TOGLIETEMI LA MAGGÌA

Sono le otto
di mattina del 3 marzo 1931. A Vaccarizzo di Montalto la messa mattutina è
finita e i fedeli sono usciti dalla chiesa, nella quale si attardano due donne
che stanno aiutando don Emilio Chimenti a mettere a posto i paramenti sacri.
Poi le due donne escono e si fermano a chiacchierare sul sagrato. Esce anche
don Emilio che chiude dietro di sé il portone della chiesa, saluta le due donne
e fa per andarsene. Un uomo gli si avvicina e gli dice
– Donn’Emì…
per l’anima dei morti, toglietemi la maggia
che mi avete fatto…
Don Emilio
resta un attimo perplesso e non risponde perché non sa cosa rispondere. Allora
l’uomo fa un passo indietro, tira da sotto il mantello un pugnale e si avventa
sul prete colpendolo al petto. Don Emilio urla per il dolore e cade a terra.
Urlano, terrorizzate, anche le due donne mentre l’uomo vibra una seconda
pugnalata al prete, questa volta alle spalle, poi lo colpisce con un calcio e
scappa. Le due donne accorrono e sorreggono don Emilio che gronda sangue,
mentre dalle case vicine la gente si precipita sul posto per vedere cosa è
successo. Braccia robuste prendono in braccio il prete e lo portano a casa.
Qualcuno va a chiamare il dottor Salvatore Bisciglia, il medico del paese.
Dalla visita generale ho rilevato nella
regione cardiaca, e propriamente nel terzo spazio intercostale, una ferita da
punta e taglio lunga un centimetro e profonda fino a sfiorare quasi la pleura
parietale. Inoltre, nella regione dorso-lombare lato esterno, ho riscontrato
un’altra ferita lunga circa un centimetro, anche da punta e taglio, profonda
fino al muscolo sottostante. Data la località e gravità delle lesioni, il
ferito è in pericolo di vita
.
– Corri a
Montalto e porta questo al Maresciallo – ordina il medico ad un uomo, che esegue
immediatamente
Il
Maresciallo Maggiore Antonio Lai arriva sul posto dopo un paio di ore e
comincia subito le indagini interrogando il parroco
– È stato
Peppino Leone… mi ha detto qualcosa su una magia che gli avrei fatto… poi mi ha
aggredito…
Giuseppe
Leone ha 35 anni e fa il calzolaio. Non è difficile trovarlo, è nella sua abitazione posta nella piazzetta
della frazione
Io non ricordo proprio nulla e pertanto
nulla posso dire di quanto mi viene addebitato… sono sofferente di nervi e
quando mi viene qualche crisi commetto atti inconsulti, ma dopo non ricordo
nulla di ciò che dico o faccio
– Non dite
fesserie, Leone, perché avete tentato di ammazzare don Emilio a pugnalate? Dove
avete messo l’arma?
– Marescià… non ricordo proprio nulla del ferimento di
cui mi parlate. Con don Emilio sono amico e non serbavo contro di lui alcun
rancore poiché lo stesso non mi ha mai fatto alcunchè di male
Dichiarazioni
poco credibili, così Peppino Leone viene arrestato con l’accusa di tentato
omicidio.
Dalle
testimonianze raccolte, però, il Maresciallo scopre che Peppino da oltre due anni dà segni di alienazione
mentale
.
Che il fatto
accaduto sia molto strano lo conferma anche don Emilio, non riuscendo a
spiegarsene il motivo
Fra me ed il Leone non vi erano precedenti
di rancore o di inimicizie; anzi egli e la sua famiglia furono spesso
beneficati da me
Il problema,
per Peppino, è che l’unico a non essere a conoscenza del suo disagio è il
dottor Bisciglia che non lo ha mai visitato e che, quindi, non può attestare nulla.
Nel frattempo
sono passati due mesi e mezzo. Don Emilio, per fortuna, è guarito anche se
assicura che in conseguenza dello chok
nervoso non può affaticarsi, né fare le scale, né camminare in salita
. Ma i
mesi sono passati senza che si sia presa alcuna decisione sul destino di
Peppino il quale, dal carcere, chiede di sapere quando sarà rimesso in libertà:
credo di avere raggione uscire, siccome
ciò una famiglia adosso che tutti mangiano e nessuno lavora, sarà la votra
gentilezza uscirmi a libertà
.
Peppino
scrive anche a sua sorella a Buenos Aires in risposta alla lettera che gli ha
inviato prima di essere arrestato e la informa della novità, ma la lettera
viene sequestrata
Carissima Sorella
Risponto alla vostra lettera dove mi sono
allegrato nel sentire la vostra buona salute. Il medesimo è di me e mia
famiglia, sposa e nostri cari figli.
Auguro sia di voi tutti per noi essere più
contenti.
Carissima Sorella vi faccio nota che dal 3
marzo 931 mi trovo qui nel carcero, motivo avere dato 2 coltellate al prete di
Vaccarizzo per una maggia contra, proveniente da lui, nei momenti più critici
non vedetti cosa feci.
Adesso como salute sto molto bene, la maggia
mi passò e fino adesso stetti chiuso. Adesso sono di un momento allaltro essere
difeso dell’avvocato Maingini
(Pietro Mancini. Nda) di Cosenza e spero di un giorno all’altro uscire a livertà siccome la
colpa non è mia, di più non sono stato una volta testimonio.
Non altro resto con darvi i più cari saluti
a voi e bacio vostri figli. Vostro aff.mo fratello
Alla sorella
non avrebbe avuto motivo di mentire, non si sente responsabile di un fatto di
cui non ha memoria.
Che in lui ci
sia qualcosa che non va adesso lo pensa anche don Emilio il quale,
cristianamente, lo perdona e questo atto viene subito fatto notare
dall’avvocato Mancini che chiede al Procuratore del re di rivedere la posizione
di Peppino
Chiediamo alla giustizia della V.S. di
volere indagare sullo stato di mente – la sola causale del fatto – e di
benignarsi di degradare l’originaria imputazione di mancato omicidio in
lesione.
Il Leone è un infelice meritevole di pietà e
di assistenza, non di rigore.
Sappiamo che la stessa parte lesa, convinta
delle sue condizioni mentali, lo ha perdonato
.
A dare una
mano a Peppino Leone sono sia la perizia medica ordinata dalla Procura per
stabilire se vi fu e per quanti giorni durò il pericolo per la vita di don
Emilio, che attesta: tenuto conto della
non penetrazione in cavità (come risulta chiaramente dal referto Bisciglia, dal
decorso e dallo stato attuale) non vi fu mai pericolo di vita
; sia le nuove
indagini condotte dai Carabinieri sul suo stato di disagio mentale, confermato
anche dal Pretore di Montalto che scrive: a
mio parere dovrebbe venire internato in qualche casa di cura avendo dato segni
manifesti di alienazione mentale, sia prima che dopo commesso il fatto, tanto
ciò è vero che io fui costretto, mentre il Leone trovavasi detenuto in queste
carceri, a farlo isolare per impedire che si avventasse contro gli altri
detenuti
.
Raccolti
tutti questi elementi, per il Pubblico Ministero l’istruttoria può essere
chiusa perché l’imputato è raggiunto da
sufficienti elementi di prova per tutti i reati a lui ascritti
, ma il fatto
deve essere valutato osservandolo da una prospettiva diversa da quella
originaria: date le modalità del fatto ed
i precedenti, appare dubbio che egli avesse intenzioni di uccidere e quindi
deve degradare la rubrica di mancato omicidio in quella di lesioni personali
volontarie
. Il Giudice Istruttore accoglie la tesi del Pubblico Ministero e
Peppino Leone viene rinviato a giudizio per lesioni personali, esattamente come
aveva chiesto il suo difensore Pietro Mancini. È il 15 luglio 1931.
Il 21
settembre successivo, in quattro e quattr’otto, Peppino Leone viene condannato
a 6 mesi e 5 giorni di reclusione, più pene accessorie.[1]
Altri 17
giorni e tornerà libero.

[1] ASCS, Processi Penali

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