovana e poscia ci siamo coricati nei carri, meno io che andai in una casa di contadini dove, sotto il porticato, mi adagiai alla meglio su della paglia per dormire ed il mio uomo si recò in Villa per passare qualche po’ di tempo. A notte molto inoltrata fui svegliata da una donne che mi disse che il mio uomo era rimasto ferito gravemente. Corsi e lo trovai che era morente su poca paglia nel cortile della Cooperativa… pochi istanti dopo morì

– Vi ha detto qualcosa?

Egli nulla mi disse perché si vedeva che aveva perduto i sensi e che nulla conosceva

– Sapete quale potrebbe essere stata la causa dell’omicidio? Avete sospetti su qualcuno?

Io non so come possa essere avvenuta la causa del suo ferimento. Angelo era un uomo che ci piaceva il vino, ma non era così facile ubbriacarsi… però credo che fosse piuttosto alterato dal vino perché so che durante il giorno ne aveva bevuto

Poi arriva la soffiata giusta, forse: tale Giuseppe Bianchi, suonatore di trombone e ginnasta ambulante, sarebbe l’assassino ed il Romano potrebbe averlo aiutato.

Bianchi è sparito dalla circolazione e Romano Barcaro, 34 anni, di Villagadoni di Vicenza, domestico addetto al servizio dei cavalli della compagnia equestre Sabinos, diverse volte condannato per furto, arrestato si difende

Io protesto di essere innocente! Appena giunta la compagnia io accudii i cavalli e a preparare con altri il circolo equestre. Terminato ciò, il mio padrone mi condusse a mangiare nell’osteria che si trova di fronte alla Cooperativa. Dentro c’era anche Giuseppe Bianchi che avevo conosciuto in una fiera. Terminato di mangiare, mentre stavo andando ad accudire i cavalli, Bianchi mi chiamò e mi invitò a pagare una mezza bottiglia da bere assieme. Ci portammo quindi alla Cooperativa e comandai la mezza bottiglia. Mentre stavamo per berla, capitò il mio padrone per avvertirmi di andare a prendere una cavalla che era al pascolo e portarla in stalla. Lasciai il Bianchi e mi allontanai. Tornato alla Cooperativa, trovai il Bianchi con un altro che non conoscevo e che teneva una fisarmonica. Bianchi, tosto che mi vide, mi disse che la mezza bottiglia era stata bevuta da lui e dall’altro. Io gli soggiunsi che non importava e ne ordinai una intiera da bere noi tre. Il compagno del Bianchi osservò che il bere senza mangiare non andava bene ed allora ordinai pane e salame. Mentre si mangiava entrarono due donne, una giovane e l’altra vecchia, che sembravano della famiglia del compagno del Bianchi e cercavano di persuaderlo di andare a dormire. Finimmo ed uscimmo tutti e tre portandoci dal postaro o tabaccaio ove prendemmo uno zigaro ed un bicchierino. Non so se Bianchi o l’altro voleva che si bevesse mezzo litro di grappa… non ricordo se ciò effettivamente successe perché io ero alquanto ubbriaco. Fatto sta che uscimmo e ci portammo di nuovo alla Cooperativa ove bevemmo un bicchiere in piedi. Usciti dietro invito dell’oste, il Bianchi o l’altro disse che era ora che andassimo a dormire ed io senz’altro salutai portandomi alla carovana dove mi sono fatto dare da coprirmi da due ginnastici. Appena coricatomi mi addormentai senza accorgermi di alcunché di straordinario

– Ma questo Bianchi Giuseppe era nella vostra carovana?

– So che era col padre, la madre ed un fratello piccolo e tengono un bersaglio

Poi si presenta il dottor Virginio Govini, colui il quale ha cercato di tamponare in qualche modo la ferita del Negret e pare che abbia delle cose molto importanti da dire

– Ero affacciato ad una finestra di casa mia, tra le 22 e le 23, e osservai che sulla strada che attraversa la Villa di Cadelbosco di Sotto, ad una ventina di metri da me, vi erano cinque persone forestiere che sembrava avessero da dire fra loro e che si trovavano alquanto alticci. Ricordo che uno o due di essi disse agli altri di terminare ogni contesa e di andare a letto e difatti quasi subito dopo tre si allontanarono dalla strada e si portarono nel prato ove avevano le loro baracche di ambulanti. Gli altri due rimasero sulla strada e sentii uno dire all’altro più volte: “Cosa ci hai?”, ma non intesi che costui rispondesse. Poco dopo sentii un rumore come  che uno avesse dato ad altro un forte pugno e vidi uno dei due fuggire verso la Cooperativa e l’altro scomparire nell’oscurità della notte. Udii poscia che quello che era fuggito verso la Cooperativa  gridava aiuto e accorsero donne ed altri e poi grida come che fosse accaduto qualcosa di grave

Pare che il racconto del medico e quello dell’indiziato, a parte la discordanza sul numero delle persone, tutto sommato coincidano sia sul fatto dell’invito ad andare a dormire e sia sull’allontanamento, probabilmente proprio del Romano.

Ma c’è un altro testimone, il fabbro Carlo Bonini, che dalla sua finestra ha visto la scena e smentisce il dottor Govini

Sulla strada osservai tre individui che erano di quelli che si erano portati in Cadelbosco per fare la sagra il giorno 7 ottobre. Fra detti individui ravvisai, conoscendolo in precedenza, Angelo Della Casa Di Dio. Non mi accorsi che nella strada questionassero e vidi che continuarono detta strada fin nelle vicinanze dell’osteria di Melloni Ortillo. Quivi sentii un calpestio, come di persone che si azzuffassero fra di loro, ed effettivamente potei appena discernere che le persone si agitavano in un sol gruppo. Poco dopo sentii un lamento ed osservai che uno di essi corse verso la Cooperativa, dove poco lungi cadde e morì… gli altri due li perdetti di vista e non so che direzione prendessero. Sentii gridare delle donne, mi portai colà e trovai il Negret gravemente ferito

– Siete in grado di riconoscerli o almeno di descriverli?

Uno era piuttosto snello, indossava calzoni chiari e portava in testa un berretto

La descrizione precisa del Romano. E c’è un altro testimone che potrebbe aggravare la sua posizione. Si tratta del carrettiere Ottavio Boiardi

I tre individui maneggiavano un’asse che, credo, fosse quella che serviva di passaggio dalla strada al prato. Vidi che la gettavano nel cortile della Cooperativa e poscia osservai che ripresero l’asse e la ricollocarono dove si trovava prima. Parlavano in modo concitato e capii solo: “Molalo, molalo!”. Sentii uno di essi tre che invitava gli altri ad andare a letto e lo stesso si portò sul prato ove erano le carovane. I due rimasti parlavano tra loro piuttosto concitati e uno di essi diede un colpo all’altro che credetti un pugno e indi fuggì dove era la baracca di quelli che tengono il bersaglio. Osservai che l’altro diede due o tre passi e, facendo un grido di dolore, si diresse verso il cortile della Cooperativa. Debbo però avvertire che prima che accadesse detto fatto, quello che era andato nel prato delle baracche era ritornato sul ciglio della strada ed era poco lontano agli altri due allorché l’uno diede il pugno all’altro. Quello che ricevette il pugno andò a cadere nel cortile della Cooperativa e l’uomo che era ritornato si portò vicino a quello caduto e gli disse: “Hai visto che avresti fatto meglio ad andare a letto?”

Ovviamente il terzo uomo non può che essere il Romano. E ovviamente lui nega di essere ritornato indietro e di avere detto quelle parole al Negret.

Udii le grida di dolore di una donna che era nel piazzale della Cooperativa e compresi che era quella che teneva col proprio marito la giostra, che ho saputo chiamarsi Del Bard Luisa, e capii che diceva: “Vigliacco, assassino, onor da tigre… Arciao, arciao vigliacco!”. Poi udii uno di quelli che tengono il bersaglio, mentre l’altro stava per morire, dire alla De Bard: “Cosa dis ti che mi ho litigà… io non ho litigato!” – un altro tassello aggiunto da Giuseppina Gorini.

Intanto siamo al 25 novembre e di Giuseppe Bianchi non ci sono tracce e con lui non ci sono notizie né dei suoi familiari e né di altri girovaghi presenti la notte del delitto a Cadelbosco di Sotto, compresi Luigia Del Bard e suo marito Caledante Argentini, madre e patrigno della compagna della vittima. Molto, molto strano.

E non ci sono notizie nemmeno il 17 marzo 1907, giorno in cui la Sezione d’Accusa rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Reggio Emilia, Giuseppe Bianchi, latitante, con l’accusa di omicidio volontario e Romano Barcaro per complicità in omicidio volontario.[1]

Poi del processo si perdono le tracce…

 

[1] ASRE, Processi Penali, Corte d’Assise di Reggio Emilia.