Eugenio Dionisalvi, trentacinquenne falegname originario di Bisignano, sposato con figli, da qualche anno ha aperto una bottega a Cosenza che gli consente di vivere dignitosamente. Contemporaneamente, però, ha iniziato una tresca con Giuseppina Lato, promettendo di mantenerla ma in realtà, anche per gli scarsi mezzi di cui dispone, facendole mancare il necessario. Da ciò il bisogno di Giuseppina di coltivare altri amorazzi e la gelosia di Eugenio che si esplica in scenate, minacce e persecuzioni, al punto che, per sfuggirgli, la ragazza se ne torna al paese natio, San Sisto dei Valdesi. Sono i primi giorni del 1933.
Eugenio smania e manda a San Sisto una donna, Francesca Carbone, presso la quale Giuseppina aveva alloggiato, per farla tornare a Cosenza. Sulle prime la ragazza, anche per l’opposizione di suo padre, si rifiuta, ma dopo qualche giorno, raccattate le sue cose, torna e i due riprendono l’antica relazione.
Ben presto la gelosia del falegname si concentra sull’ufficiale postale Giuseppe Guglielmino, che ha conosciuto Giuseppina frequentando la casa della Carbone che gli lavava e stirava la biancheria ed apprendendo le vessazioni che subisce, ne diventa il protettore.
Accade che, durante una delle solite scenate di gelosia, nel mese di febbraio 1933, Eugenio, più furioso del solito, colpisca alle spalle con uno scalpello molto affilato Giuseppina e poi anche Francesca Carbone che si è intromessa per evitare guai peggiori.
– Perlamadonna non parlate con nessuno se no vi scanno! – è la terribile minaccia che fa alle due sventurate.
– Ma… dobbiamo farci medicare all’ospedale, guarda quanto sangue…
– Medicatevi da sole se no lo viene a sapere la Questura – impone alle due mentre sbatte la porta e se ne va.
Ovviamente le due donne, terrorizzate, si medicano alla meglio e non fanno parola con nessuno dell’accaduto. Ma le cose cominciano ad andare di male in peggio e allora Giuseppina è costretta ad andare due o tre volte in Questura per far diffidare Eugenio. I risultati sono scadenti e così Giuseppe Guglielmino, l’angelo custode della ragazza, la indirizza ad un Commissario suo amico, donde Dionisalvi viene chiamato in Questura e diffidato a troncare quella tresca e lasciare in pace Giuseppina. Per completare l’operazione salvezza, Guglielmino fa andare via la sua protetta dalla casa di Francesca Carbone e le fa prendere alloggio nell’albergo Napoli. Ma la città è piccola e tutti sanno tutto di tutti , così Eugenio non ci mette molto a scoprire dove abita Giuseppina e si mette a controllarla giorno e notte.
Sono le 7,00 di mattina del 5 maggio 1933. Eugenio è nelle vicinanze dell’Albergo Napoli e vede Guglielmino che entra, poi aspetta un paio di minuti e lo segue.
– Buongiorno – dice alla donna che è all’ingresso dell’albergo – devo vedere le persone che sono nella stanza della signorina Lato…
– Salite le scale, terza porta sulla destra… – gli risponde distrattamente.
I colpi alla porta sono violenti, come le parole:
– Apri puttana!
Giuseppina e l’ufficiale postale sobbalzano, sanno che Eugenio può fare molto male e sentono di non avere via di scampo. Poi l’uomo capisce che se vuole salvarsi deve affrontare lo scandalo e così esce sul balconcino chiedendo aiuto ai passanti. Sua moglie verrà a sapere tutto, ma almeno la vita sarà salva!
– Aiuto! Aiuto! Chiamate la forza pubblica, mi vuole ammazzare!
I colpi alla porta cessano come d’incanto e Guglielmino si tranquillizza. Sicuramente se ne è andato e quindi è meglio approfittarne per sparire ed evitare guai. Esce dalla stanza sul pianerottolo, non vede nessuno e si dirige verso le scale. Quando vede Eugenio Dionisalvi che gli si para davanti, a momenti ci resta secco, ma l’atteggiamento del falegname non gli sembra più molto aggressivo e quindi si rincuora.
– Stai corteggiando la donna che, come amante, mi appartiene! – gli dice Eugenio.
– Ti sbagli, non è come pensi… tu la stai perseguitando e io la proteggo…
– Io la perseguito? Guarda, leggi le lettere che mi ha scritto e ti convincerai che è lei che mi vuole, non sto andando contro la sua volontà!
Giuseppe Guglielmino, perplesso, prende le lettere e comincia a leggere, distogliendo gli occhi da Eugenio il quale sfila dalla manica della giacca un rasoio e apre in due la faccia dell’ufficiale postale dallo zigomo sinistro fino al labbro. Poi, incurante delle urla di dolore e del sangue che schizza dappertutto, si allontana.
A rintracciarlo ed arrestarlo non ci vuole molto e adesso deve difendersi non solo per le lesioni che ha inferto a Guglielmino, ma anche dei colpi di scalpello dati a Giuseppina e Francesca Carbone che intanto hanno cantato tutto.
– Non è vero! Io a quelle due non ho fatto mai niente! – giura.
– No? E le cicatrici che hanno chi gliele ha fatte?
– E che ne so io? Io non avrei avuto il motivo…
– Il motivo era che ti aveva lasciato e tu l’hai costretta a mantenere la relazione illecita.
– Ma quando mai! Lei è tornata spontaneamente perché mi amava e non poteva stare senza di me!
– Va bene, va bene… però siamo d’accordo che all’ufficiale postale la faccia gliel’hai aperta tu con un rasoio…
– Si, ma con un piccolo coltello e non con un rasoio… l’ho fatto soltanto per gelosia, per quella donna che è stata la rovina della mia famiglia e perché Guglielmino, quando l’ho invitato a troncare le illecite relazioni allacciate con Giuseppina, che mi appartiene come amante, ha offeso mia moglie dicendomi: “Le corna di tua moglie non ti fanno impressione e quelle dell’amante si?”
Guglielmino nega di aver pronunciato la frase, Giuseppina nega di averla sentita e non l’hanno sentita nemmeno gli ospiti dell’albergo. Potrebbe essere un guaio per Eugenio.
Il 31 dicembre del 1933 Il Giudice Istruttore, come augurio di buon anno, emette la sentenza di rinvio a giudizio per lo sfregio al viso di Giuseppe Guglielmino e per le lesioni inferte alle due donne. Il 13 marzo 1934 si tiene il dibattimento davanti alla Corte d’Assise di Cosenza e la difesa chiede subito che sia concessa l’attenuante d’avere agito nello stato d’ira per il fatto ingiusto del Guglielmino per l’offesa rivolta alla moglie di Eugenio Dionisalvi.
La Corte esclude che l’offesa ci sia stata in base alle testimonianze raccolte, ma osserva che l’agire del Guglielmino nei rapporti di Dionisalvi e di Giuseppina Lato eccedette quei limiti nei quali si sarebbe dovuta mantenere una persona che, avendo preso a cuore le sorti di una sventurata, la voglia proteggere da uno che la molesti e la sfrutti o la faccia vittima delle sue soperchierie. Infatti non si è il Guglielmini limitato a procurare alla Lato la protezione dell’autorità, a sovvenirle di consigli ed aiutarla economicamente e nelle ricerche dell’impiego e simili, ma mantenne con lei una frequenza presso la casa della Carbone che non è scusata dai rapporti che egli dice della lavatura e stiratura della biancheria da parte della Carbone, della quale, essendo Guglielmini ammogliato, si occupava di certo sua moglie e non lui. La ricoverò nell’albergo Napoli dove andava ogni mattina a trovarla ed ebbe con lei lunghi e ripetuti convegni, tanto da essere informato di tutti i dettagli della tresca con Dionisalvi. Egli fu preso dai lacci della Lato al punto da credere di essere lei quella vittima di tutti i soprusi e le violenze del Dionisalvi che a lui riferì e con tutte le sue esagerazioni, che, d’altra parte, sono smentite dal ritorno volontario di lei da San Sisto per ritrovare l’amante Dionisalvi. Da tutto il contegno del Guglielmini chiaro apparisce che egli, irretito da quella donna, agiva per soppiantare il Dionisalvi nei rapporti che egli con lei aveva e che fino all’intervento del Guglielmini erano stati da Giuseppina Lato voluti.
È vero che si tratta di rapporti illeciti adulterini, ma la Corte non deve giudicare dalla moralità o no di esse, ma apprezzare se l’agire dell’altro possa ritenersi ingiusto e se esso abbia determinato nell’imputato quello stato d’ira che la legge richiede per concedergli la diminuzione della pena. Non si può disconoscere che l’intervento di Giuseppe Guglielmini per togliere l’amante a Dionisalvi debba ritenersi ingiusto e che perciò il delitto commesso da costui nello stato d’ira determinato da questo fatto ingiusto, merita la diminuente pel delitto da lui commesso.
La Corte ritiene opportuno essere indulgente e decide di applicare una pena mite per tutti e tre i delitti e precisamente: per le lesioni in persona della Lato e della Carbone partire da mesi tre di reclusione ed aumentarle per l’arma di giorni dieci; per le lesioni in offesa del Guglielmini partire da anni sei ed aumentarli per l’arma di mesi sei e ridurli, per la provocazione, di un terzo. La pena complessiva è così fissata in anni 4, mesi 10 e giorni 20 di reclusione, oltre al risarcimento dei danni verso le parti civili.[1]
La donna, insomma, appartiene all’uomo, marito o amante che sia, e guai a chi gliela tocca!
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.
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