MORTE DI UN LADRO DI GALLINE

I Carabinieri Francesco Rotella e Bruno Palaia della stazione di Mendicino sono avvolti nei loro mantelli e portano in spalla i loro moschetti quando escono di pattuglia, poco prima della mezzanotte del 17 marzo 1948. La strada dal paese fino al quadrivio di Tivolille è rischiarata da una bella luna, ma la temperatura è ancora lontana dai tepori primaverili.

Il quadrivio di Tivolille è un punto strategico perché qui confluiscono le strade che da Mendicino, Cerisano e la zona di Marano portano direttamente nella città di Cosenza. I due militari devono, come ormai accade da qualche giorno, controllare lo snodo per cercare di acciuffare gli ignoti ladri che da quasi un mese stanno colpendo praticamente ogni notte in quei paraggi. Rotella e Palaia arrivano sul posto intorno a mezzanotte e dovranno restarci fino alle 4,00 ma sono un po’ scoraggiati dagli insuccessi delle notti precedenti. Pensano che ormai i ladri siano a conoscenza della loro presenza e seguano viottoli di campagna per allontanarsi, piuttosto che arrischiarsi sulla Provinciale, ma il dovere è dovere e non si discute. Si sistemano sotto la casa di Luigi Miceli, essendo quello il posto più riparato e meno controllabile da chi dovesse arrivare al quadrivio da qualsiasi direzione.

Un’ora è passata e in giro non si è visto nemmeno un cane. I due Carabinieri vanno su e giù lungo il perimetro dell’abitazione per cercare di riscaldare un po’ i piedi che stanno per gelare. Stando attenti ad ogni minimo rumore accendono anche un sigaro e il fumo caldo delle due o tre boccate è davvero un ristoro. Poi lo devono spegnere in fretta, è contro il regolamento.

Sono le 2,00. Sembra che un rumore di passi felpati provenga dalla via che scende da Mendicino. Rotella e Pelaia mettono mano ai moschetti, pronti a dare l’alt a chi sta arrivando, se davvero quelli che stanno sentendo sono dei passi umani.

Dopo una trentina di secondi appare alla loro vista, fiocamente illuminata dalla luna ormai prossima al tramonto, una figura maschile che sembra avere un pacco in una mano e uno zaino in spalla.

L’uomo sta camminando lungo il lato opposto a quello dove si trovano i due Carabinieri, che aspettano il momento opportuno per intimargli l’alt. Infatti, quando l’uomo arriva alla loro altezza, Rotella balza sulla strada e urla

Siamo Carabinieri, fermatevi!

L’uomo, per tutta risposta, con una mossa fulminea tira fuori una pistola e spara un colpo in direzione del Carabiniere il quale, a sua volta, spara un colpo di moschetto e vede lo sconosciuto cadere senza un lamento nella scarpata sottostante.

Luigi Miceli è sveglio quando sente una detonazione di arma corta da fuoco seguita, qualche istante dopo, da un’altra detonazione più forte, forse di fucile. È sveglio perché è preoccupato per i furti e teme che i ladri possano andare a fare una visitina anche nei suoi magazzini, perciò non appena sente i colpi di arma da fuoco scatta in piedi, prende il fucile e apre la finestra per vedere cosa sta accadendo.

Siamo i Carabinieri, venite giù!

Rinfrancato, esce di casa. Poi, tutti e tre vanno a svegliare Tommaso Greco che abita la casa accanto alla scarpata dove è caduto lo sconosciuto. Dice di non avere sentito niente perché, stanchissimo, dormiva profondamente nella sua camera da letto che è dalla parte opposta della strada.

– Andiamo a vedere – ordina a tutti i presenti Rotella, accendendo una lampadina tascabile. Il tenue fascio di luce illumina il corpo dell’uomo esanime. Ha un foro in mezzo alla fronte dal quale insieme al sangue sgorga materia cerebrale. Istintivamente tutti e quattro hanno conati di vomito che devono reprimere a forza per continuare l’ispezione. Il cadavere giace nella scarpata sul fianco destro, a circa tre metri dal ciglio della strada; ha l’apparente età di quaranta anni statura piuttosto alta, corporatura leggermente robusta, capelli neri lunghi, baffi lunghi ma sottili, pizzo lungo circa cm quattro. Calza scarpe di cuoio naturale gommate e indossa pantaloni di stoffa americana color kaki, giacca di pelle nera vecchia, foderata di stoffa color grigio scuro, maglia di cotone rigata rosso bleu. Accanto alla testa c’è un cappello nero che presenta un foro sulla parte anteriore. A brevissima distanza dal cadavere c’è una pistola automatica Beretta calibro nove prolungato – N° 1784 – anno di fabbricazione 1915, il cui caricatore contiene sei cartucce mentre un’altra si trova nella camera di scoppio. La relativa fondina, sbottonata, contenente un caricatore di riserva con altre tre cartucce, è attaccata alla cinghia di cuoio che gli regge i pantaloni e precisamente al fianco sinistro. Poco più in là c’è un paniere quasi pieno di uova di gallina, alcune delle quali per terra rotte, nonché un sacco aggiustato a bisaccia, nel quale ci sono circa otto chili di fichi secchi, un paniere contenente circa sei chili di carne suina salata, una bottiglia piena di miele di fichi ed un’altra vuota, due tappi di cristallo per bottiglia, due bicchierini per liquore e due paia di calze da uomo usate e cioè: uno di lana color grigio e l’altro di cotone con righe di colore bianco-rosso. Addosso al cadavere ci sono un orologio d’argento tascabile marca “Cylindre” con dieci rubis, doppia cassa, bordi dorati, catena d’argento a tre fili con due fermagli e un ciondolo; tre grimaldelli e una chiave; un tagliavetri; una lampadina tascabile completa di pila efficiente; un coltello a serramanico con tre lame di cui due piccole e una con punta acuminata lunga cm. otto. Nel manico, lungo cm. dieci, esistono inoltre un punteruolo, un cavatappi, un apriscatole, un congegno per estrarre le cartucce da fucile da caccia cal. 12 e 16 – Io resto qui con i due civili a piantonare il cadavere, tu vai ad avvisare il signor Maresciallo – ordina Rotella al collega.

Il Maresciallo Maggiore Giuseppe Cosco arriva con tre Carabinieri dopo poco più di mezz’ora e tutti cominciano a scrutare il terreno alla luce delle lampadine tascabili: sulla strada, precisamente al punto dal quale lo sconosciuto aveva sparato, trovano un bossolo dello stesso calibro della pistola rinvenuta accanto al cadavere. Non ci sono dubbi che si tratti del ladro, forse uno dei ladri, che sta terrorizzando quel territorio. Il problema è che addosso non ha documenti di identità e nessuno lo conosce. Interpellato il Procuratore della Repubblica, viene stabilito che il cadavere sia esposto per tre giorni nella camera mortuaria del cimitero di Mendicino e che siano fatte della foto da mostrare in giro.

La voce di quanto è accaduto nella notte si diffonde immediatamente e una folla di curiosi si raduna nel cimitero per osservare il morto e la refurtiva, così si scopre che, tranne le due paia di calze, tutto il resto è stato rubato in un magazzino di proprietà di Raffaele Aquino in contrada Cozzo, usando chiavi false. Le calze invece sono del diciottenne calzolaio Michele Greco che le aveva stese per farle asciugare dopo averle lavate.

Le foto, anche se poco chiare, forse portano ad un risultato: a qualcuno sembra di riconoscere le fattezze del trentanovenne pericoloso pregiudicato Francesco Sganga di Lago, residente a Cosenza in contrada Muoio Piccolo N° 44, già ricercato da diversi mesi perché colpito da mandato di cattura per furto aggravato, emesso dal Procuratore della Repubblica di Rossano e  per minaccia con armi in danno dei Carabinieri di Spezzano della Sila, porto abusivo di pistola e di fucile e relative munizioni. Sganga risulta coniugato, ma da circa tre anni ha lasciato la moglie, che abita a Lago, per andare a convivere con Maria Fata. È il caso di andarle a prendere e far vedere loro il cadavere.

– Si, è lui – conferma Maria Fata.

Lo riconosce anche sua moglie e adesso non ci sono più dubbi, come non ci sono dubbi che a commettere sia i furti nella notte tra il 17 e il 18 marzo 1948, che quelli commessi nei giorni precedenti sia stato Francesco Sganga perché i tre grimaldelli che gli sono stati trovati addosso aprono con molta facilità le porte dei locali visitati.

– Sono la moglie legittima di Francesco Sganga e l’ho sposato oltre quindici anni addietro… faceva il contadino ma poi cinque anni fa si dedicò al mercato nero e quindi si assentava spesso da casa, ove tornava di solito una volta al mese portando un po’ di denarol’ho visto per l’ultima volta nell’ottobre del 1947, epoca in cui regalò mille lire ed una veste alle bambinevenerdì 19 marzo, essendo venuta a Cosenza per assistere alla fiera di San Giuseppe, seppi che un uomo sconosciuto era stato ucciso dai Carabinieri a Mendicino. Poiché mancava da casa da quasi sei mesi e sapendo che era ricercato dalla Polizia per un furto, sospettai che l’ucciso potesse essere lui e per avere informazioni andai a domandare da una mia conoscente, Maria Fata, che era amica di mio marito. Maria mi disse che conosceva mio marito e che, anzi, era in relazioni intime con lui, soggiungendo, però, che non lo vedeva da più tempo

– Sono Maria Fata, ho 31 anni ed ero l’amante di Francesco Sganga da circa tre anni. Egli stava per lunghi periodi fuori casa dicendo che si dedicava al mercato nero e che viaggiava per varie città. L’ultima volta è venuto da me nel settembre 1947, epoca in cui vennero a ricercarlo i Carabinieri di Spezzano della Sila per furto ed altro. Io gli riferii ciò e da allora egli non venne più a casa mia e non so ove sia andato.

– Sapete se aveva armi?

Andava sempre armato di pistola… – poi mette le mani nella borsetta e tira fuori un foglio di carta ripiegato. Lo apre e lo porge al Magistrato che la interroga – questo è il suo foglio di riconoscimento che aveva lasciato a casa mia…

Le cose sono abbastanza chiare: Francesco Sganga, latitante, ruba e rivende la merce al mercato nero. La notte tra il 17 e il 18 marzo 1948 viene sorpreso dai Carabinieri e per scappare spara un colpo contro i militari che rispondono al fuoco e l’ammazzano: legittima difesa. Ma la procedura per arrivare a una sentenza, anche di proscioglimento in fase istruttoria, vuole che sia richiesta – e ottenuta – l’autorizzazione del Ministro della Giustizia, così il 27 marzo 1948 parte la richiesta, inoltrata per via gerarchica al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, a firma del Procuratore della Repubblica  di Cosenza, che specifica: questa Procura, per come risulta dalla alligata richiesta di autorizzazione a procedere, ritiene sussistente in favore del Carabiniere Rotella Francesco la discriminante della difesa legittima che, stante il titolo del reato deve essergli riconosciuta dalla competente Sezione Istruttoria.

Il 17 luglio successivo, la competente Sezione Istruttoria, si esprime sulla richiesta:

Durante gli atti istruttori fu sentito il Rotella Francesco che rese dichiarazione al Procuratore Generale. Ritenuto che dagli esami degli atti rilevasi che non è stata richiesta l’autorizzazione a procedere contro il Rotella Francesco e perciò l’azione penale non si poteva neppur promuovere. Che devesi ordinare la restituzione ai legittimi eredi di Sganga Francesco dell’orologio, della cinghia repertati e la confisca degli altri oggetti in sequestro

Dichiara non doversi procedere contro Rotella Francesco perché l’azione penale non si poteva promuovere mancando la richiesta di autorizzazione.[1]

Cioè l’autorizzazione doveva essere chiesta (e ottenuta) prima di iniziare l’istruttoria e non alla fine. Una figuraccia per la Procura, ma poco importa ai fini pratici perché il risultato finale è lo stesso di quello richiesto.


[1] ASCS, Processi definiti in istruttoria.

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