Giuseppe Zaccaro ha 13 anni e fa il pastore per conto di Antonio Martino a Cassano Jonio. La mattina del 29 marzo 1951 porta le pecore a pascolare nella proprietà di Salvatore De Cicco, accanto al cimitero del paese. Nelle vicinanze c’è un altro ragazzino, l’undicenne Salvatore Conso, che sta raccogliendo piante di broccoli per la mucca di De Cicco. Un po’ più discosto c’è Francesco De Cicco, il figlio del padrone, che sta scavando radici di canne. Il sole è già caldo e Giuseppe passa il tempo ad osservare i movimenti degli altri lavoratori, così nota che verso le dieci arriva il padrone del fondo, poi la moglie che parlotta con Salvatore Conso e quest’ultimo che smette di raccogliere i broccoli e va verso il paese. Lo vede tornare poco dopo mezzogiorno e fermarsi a casa del padrone, nella quale ormai il pranzo è pronto. Poi vede uscire il padrone, il figlio e il ragazzino e mettersi, tutti e tre, a lavorare lungo l’argine, dove vi è il solco per l’acqua. Salvatore Conso taglia l’erba, Ciccillo De Cicco pulisce l’argine con una roncola e il padrone lo aiuta con una pala. Mentre il pastorello è intento ad osservare, arriva il suo padrone, Antonio Martino, che gli ordina di andare a tagliare dell’erba per una pecora ammalata e lasciata all’ovile in contrada Paglialunga e poi di ritornare al pascolo. Giuseppe ubbidisce e si allontana, tornando dopo poco più di mezz’ora. Steso nella canaletta di irrigazione vede Salvatore Conso.
– Salvatò, stai dormendo? – lo chiama quasi ridendo. Nessuna risposta – Salvatò, svegliati se no il padrone s’incazza! – continua avvicinandosi. Poi vede una macchia rossa sotto il viso di Salvatore e una canna spezzata nella bocca del ragazzino. Capisce tutto. Urlando corre a casa dei De Cicco, dove trova la moglie del padrone, Rosa Martino, che sta parlando con una donna soprannominata ‘a pedi i gallina.
– Giusè, che hai che gridi? E le pecore di mio cugino le hai lasciate da sole?
– Signò… vostro cugino mi ha mandato a governare la pecora malata e al ritorno… – dice ansimando e con gli occhi pieni di lacrime – al ritorno…
– Al ritorno?
– Ho trovato Salvatorino steso nella canaletta… pare morto signò! C’è sangue!
Rosa corre verso la canaletta e in questo frattempo, attirati dalle urla, arrivano anche Salvatore De Cicco, suo figlio Ciccillo e Antonio Martino, i quali, come tutti gli altri presenti, corrono al canale di irrigazione per vedere cosa sia successo. Poi Antonio Martino va ad avvisare i Carabinieri di Cassano. Sono le 16,00 del 29 marzo 1951.
Il Maresciallo Maggiore Alessandro Napoli si precipita sul posto e, in attesa che arrivi il Pretore, comincia ad indagare, siccome al solo osservarlo sorgeva il dubbio di un delitto.
– Io non so nulla – comincia a dire Salvatore De Cicco in modo molto eccitato – l’avevo mandato a fare un po’ di erba per la mucca e non mi sono nemmeno accorto in quale posto fosse andato…
Molto strano secondo il Maresciallo. Salvatore De Cicco viene accompagnato in caserma per un interrogatorio più approfondito.
Il cadavere, in posizione orizzontale, era stato evidentemente sistemato in maniera tale da dar l’impressione di una caduta. La canaletta, nella quale è stato rinvenuto, è in quel posto alta una cinquantina di centimetri dal terreno che fa, per tutto il corso della canaletta in cemento lunga una ventina di metri, un avvallamento, rispetto a quello circostante, di circa mezzo metro. A tre o quattro passi dal cadavere vi si trova sul terreno una cesta vuota, alta circa 45 cm, e del diametro di 55 cm. in essa un pugno di paglia nel fondo ed una roncola. La cesta stessa trovasi sulla parte di terreno sopraelevato rispetto a quello in cui trovasi il cadavere, tra questi e l’abitazione del De Cicco, da dove una persona avrebbe potuto facilmente notarla. Molto strano che nessuno abbia notato la cesta.
Poco dopo arrivano il Pretore ed il medico legale, il quale stabilisce subito che il bambino è stato ucciso con un colpo di coltello infertogli nella zona sottoclavicolare in corrispondenza dell’emitorace destro. In realtà l’assassino gli ha vibrato anche un’altra coltellata al fianco destro, ma il medico la giudica di nessuna importanza. Il fatto che il bambino sia stato colpito all’emitorace destro comporta una conseguenza logica: chi lo ha colpito standogli di fronte deve essere mancino e, soprattutto, deve essere uno che sa maneggiare molto bene il coltello.
I Carabinieri ispezionano minuziosamente tutto il terreno circostante alla ricerca di prove, ma non trovano niente, nemmeno una goccia di sangue, oltre a quello nella canaletta. È chiaro che Salvatore deve essere stato ammazzato in un altro posto ed era stato ivi trasportato per simulare una morte accidentale. Bisogna allargare il cerchio, ma anche questa volta non viene rinvenuta nessuna traccia che possa indicare la località del delitto, se non, a circa un metro dall’inizio della canaletta, lato monte, una piccola macchia di sangue a striscio su una delle sponde della canaletta stessa, macchia che poteva essere stata però prodotta da qualcuna delle numerose persone che sono andate a vedere il cadavere. Viene perquisita anche la casa dei De Cicco alla ricerca della possibile arma del delitto, ma senza alcun esito.
I Carabinieri esaminano attentamente anche gli abiti che indossano i De Cicco ed è molto strano che Francesco De Cicco indossi pantaloni coloniali e camicia puliti, in contrasto con le scarpe da lavoro, sporche di terra. Gli fanno togliere le scarpe e da una minuziosa osservazione spunta una piccolissima macchia, un puntino, che ha tutte le caratteristiche di una macchia di sangue. Anche Ciccillo entra tra i sospettati e viene accompagnato in caserma, dove il padre è stato fatto spogliare per esaminare gli abiti che ha addosso.
– Li ho addosso da stamattina… dovevo andare a Cosenza per parlare con l’avvocato Bruno, ma l’ho incontrato a Spezzano e quindi sono tornato indietro… – giura Salvatore De Cicco.
La mattina dopo il Maresciallo torna con i suoi uomini sul posto dove è stato rinvenuto Salvatore e questa volta spunta, lungo l’argine dove il giorno prima lavorava Salvatore De Cicco, un coltello a serramanico. Che sia l’arma del delitto? Il coltello, però, non viene riconosciuto come proprio dal sospettato, né da suo figlio Ciccillo, ma viene riconosciuto come proprio da Antonio Martino. Il problema, per gli inquirenti, è che da un attento esame il coltello non sembra presentare alcuna traccia di sangue e quindi ci vuole una perizia. Ciò che invece potrebbe essere interessante è che sul fondo della cesta trovata accanto al cadavere del bambino ci sono delle macchie che hanno tutte le caratteristiche del sangue: probabilmente la cesta è stata usata per trasportare il cadavere dal luogo dove è stato consumato l’omicidio a quello dove è stato fatto ritrovare. Ma c’è di più. I sospetti cadono anche su Rosa Martino e Antonio Martino perché anche loro due erano nelle vicinanze e potrebbero nascondere qualcosa. Ma al di là di semplici sospetti non c’è nessun indizio contro i fermati ed è inutile tacere che i Carabinieri brancolano nel buio.
Poi la sera del 30 marzo il Maresciallo viene informato da alcuni parenti dei sospettati che, in una località non lontana dal posto dove è stato rinvenuto il cadavere, sono state trovate tracce di sangue. Infatti, a circa una ventina di metri dalla canaletta, lungo un sentiero che costeggia la proprietà dei De Cicco, sul terreno c’è una goccia di sangue. il Maresciallo ordina che venga tolta la zolla di terra e la sequestra per fare eseguire delle analisi. Se fosse sangue e se corrispondesse a quello di Salvatorino, si potrebbe ipotizzare che il bambino sia stato ucciso fuori dalla proprietà dei De Cicco e poi trasportato nella proprietà per far ricadere la responsabilità su di loro. Ma nemmeno questa ipotesi regge perché viene accertato che poco distante dalla zolla sporca di sangue c’erano, nel pomeriggio del 29 marzo, tre persone che si stavano esercitando al tiro al bersaglio e avrebbero certamente visto tutto. Che siano stati questi tre? No, certamente non si sarebbero fatti notare sparando all’impazzata.
Il 31 marzo si sparge la voce che autore del delitto poteva essere stato Zaccaria Cassano, guardiano del marchese Serra, la cui proprietà confina con quella dei De Cicco. Ma Cassano ha un alibi di ferro e questa pista viene abbandonata.
C’è sempre qualcosa che non quadra o che sfugge e allora, la mattina del primo aprile, il Maresciallo Napoli decide di fare altre domande a Salvatore De Cicco. Per esempio, se in casa hanno coltelli da macellaio.
– Abbiamo tre coltelli lunghi a manico fisso…
– Sicuro? Quando abbiamo perquisito la vostra abitazione non li abbiamo trovati…
– Saranno stati conservati in qualche altro posto…
Questa è una cosa interessante da chiarire al più presto e perciò, se Salvatore De Cicco non sa dove siano finiti i coltelli che ha ammesso di possedere, certamente sua moglie deve saperlo.
– Abbiamo due e non tre coltelli ad uso macellazione…
– E dove sono?
– Non lo so…
Contraddizioni, “non lo so”, “non ricordo” aumentano i sospetti sui coniugi De Cicco e il Maresciallo, dopo laboriose indagini e stringenti interrogatori, scopre che i coltelli erano stati occultati dalla Martino Rosa che li aveva dati, per nasconderli, a certa La Regina Saletta. E infatti, durante la perquisizione in casa della donna, in un cassetto del tavolo sono stati rinvenuti tre coltelli lunghi a punta e manico fisso. Ciò che è più preoccupante per gli indagati è il fatto che uno dei coltelli presenta verso l’estremità una piccola macchia che potrebbe essere anche di sangue. Sarà la perizia a stabilirlo. Saletta La Regina, messa davanti al fatto compiuto, dichiara di avere avuto i coltelli da Rosa Martino la sera stessa dell’omicidio ed è evidente che anche qui qualcosa non quadra perché Rosa non avrebbe avuto il tempo di consegnare alla sua amica i coltelli prima della perquisizione. Chi ha portato via da casa i coltelli? Mistero.
Ma di contraddizioni è costellata tutta l’indagine: non c’è una sola dichiarazione fatta dagli indagati o dai numerosi testimoni ascoltati che concordi con un’altra. Nessuno fa accuse, neanche velate, ma nessuno scagiona nessuno e così non arriva da nessuna parte. Tra tutte queste contraddizioni, gli inquirenti focalizzano l’attenzione sul comportamento tenuto da Rosa Martino e suo cugino Antonio Martino quando parlano del momento in cui arrivarono sul posto dove era il piccolo Salvatore: Martino Antonio asserisce di essersi recato subito sul posto unitamente alla cugina ed avendo notato che il Conso era già morto, disse di non toccarlo. Ed il cadavere non fu mosso, altrimenti o sarebbe sfuggita la canna che, mentre dava la sensazione che fosse ficcata nella bocca del ragazzo, era invece tenuta piegata dal peso della testa contro il piano della canaletta, o sarebbe certamente caduto il berretto che, come rilevasi dalla fotografia, era stato posto sulla sua testa. Non si spiega come mai né l’uno, né l’altra pensarono di soccorrere il ragazzo che avrebbe potuto essere ancora vivo e magari privo di sensi in conseguenza più di una presumibile caduta che di un delitto.
A quest’ultimo sospetto si aggiunge la voce che vorrebbe autore dell’omicidio Antonio Martino perché macellaio e mancino, quindi capace di finire con un sol colpo un animale, così come fu finito Salvatorino. Anche se risulta vero che Antonio Martino sia esperto nella macellazione degli ovini e sia mancino, questa coincidenza non viene presa sul serio, manca il movente.
Il movente per incastrare Martino potrebbe essere fornito da un’altra voce che comincia a circolare: la sera precedente al delitto vi fu una scenata in casa sua per una notizia che avrebbe riportato il Conso Salvatore a sua moglie. Chi dice che avrebbe riferito su una tresca che il Martino tiene con una figlia del custode del cimitero e chi di una con la cugina Rosa Martino. Le donne coinvolte negano le presunte relazioni illecite e le voci restano voci. Allora il Maresciallo comincia a chiedersi perché Antonio Martino fece allontanare così repentinamente il pastorello Giuseppe Zaccaro, quando l’erba alla pecora ammalata avrebbe potuto portarla al ritorno del gregge nell’ovile. Forse era un piano preordinato per poter compiere indisturbato il delitto ? E il suo coltello a serramanico trovato per terra vicino a casa dei De Cicco? Come è finito lì? Martino sostiene di averlo lasciato nel cassetto di un tavolo al primo piano della casa dei De Cicco prima di andare in caserma e alla presenza di sua cugina Rosa, ma Ciccillo De Cicco e suo padre lo smentiscono categoricamente: Martino, dopo la scoperta del cadavere, nella loro casa non è entrato. Anche Rosa lo smentisce dicendo di non saperne nulla, poi ammette che Antonio Martino è entrato in casa sua. Ma il problema, riguardo al coltello, è sempre lo stesso: non presenta alcuna traccia di sangue e quindi non è l’arma del delitto.
E quella piccolissima macchia di sangue su uno degli scarponi di Ciccillo De Cicco? Come ci è finita? Lui sostiene di aver abbracciato il cadavere e fu allora che quella stilla finì sullo scarpone, ma gli inquirenti dubitano che sia stato possibile. Nemmeno la perizia sullo scarpone fa chiarezza su questo punto perché stabilisce che la piccola incrostazione è sostanza ematica e niente più.
A proposito di perizie, le macchie trovate nella cesta che sarebbe stata adibita al trasporto del cadavere, non sono macchie di sangue e quindi anche questa ipotesi viene smentita.
In un contesto nel quale non si riesce a trovare precise responsabilità su nessuno degli indagati e nel quale gli inquirenti sembrano orientati a ritenere che tutti e quattro gli indagati siano responsabili del delitto in concorso tra di loro, il Giudice Istruttore di Castrovillari, il 30 maggio 1951, rimette in libertà, pur restando indagato, Salvatore De Cicco ritenendo che non esistano sufficienti indizi di colpevolezza.
Poi esce fuori che la mattina del 29 marzo, qualche ora prima dell’omicidio, Rosa Martino e suo cugino Antonio si sarebbero incontrati nell’abitato di Cassano Ionio. Per fare cosa? Per dirsi cosa?
– La mattina del 29 andai a Cassano per pagare la luce e mi incontrai con Antonio Martino il quale mi chiese se avevo visto il suo ragazzo pascolare le pecore ed io risposi affermativamente – sostiene Rosa.
– Con Rosa Martino non mi incontrai in Cassano – ribatte Antonio Martino. E potrebbero essere guai seri per tutti e due perché questa contraddizione fa tornare a galla il fidanzamento tra Antonio e Rosa prima del matrimonio di quest’ultima con Salvatore De Cicco, che mal tollerava la presenza del Martino nel suo fondo.
Non è da respingersi, pertanto, l’ipotesi che una relazione vi fosse tra i due, che tale relazione fosse a conoscenza del Conso e che i due amanti abbiano inteso liberarsi di un teste compromettente. Si ritorna alle voci che circolavano e che non erano state ritenute credibili. Tuttavia ciò non viene messo in relazione all’abilità di Antonio nel maneggio del coltello e del fatto che sia mancino.
Ma ormai le responsabilità sembrano delinearsi più chiaramente, sebbene solo su base indiziaria, e per la Procura della Repubblica è tempo di chiudere l’istruttoria e chiedere il rinvio a giudizio di Francesco De Cicco, Rosa Martino e Antonio Martino per omicidio aggravato. Salvatore De Cicco, invece, deve essere prosciolto per insufficienza di prove. È il 28 aprile 1952.
Secondo il Giudice Istruttore, a carico di Francesco De Cicco esistono due gravi elementi di accusa e cioè la macchia di sangue rinvenuta su una sua scarpa e il cambio degli indumenti indossati durante il lavoro, subito dopo la scoperta del delitto. A carico di Rosa Martino, oltre le palmari contraddizioni, vi è un indizio grave, consistente nell’occultamento di tre coltelli in un momento in cui ancora si ignorava il mezzo che aveva prodotto la morte del bambino. Antonio Martino, infine, è raggiunto da un maggior numero d’indizi ed è l’imputato, forse, che aveva più motivi per uccidere l’inerme Conso, il quale doveva sapere troppe cose che potevano essere svelate da un momento all’altro. È il 18 maggio 1952 e i tre dovranno affrontare il giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Il dibattimento comincia il 28 gennaio 1953 e dopo cinque udienze, il 14 febbraio successivo, la Corte emette la sentenza: Antonio Martino è ritenuto colpevole di omicidio volontario aggravato in persona di Salvatore Conso con l’aggravante della recidiva e condannato a 30 anni di reclusione più pene accessorie; Rosa Martino è ritenuta colpevole di concorso nello stesso delitto di omicidio aggravato e condannata a 28 anni di reclusione, più pene accessorie. Francesco De Cicco, invece, viene assolto per insufficienza di prove.
La Corte crede di individuare il movente del barbaro omicidio, e quindi il motivo della sentenza di condanna, nella relazione intima e carnale tra Antonio Martino e sua cugina Rosa che sarebbero stati sorpresi in atteggiamento adulterino dal piccolo Salvatore. Da qui il pericolo sovrastante minacciosamente che il segreto intorno a cui si era avvolta stava per essere svelato; è soltanto questo pericolo che può avere scatenato nell’animo dei due cugini il timore panico e la folle paura e quindi la improvvisa ma ferrea decisione di evitarlo a qualsiasi rischio ed a qualsiasi costo. Non era più la preoccupazione per il risentimento o della rappresaglia da parte della moglie di Antonio Martino che agitava l’animo loro e forse nemmeno l’onta e la vergogna che ricadeva sulla donna e sull’intera famiglia De Cicco: era il ricordo di un’altra tragedia che qualche anno prima aveva funestato quella casa e quella campagna, allorché il fratello di De Cicco Salvatore, poi condannato all’ergastolo, aveva ucciso la propria moglie. Quale sarebbe stata la reazione del marito di Rosa Martino nell’apprendere che il disonore e l’ignominia si abbattevano sul suo nome e sulla sua casa? la donna può perdonare il marito fedifrago perché vive sempre nel suo cuore la speranza di un ritorno dell’antico affetto e perché, comunque, senza macchia ne resta l’onor suo e quello dei suoi figli, ma non così l’uomo che vede per sempre distrutto quel focolare che con l’amore della donna custodiva gelosamente la reputazione di tutto un casato, particolarmente dalle nostre parti e particolarmente ancora in Cassano dove quell’onta si lava col sangue. Non una parola su quelle che potrebbero essere state le modalità del delitto.
I difensori dei due imputati condannati presentano immediatamente lunghi e articolati ricorsi in Corte d’Appello, ma intanto la popolazione di Cassano si mobilita con una petizione, firmata da 1289 cittadini, in favore di Rosa Martino, la quale ha sempre tenuto condotta morale illibata ed è stata additata come donna di esemplare virtù, né ha mai dato luogo a critiche o a disapprovazione sul suo comportamento di ottima moglie e di amorevole madre di famiglia.
Il 22 marzo 1954 si discute la causa presso la Corte d’Appello di Catanzaro. Il giorno dopo viene emessa la sentenza che ribalta quella di primo grado: Rosa Martino e suo cugino Antonio sono assolti per insufficienza di prove.
Per la difesa è troppo poco, devono essere assolti per non aver commesso il fatto e parte il ricorso per Cassazione perché la Corte d’Assise non ha potuto riscontrare la sussistenza di alcuna prova del reato, in violazione dell’articolo 479 del Codice di Procedura Penale che recita: l’assoluzione per insufficienza di prove presuppone la sussistenza di validi elementi di prova contro il giudicabile, peraltro non bastevoli ad affermare la di lui responsabilità in quanto contrastati da altri elementi di prova in favore.
Anche il Pubblico Ministero ricorre per Cassazione in quanto la sentenza non solo non dà assolutamente conto di quella corretta valutazione sui punti decisivi ed essenziali del processo, ma quanto le argomentazioni in essa contenute non sono affatto in piena aderenza con le risultanze processuali.
Il primo aprile 1955, la Suprema Corte di Cassazione mette la parola fine a questa triste vicenda, rigettando tutti i ricorsi presentati.[1]
Comunque vadano a finire, i processi indiziari lasciano sempre molti dubbi. La cosa certa è che per Salvatorino non c’è pace né giustizia.
[1] ASCS, Processi Penali.
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