NELLA CORRENTE DEL CRATI

– Buonasera Brigadiè, sono Antonio Pignataro da Terranova da Sibari… sono venuto per una preoccupazione che ho…
– Buonasera, quale preoccupazione? Spiegatevi – fa il Brigadiere Marcello Spinella, comandante della stazione di Terranova. Sono le 20,00 del 9 febbraio 1951.
– Ieri sera il mio dipendente Pietro Ferraro si è allontanato dalla mia masseria in contrada Varco di Rende per recarsi presso la propria famiglia qui in paese, così mi ha riferito l’altro mio dipendente Francesco Biscardi, ma fino a che sono venuto a parlare con voi non è ancora rientrato a casa… è anziano ed è partito sotto il temporale di ieri sera… temo che possa essere accaduta una disgrazia…
– Capisco, state tranquillo ché ci interesseremo della faccenda.
Il mattino successivo il Brigadiere ordina ad un suo uomo e alla guardia municipale un servizio perlustrativo in contrada Varco di Rende per rintracciare lo scomparso. Viste le condizioni del terreno intriso di pioggia è praticamente impossibile riuscire a trovare tracce utili, ma verso le 10,00 vengono raggiunti da un giovanotto del posto che ha informazioni importanti per le indagini:
– Correte! Ferraro è sulla sponda del Crati vicino alla masseria!
– Sta bene? – gli chiede il Carabiniere.
– No… è morto!
Il corpo di Pietro Ferraro, disteso supino e in senso trasversale alla corrente, è immerso nell’acqua fino all’ombelico e con il resto del corpo adagiato sulla riva sabbiosa del fiume. È completamente vestito, ma non ha in testa il cappello che, pare, fosse solito portare. Il Carabiniere Agostino Puglisi gli dà un’occhiata sommaria e non nota segni esterni di lesioni traumatiche, per cui ritiene certo trattarsi di disgrazia. I capelli sono pieni di sabbia e l’unica cosa che potrebbe destare sospetti sono delle tumefazioni frammiste col terriccio che presenta sul viso, ma è probabile che siano state prodotte da una caduta accidentale sulla riva del fiume.
Un paio di ore dopo arrivano sul posto il Brigadiere ed il Pretore i quali constatano che non c’è niente di sospetto e il Magistrato, temendo che il cadavere possa correre il pericolo di essere trascinato dalla impetuosa corrente del fiume, autorizza la famiglia, nel frattempo avvisata della tragedia, a provvedere ai funerali. Il corpo del povero Pietro Ferraro viene messo in una cassa di legno e trasportato su di un carro tirato da buoi al cimitero del paese. Qui il Brigadiere lo esamina di nuovo attentamente e nota che la parte tumefatta del viso, lato sinistro, appare scottata, come bruciacchiata appare la spalla sinistra. A tale constatazione è sorto il dubbio che nella morte del Ferraro vi potevano essere dei responsabili, per cui il Brigadiere blocca tutto, convoca in caserma i colleghi di lavoro di Ferraro per acquisire altre informazioni e manda a chiamare il medico condotto per far esaminare meglio il cadavere. Il dottor Raffaele Santopaolo, denudato e ripulito il cadavere dalla sabbia e dal fango, nota subito sulla regione temporo-parietale sinistra una ferita lunga sette centimetri circa, larga due centimetri con corrispondente frattura del cranio, prodotta da corpo contundente; nella parte mediana del cranio, in senso postero-anteriore, una ferita da taglio lunga centimetri cinque circa e larga centimetri uno e mezzo; sulla regione temporo-parietale destra una ferita lunga centimetri quattro circa e larga centimetri due con frattura dell’osso corrispondente, prodotta da corpo contundente, lieve frattura dell’osso nasale; vasta ustione di primo e secondo grado della guancia sinistra e della regione auricolare sinistra con riduzione a metà dell’orecchio; sulla guancia destra varie manifestazioni ecchimotiche; ecchimosi sulla parte anteriore del collo. Adesso è chiaro che non si tratta di un disgraziato annegamento ma di omicidio.
Il Brigadiere Spinella è convinto che l’assassino sia una delle quattro persone convocate in caserma e provvede a sottoporre i sospetti a stringenti interrogatori. Tre di loro sembrano non avere nulla a che fare con l’omicidio, anzi riferiscono cose interessanti sul quarto, il quarantacinquenne Francesco Biscardi. Secondo queste informazioni, nel pomeriggio dell’8 febbraio ci sarebbe stata tra Ferraro e Biscardi una violenta discussione, durante la quale Ferraro avrebbe detto all’avversario: “O te ne vai tu o me ne vado io da questa masseria perché noi due assieme non ci possiamo stare e quando viene il padrone glielo dico!”. Da queste parole si intuisce che non si è trattato di una lite estemporanea ma che i rapporti tra i due erano tesi da tempo, cioè da quando, tre mesi prima, Biscardi aveva cominciato a lavorare nella masseria.
Quando Biscardi viene fatto accomodare sulla sedia per essere interrogato si mostra in atteggiamento preoccupato e sconvolto, tanto da rafforzare il sospetto che egli era effettivamente l’autore del delitto:
– Io non c’entro, non so niente… so solo che si è allontanato dalla masseria per portarsi in paese presso la propria famiglia – si difende per ore ma, dopo stringente, prolungato e tattico interrogatorio, dopo essere caduto in molteplici contraddizioni circa i rapporti tesi col Ferraro ed in merito alla scottatura che ha su una mano, finisce col confessare di essere stato l’autore del truce delitto. Poi Biscardi si chiude in sé per alcuni istanti e, sbigottito, cinicamente dichiara – la sera dell’8 febbraio ero nella masseria e sono venuto a diverbio con Ferraro per futili motivi e l’ho colpito ripetutamente alla testa con la scure, facendolo cascare con la faccia nel fuoco, traendolo subito e deponendolo a mezzo la stanza privo di sensi. Dopo un po’ di tempo, non so precisare quanto, constatato che non dava segno di vita, avvoltolo nel suo mantello me lo sono caricato sulle spalle e sono andato a buttarlo nel Crati. Dopo me ne sono tornato alla masseria a continuare le mie faccende
Omicidio volontario e occultamento di cadavere.
A questo punto il Brigadiere, per acquisire elementi che possano confermare il racconto del reo confesso, va a fare un sopralluogo nel locale della masseria dove sarebbe avvenuto il delitto e verbalizza: Invitato il Biscardi a condurci nel posto dove ebbe a commettere il delitto, questi ci ha portato in una stanza a pianterreno dello stabile a due piani. Quivi entrati, vi abbiamo notato una camera di sei per sei con una porta e, entrando, alla nostra sinistra (entrata parte del fiume) una finestra ed all’angolo un focolare a mezzaluna, due brande di legno con materassi pieni di paglia ed una cassa posta nel lato opposto alla finestra. Biscardi ci ha indicato che lui dormiva sulla branda posta sotto la finestra con i piedi vicino al focolare. Ciò fatto, ci ha indicato il punto dove aveva poggiato il corpo inerme dopo averlo picchiato e ci faceva notare un punto più annerito dall’altra parte del pavimento, dove si era raccolto il sangue fuoriuscito dalla testa ferita di
Ferraro. Dopo di che ci raccontava come tutto era avvenuto
. Il racconto, diverso da quello fatto in precedenza, è drammatico:
– I rapporti tra me e Ferraro si guastarono una quindicina di giorni prima del fatto perché lui era di carattere brontolone, insinuante e curava eccessivamente gli interessi del padrone, tanto che un giorno, avendo io preso una fascina di legna per uso famigliare, mi minacciò di riferirlo al padrone e farmela addebitare. Quella notte mi ha svegliato per una seconda volta per mettere della legna sul fuoco. Ciò che io, borbottando, ed a malincuore, feci e poi da una parola all’altra siamo venuti a parole grosse. Io mi sono accostato al Ferraro e l’ho aggredito prendendolo per il petto. In seguito a tale gesto Ferraro fece atto di prendere la scure che aveva posto vicino al suo letto, momento in cui lo presi per il collo, buttandolo con la faccia sul fuoco, dove ve l’ho tenuto per qualche istante. Lasciai la presa per armarmi, di una scure che si trovava nel locale e, mentre Ferraro cercava di sollevarsi, l’ho colpito alla testa con tre o quattro colpi di scure facendolo ricadere nuovamente sulle braci. Dopo, toltolo dal fuoco, l’ho deposto nella camera vicino alla sua branda
– Come ha fatto a portare il cadavere al fiume? Ci saranno quattrocento metri almeno e la strada è faticosa e impraticabile
Da solo, caricandomelo sulle spalle… – poi si ferma, riflette per qualche secondo, e cambia la versione – mi ha aiutato uno sconosciuto che era in cerca di lavoro e dormiva qui ospitato da Ferraro… vi faccio vedere come abbiamo fatto – dice facendo stendere a terra un Carabiniere e mimando come legarono il cadavere con la testa vicina alle ginocchia, passando una corda da queste al collo e mettendo un palo sotto la pancia in modo da poterlo trasportare agevolmente in due, reggendolo dalle due estremità del palo. Poi mostra il percorso fatto fino al fiume fino al punto in cui il cadavere fu buttato nella corrente, circa 400 metri a monte dal punto in cui fu ritrovato.
– E lo sconosciuto che fine ha fatto?
Si è avviato in direzione di Sibari lungo l’argine ed io ho fatto ritorno alla masseria dove mi sono preoccupato di far scomparire le macchie di sangue
La storia dello sconosciuto lascia molti dubbi, ma ci sono due testimoni che giurano di aver visto Biscardi, nel pomeriggio dell’8 febbraio, discorrere con uno sconosciuto dell’apparente età di 15 o 16 anni, di corporatura snella, capelli e occhi castani, con poca barba che sembrava rasa, con accento castrovillarese e di averlo sentito dire: “Te ne puoi andare perché qui non c’è lavoro”. Adesso la circostanza appare credibile e partono le indagini per identificare ed arrestare lo sconosciuto, ma tutti i tentativi, durati poco più di un anno vanno a vuoto e gli inquirenti decidono che è arrivato il momento di rinunciare e chiudere l’istruttoria con un solo imputato.
Il 9 maggio 1952 il Giudice Istruttore del Tribunale di Castrovillari rinvia Francesco Biscardi al giudizio della Corte di Assise di Cosenza per rispondere dei reati di omicidio aggravato e occultamento di cadavere aggravato.
Il 29 ottobre 1952 inizia il dibattimento che si svolge in 3 udienze, alla fine delle quali il Pubblico Ministero chiede la condanna alla pena complessiva di anni 22 di reclusione, con le pene accessorie come per legge. La Parte Civile si associa, chiedendo in più un risarcimento
di lire 500 mila
e le spese legali quantificate in lire 105.770.
Per la difesa arringano gli avvocati Costantino Belluscio, che chiede l’assoluzione per avere agito in istato di legittima difesa, e l’avvocato Baldo Pisani, che, in subordine, chiede la concessione all’imputato del beneficio dell’eccesso colposo di legittima difesa con le attenuanti generiche e quella della provocazione con la condanna al minimo della pena.
Il 31 ottobre 1952 la Corte ritiene Francesco Biscardi colpevole del reato di omicidio volontario e di occultamento di cadavere con l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi e la concessione delle attenuanti generiche che dichiara equivalenti all’aggravante contestata per l’occultamento di cadavere, condannandolo a 20 anni di reclusione più pene accessorie, nonché al pagamento delle spese e al risarcimento dei danni per complessive 580.770 lire.
Non risultano ricorsi.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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