IL FRUTTO ILLECITO

Nel 1931 Franceschina Paura ha 36 anni, è regolarmente sposata ma da circa nove anni vive separata dal marito nella sua casa di Fuscaldo. No, non si separarono perché non andavano d’accordo, si trattò di una separazione dettata dalle condizioni mentali del marito, ricoverato nel manicomio di Nocera Inferiore e con scarsissime possibilità di essere dimesso. Una tragedia, una delle tante.

La mattina del 18 marzo 1931 il Maresciallo Francesco Garofalo bussa alla porta di Franceschina, che lo fa accomodare.

– Signora… mi è giunta all’orecchio una voce… – il tono del Maresciallo è prudentemente allusivo – cercate di capirmi… i frutti si portano a maturazione…

– Marescià… non capisco… – dice la donna abbassando lo sguardo.

– Signora, io credo che abbiate capito benissimo… – insiste indicando il ventre abbastanza ingrossato della donna – ve lo sto dicendo a scanzo di maggiori responsabilità

– State tranquillo, porterò a maturazione il frutto… – ha capito e lo rassicura, sempre tenendo basso lo sguardo.

Passano una ventina di giorni e la stessa vocina che aveva informato il Maresciallo della gravidanza illecita di Franceschina, lo informa che la donna si è abbortita mediante la praticazione di mezzi illeciti. Garofalo va su tutte le furie, si sente preso in giro dala donna e, accompagnato da due sottoposti, corre a casa della donna senza fare pubblicità.

Franceschina è a letto.

– Brava! E così avete abortito! – tuona.

– Marescià, ma che dite? Non si è trattato di aborto, ma bensì di parto regolare avvenuto la sera del 4 corrente

– Chi vi ha aiutato a partorire?

– Nessuno… ero da sola… ho partorito una bambina, una bella bambina che poco dopo è morta… – racconta con gli occhi lucidi.

– Perché non avete chiamato la levatrice?

– Ma… non lo so… ero da sola… confusa… con i dolori…

– Dov’è il cadaverino?

– Marescià… oggi ne abbiamo 8, non lo potevo tenere quattro giorni in casa. Avantieri l’ho mandata al cimitero

– Per mezzo di chi?

– Non mi ricordo…

– Franceschì, non finisce qui – le promette il Maresciallo, affatto convinto del racconto della donna.

Garofalo comincia subito a indagare e scopre che non è vero che il corpicino fu seppellito il 6 aprile, ma alle ore 14,30 del giorno 8, poco prima che lui andasse a casa della donna per chiederle spiegazioni. Perché tutto questo tempo per seppellirla? Perché il medico condotto, dottor Carmelo Sansone, non aveva rilasciato il certificato di morte necessario per ottenere il permesso di seppellimento?

– Mi mandò a chiamare la sera del 5, domenica, e mi disse di avere partorito il giorno prima e che le era rimasta addosso la placenta. Le consigliai di chiamare subito la levatrice. Della bambina nata morta o morta dopo poco il parto, non me ne fece alcun cenno. Martedì mattina venne in casa mia la madre della Paura richiedendomi il rilascio del certificato di morte della bambina. Le risposi che non potevo ciò fare senza visitare prima la neonata. Fui chiamato di nuovo in casa della Paura la sera di martedì. Visitai la neonata già morta, fermando la mia attenzione solamente al collo ed alla faccia, che non presentavano nessuna traccia da far supporre a qualche tentato infanticidio. La morticina era avvolta in una tela bianca e, non nutrendo affatto alcun sospetto sulla di lei soppressione, non pensai a visitare il cordone ombelicale. Interrogata la madre pria di accingermi a rilasciare il certificato di morte se la figliuola fosse nata viva o morta, costei recisamente mi affermò che era nata morta.

Dopo questa dichiarazione, i sospetti che Franceschina abbia soppresso la bambina aumentano e il Maresciallo ipotizza che la donna evitò di essere assistita durante il parto per poter agire indisturbata. Informato della cosa il Pretore di Paola, si procede immediatamente alla riesumazione del cadaverino per farlo osservare a due periti i quali non hanno molta difficoltà a stabilire che la bambina, nata viva e vitale, è morta dissanguata per il mancato annodamento del cordone ombelicale. Ciò convince gli inquirenti che Franceschina ha cercato di disfarsi della bambina e non può indurre altre giustificazioni nei suoi riguardi perché è madre di parecchi figli. Le indagini continuano per accertare se ci siano state delle complicità nel reato.

– Il 6 aprile venni chiamata da mia nipote Concettina che mi invitò ad andare a casa perché la madre aveva l’influenza – racconta la madre di Franceschina – io non volevo andare perché i nostri rapporti non sono buoni, ma poi acconsentii e mia figlia mi disse che non si trattava di influenza, ma che si era sgravata, dando alla luce una bambina morta e che era necessario denunziarla allo Stato Civile. Mi occupai della cosa e solo la sera del 7 andante potei ottenere il certificato di morte dal dottor Sansone, in seguito al quale ottenni quello del seppellimento il giorno successivo. Solo allora presi la morticina che era involta in una pezzo di tela e la portai al cimitero, consegnandola al custode, il quale pensò al seppellimento

– Vi ha incaricato di chiamare la levatrice?

– No e né mi permisi di invitarla!

Poi interrogano la settantenne levatrice Filippina Trotta

– Ho avuto l’influenza e non ho potuto esercitare per qualche giorno – esordisce –. La sera di sabato 4 aprile fui chiamata da più persone per prestare la mia opera ed essendo a letto non so indicare chi erano le richiedenti, né la mia persona di servizio mi ha saputo indicare. Alle 11 circa del 5 successivo, venne a casa mia la madre di Franceschina la quale, tutta tremante e piangendo mi raccontava che era stata chiamata a mezzo della nipote perché la propria figlia si era sgravata da sola e che ancora era rimasta la placenta. Poiché le mie condizioni di salute non mi permettevano di muovermi, la consigliai a chiamare il medico. Verso sera è ritornata riferendomi che il medico Sansone vi era stato e che non volle mettere mani perché occorreva l’intervento della levatrice. Diedi alcune direttive nel modo come dovevano fare per mandare avanti la placenta e così andò via. ritornata la mattina del 6, mi riferì che la placenta era uscita ed allora la consigliai di riferire il caso allo Stato Civile

 Guai in vista.

Franceschina, ancora sofferente per il parto e i problemi con la placenta, viene arrestata per infanticidio e piantonata in casa. Dopo qualche giorno, ritenendo che le sue condizioni siano migliorate, viene rinchiusa nel carcere mandamentale di Paola e viene interrogata:

Circa 10 mesi fa ebbi rapporti con un contadino di cui ignoro anche il nome e che attualmente non è più in Fuscaldo e rimasi incinta. Durante la gravidanza lavorai sempre trasportando carboni a Paola, fino al giorno di Sabato Santo incluso, giorno in cui mi recai a Paola col solito sacco di carbone, pur essendo giunta a nove mesi e 5 giorni di gravidanza. Però, durante tutta la giornata ho sofferto dolori atroci che ho sopportato stoicamente. Giunta a casa verso le 4 o le 5, ebbi una violenta ed improvvisa doglia; mandai a chiamare la levatrice per mezzo di una vicina di cui non mi viene in mente il nome, ma non venne nessuno ed in seguito seppi che la levatrice era assente. Rimasta sola in cucina, in una fulminea e terribile doglia, il parto avvenne precipitoso ed il feto cadde a terra battendo la testa e provocando la rottura del cordone ombelicale. Ebbi la forza di mettermi a letto, non senza prima avere raccolto il feto ed averlo posto sul letto accanto a me; non ebbi la forza e i mezzi di legare il cordone ombelicale perché non potevo muovermi ma, d’altra parte, avevo visto che la bambina, in seguito all’urto per terra, boccheggiava e perciò non poteva vivere. Infatti, dopo alcuni minuti è morta

– È un racconto poco credibile…

Ripeto, la neonata è morta per la caduta senza dubbio e non per il cordone ombelicale che non potetti legare e che, come ho detto, era anche inutile legare… poi sono venute delle vicine, tranne mia madre che ha avuto paura, non so perché, e qualcheduna di esse si è recata a chiamare il dottor Sansone che è venuto nella sera stessa. Ha fatto la constatazione della morte della bambina per mandarla al cimitero il mattino successivo

Tutto contrasta con i risultati delle indagini. Sicuramente sta mentendo.

Intanto il difensore protesta perché, sostiene, le condizioni della donna sono gravi e necessita di assistenza e cure che in carcere non può avere. Ottiene che sia visitata dal dottor Giuseppe Spizzirri, direttore della Casa di Salute San Francesco, di proprietà del luminare Giuseppe Santoro. È vero, le condizioni di Franceschina non sono buone, affetta com’è da flebite alla gamba sinistra e ittero con febbre: deve essere ricoverata in ospedale.

In attesa di chiudere l’istruttoria, a Franceschina viene concessa la libertà provvisoria e può curarsi.

Il 9 luglio 1931 il Giudice Istruttore ritiene che gli elementi a carico dell’imputata siano sufficienti e la rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

Il dibattimento dura una sola udienza, quella del 20 ottobre 1931 e si conclude con la condanna di Franceschina Paura a 6 mesi di reclusione e 600 lire di multa, con il beneficio della sospensione condizionale della pena per anni cinque.[1]


[1] ASCS, Processi Penali

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