IL BRANCO

Verso le 21,00 del primo ottobre 1933, dopo essere stata licenziata dalla signora Teresina Leonetti, dove era stata allogata come serva,  la diciassettenne Grazia Grande torna a casa, situata un centinaio di metri oltre l’abitato di Castrovillari.

La serata è illuminata dalla luce brillante della luna piena e in giro sembra non esserci nessuno. Sembra, ma all’improvviso le si para davanti un uomo. Grazia lo riconosce, è Carluccio l’elettricista che le dice:

– Voglio stare con te, sono disposto a mantenerti…

– Vattene, vattene se no vado a denunciarti dal Maresciallo!

Carluccio non insiste, sorride ironicamente e se ne torna verso l’abitato. Grazia continua a camminare, ormai le mancano solo una trentina di metri per arrivare a casa, quando improvvisamente le si avvicina il marito di Angelina, una donna che conosce:

Non dare retta a Carluccio, ché è un mascalzone

– Io non do retta né a lui, né ad altri! – alza fieramente la testa e prosegue, ma l’uomo le si mette al fianco e continua a parlare:

A tutti hai fatto fare la bocca e a me niente?

Non sono una fetta di mellone da dare per far fare la bocca! Vedi di andartene da tua moglie!

L’uomo, come Carluccio, gira sui tacchi e torna verso il centro abitato.

Grazia finalmente arriva a casa, chiude la porta dietro di sé, si appoggia con le spalle al muro e tira un lungo respiro. Come farà adesso che non ha più lavoro? Come la prenderà suo padre quando tornerà a Castrovillari? Ci penserà domani, meglio cercare di riposare per riordinare le idee. La ragazza prende un fiammifero per accendere il lume, quando sente rumori alla porta. Sembrano esserci più persone che le dicono di aprire. Non accende il lume per fingere di non essere in casa e resta in silenzio. Quelli di fuori, però, accendono un fiammifero e da un grosso buco nella porta guadano dentro e la vedono. Quelle persone adesso bussano con più insistenza, ma Grazia non apre e si rincantuccia in un angolo, come se volesse diventare invisibile. Poi, dai e dai, con un poderoso spintone la porta, mezza sgangherata, cade giù con tutto il telaio attaccato.

Con la luce della luna che irrompe nella stanza, Grazia conta cinque uomini. Ciò che la fa sobbalzare, rannicchiata nel suo angolino, è la presenza, tra i cinque, di Carluccio l’elettricista e del marito di Angelina. Gli altri tre li ha visti qualche volta, ma non ne conosce i nomi.

Gli uomini non tardano a vederla, piccola piccola, in quell’angolo. Si avvicinano, l’afferrano, la trascinano nel mezzo della stanza e la buttano a terra. Il vestito, già sdrucito, le si strappa. Nessuno degli uomini parla. Nemmeno Grazia parla, né grida. Ci prova, in realtà, ma è come se le corde vocali le si siano paralizzate dalla paura.

Adesso due uomini la tengono per i piedi, allargandole le gambe, altri due la tengono per le braccia, come crocefissa. Il quinto uomo, il marito di Angelina, si sbottona i pantaloni, caccia fuori il suo sesso teso ed eccitato, le si inginocchia sopra, le strappa brutalmente le mutandine e la violenta.

Adesso un urlo disperato esce dal profondo della gola della ragazza, ma viene soffocato da una mano possente che le tappa la bocca. Grida di incitamento le perforano i timpani. Risate sguaiate le trafiggono l’anima. Poi l’uomo, dopo avere emesso un grugnito di piacere, si ferma. Ansima mentre si rialza e si ricompone. Ride con gli altri, poi prende il posto di Carluccio a trattenere la ragazza per un piede.

L’elettricista si butta addosso a Grazia e ripete la violenza. Poi gli altri tre.

Grazia è un cencio buttato a terra. Gli uomini ridono tra di loro mentre se ne vanno come se avessero bevuto un bicchiere all’osteria.

Adesso vado dal Maresciallo e vi denuncio… – gli uomini si voltano e vedono Grazia sulla porta che li guarda minacciosa. Tornano indietro, l’afferrano di nuovo e di nuovo la buttano a terra. Non c’è bisogno di parole, l’indice di una di quelle dieci mani che sfiora la gola di Grazia dice più di mille parole. Qualcuno degli uomini tenta di rimettere a posto la porta per chiudere in casa la ragazza, ma non c’è niente da fare, così la buttano per terra.

– Mò ci vai dal Maresciallo?

– No… non ci vado più – e i cinque se ne vanno in silenzio.

Ma Grazia ha mentito per essere lasciata in pace. Si Asciuga le lacrime che adesso, solo adesso, cominciano a segnarle il viso, poi cerca di rimettersi a posto il vestito strappato e si avvia verso la caserma dei Carabinieri.

Sono le 22,45 del primo ottobre 1933 quando le nocche della mano destra di Grazia Grande picchiano sulla porta della caserma per denunciare lo stupro.

Ti hanno fatto sangue lì? – le chiede pudicamente il Maresciallo, intendendo se le avessero tolto la verginità.

– No… circa due mesi fa sono stata posseduta e deflorata da un altro – ammette sinceramente.

Quando i Carabinieri arrivano alla casupola di Grazia, constatano la veridicità del racconto che la ragazza ha fatto: la porta forzata con rottura del telaio, per terra tracce di strisciamento di piedi che palesano la colluttazione, le mutande strappate. Adesso bisogna dare un nome e cognome ai cinque. Grazia sa dove abita Angelina e i Carabinieri si fanno accompagnare. Arrestano il marito della donna,  il ventiduenne Carlo Assanti. La ragazza dice di sapere dove abita uno di quelli di cui non conosce il nome e accompagna anche lì i militari: è lui, lo riconosce. Anche il ventiduenne Nicola De Pace finisce con i ferri ai polsi.

Agli altri si dedicheranno l’indomani, ormai è troppo tardi.

L’indomani mattina i Carabinieri identificano Carluccio l’elettricista per il cinquantacinquenne Carlo Malagrinò e lo arrestano sul posto di lavoro.

Per gli altri due ci vorrà qualche altro giorno, poi il 6 ottobre i Carabinieri arrestano il ventiduenne Vincenzo Miglio e il trentaquattrenne Giuseppe Magnelli.

Tutti si professano innocenti fornendo alibi e testimoni, ma Grazia riconosce i cinque anche quando le vengono mostrati mischiati ad altri uomini, con una indecisione quando le viene mostrato il fratello di Giuseppe Magnelli, praticamente un sosia. Poi continua ad accusarli in modo circostanziato anche nei confronti alla quale viene sottoposta.

La perizia medica non riscontra tracce di violenza ma solo che Grazia era deflorata di recente ed aveva avuto coiti ripetuti. Molto strano.

Come molto strana è l’affermazione di Grazia, poi smentita, che si dichiara disposta di far a loro favore di remissione della querela.

A complicare le cose ci si mette anche donna Teresina Leonetti che, interrogata, dichiara:

– È bugiarda… anzi, più che altro proclive a dire una cosa per un’altra

Ma per il Giudice Istruttore non c’è niente di strano. Le prove raccolte sono sufficienti per rinviare tutti e cinque gli imputati al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari con le accuse di violenta congiunzione carnale e violazione di domicilio. È il 27 febbraio 1934.

Il dibattimento si svolge nelle due udienze del 19 e 20 aprile successivi. Grazia continua ad accusare i suoi aggressori, i quali continuano a sostenere la propria innocenza, il Pubblico Ministero chiede la condanna degli imputati e la difesa chiede l’assoluzione con formula piena.

La Corte si ritira in Camera di Consiglio e quando ne esce per pronunciare la sentenza, la sorpresa è generale: assoluzione per insufficienza di prove per tutti gli imputati.

Che cosa ha fatto pendere la bilancia della giustizia a loro favore? La Corte motiva così. Raccontando una storia diversa da quella conosciuta:

Si deve ammettere che veramente Grazia Grande una violenza, quella sera, ebbe a subire e che per commetterla, quei vili autori della medesima, ebbero anche l’audacia di scassinare la porta della casetta del padre di lei, violandone il domicilio. La Corte non ritiene, d’altra parte, egualmente provato che a commettere questi reati, così gravi, siano stati gli odierni imputati. E ciò non tanto per l’alibi, quanto specialmente per le seguenti circostanze che scuotono la fiducia nelle attestazioni dell’offesa Grande e che, in ogni caso, ne dimostrano la possibilità di essersi potuta ingannare nell’identificazione degli imputati. Il Magnelli ed il Miglio furono riconosciuti dalla Grande nella presentazione a lei fattane in mezzo ad altre persone, ma questa ha deposto che qualche giorno dopo del fatto vide due giovani somigliantissimi, certamente fratelli, e riconobbe in loro uno degli autori del fatto. Chiese chi fossero e, saputo che erano intesi col nomignolo di “sbardati”, li indicò ai Carabinieri e poi, in ricognizione insieme ad altri, conobbe l’imputato. È risultato però che costei mostrò la sua perplessità nel riconoscere il Magnelli e ciò svaluta la ricognizione in mezzo ad altre persone perché il riconoscimento è incerto tra il Magnelli Giuseppe e il fratello. Per il Miglio, poi, la Grande ha deposto che lo conosceva da prima del fatto e lo indicò ai Carabinieri come uno degli autori del reato perché il fratello dell’imputato le disse che era stato uno degli autori ed alla sua osservazione se ne fosse sicuro perché se accusava un innocente poteva farlo andare in galera, l’aveva assicurata che poteva stare tranquilla perché l’aveva saputo da uno di cui non le fece il nome. Per quanto riguarda Assanti Carlo, la Grande affermò di averlo riconosciuto alla voce, mentre ciò non poteva essere vero perché conosceva l’Assanti, come essa stessa disse, solo in quanto passava davanti la sua casa ma non era affatto in dimestichezza con lui così da poterne agevolmente e senza tema di errore riconoscerne la voce. Tutto ciò legittima il dubbio che la Grande, con la sua leggerezza nell’accusare, abbia potuto conoscere il Malagrinò e l’Assanti sol perché, avendole essi poco prima fatto quelle proposte galanti, ebbe nella sua mente a concepire che fossero potuti essere loro che, respinti da lei, avessero voluto ottenere colla violenza quei loro propositi. Inoltre Malagrinò e Assanti non erano insieme, né insieme invitarono la Grande a concedere loro i suoi favori. Ed allora per potere essere loro a far parte di quella combriccola, essi avrebbero dovuto, dopo andata via la Grande, riunirsi tra loro, trovare gli altri tre, concertare di andare a prendere la Grande con la violenza e mettere tale proposito in esecuzione. E poiché ciò è di una inverosimiglianza assoluta, è invece molto più probabile che una comitiva di giovanotti che conoscevano che le sorelle di Grazia erano date alla mala vita e lei l’aveva, come è risultato, già iniziata, pensarono di andarla a trovare e perciò o la pedinarono o l’attesero addirittura nei pressi della casetta.[1]

Tutti e cinque gli imputati vengono immediatamente scarcerati e gli autori, chiunque siano stati, della bestiale violenza ammessa dalla Corte, resteranno per sempre impuniti.


[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.

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