LA PACE DELLE VESPE

Il 28 novembre 1892, a ore pomeridiane tre e minuti quaranta, nella Casa comunale di Pedace, Stanislao Piraine, venticinquenne muratore del luogo, e la quindicenne Rachele Barca si sposano, ma sembra subito che le cose non vadano particolarmente bene tra i due perché lui alza le mani. Marianna Arnone, la madre di Rachele, lo avvisa più e più volte di smetterla altrimenti si rivolgerà alla Legge per evitare altre botte a sua figlia, ma nel corso dei successivi sette anni non mette mai in atto il suo proposito.
Poi, verso il 10 agosto 1899, accade qualcosa che inasprisce ancora di più i rapporti tra genero e suocera: Stanislao manda un suo amico a chiedere la mano della figlia minore dei suoceri, Antonietta, per un suo nipote a nome Tedesco Michele. La risposta, gentile ma ferma, è no, quel matrimonio non si farà perché hanno in mente di far sposare la figlia ad un loro nipote di primo grado.
Stanislao va su tutte le furie e la sua ira si abbatte principalmente sulla suocera, considerata come quella che era più contraria al matrimonio.
Devo distruggere tutta la famiglia! – dice più volte in pubblico.
La contromossa di Marianna è, anche questa volta, la minaccia di mettere in atto la denuncia per maltrattamenti. E si va avanti così per una ventina di giorni, poi il primo settembre sembra che le cose possano davvero cambiare: Stanislao invita i suoceri e la cognata Antonietta perché voleva fare la pace.
Sembra la fine di un incubo per Costantino Barca e sua moglie Marianna. L’uomo non perde tempo e si presenta a casa di Rachele e Stanislao. Marianna ed Antonietta si attardano qualche minuto per preparare qualcosa da portare come complimento.
Caro suocero benvenuto! – lo accoglie con calore – Ma… come mai la suocera e la cognata non sono venute?
– Stanno arrivando, lo sai… le donne…
Adesso sono tutti in casa, seduti intorno al tavolo, a sorseggiare un liquore comprato da Stanislao per l’occasione e a sgranocchiare delle freselle portate da Marianna ed a suggellare la ritrovata armonia viene invitato un amico comune, Salvatore D’Ambrosio. Pacche sulle spalle, buoni propositi, risate: gli anni bui fatti di incomprensioni sembrano solo un lontano ricordo. Ci vuole un brindisi: Rachele riempie i bicchierini e tutti li alzano verso il cielo mentre Stanislao, col bicchierino nella mano sinistra, dice:
– Bevete compare Salvatore!
– No, non posso bere per primo, ci sono persone più grandi di me… – risponde educatamente indicando i suoceri del padrone di casa.
Allora Stanislao continua rivolgendosi a sua suocera:
A Mariannina ci regalo questo
In questo momento nessuno si accorge della rivoltella che luccica sinistramente nella mano destra di Stanislao, ma tutti si accorgono delle tre detonazioni in rapida successione. Marianna cade a terra senza un lamento mentre gli altri cercano una via di scampo. Rachele e sua sorella Antonietta però non si perdono d’animo e afferrano Stanislao prima che possa sparare altri colpi, buttandolo a terra. A questo punto interviene anche Costantino e tra i due nasce una furiosa colluttazione, alla fine della quale il suocero riesce a disarmare il genero ed a puntargli la rivoltella sull’orecchio, ma D’Ambrosio lo afferra dicendo:
Lascialo stare perché tua moglie non ha niente!
Costantino, rincuorato, molla la presa e Stanislao approfitta della situazione dandosela a gambe. Ma Marianna è stesa a terra esanime e il marito, bestemmiando, si lancia fuori dalla casa sparando all’impazzata contro Stanislao che sta correndo lungo la via ma, per sua fortuna, i colpi vanno a vuoto e riesce a dileguarsi nelle ombre della sera.
Accorre gente. Costantino, ancora con la rivoltella in mano urla:
– Acchiappatelo! Quell’infame mi ha tradito! Mastro Stano ha ammazzato mia moglie!
Marianna respira. Il medico le riscontra una brutta ferita al fianco sinistro, pericolosissima di vita perché il proiettile dopo essere penetrato nel tessuto muscolare per circa 4 centimetri, bruscamente cambia di direzione per disperdersi nella cavità addominale. Può dirsi che l’intestino sia stato ferito certamente nel tratto del colon discendente. Di questo il dottor Pasquale Caruso è certo perché sulla fasciatura appare quasi istantaneamente materia fecale e per tanti altri sintomi.
Il medico ha ragione, Marianna, dopo una notte di agonia, muore alle prime luci dell’alba. Adesso si procede con l’ipotesi di omicidio premeditato, ma dell’assassino non ci sono tracce.
Verso le 7 pomeridiane mi trovavo sulla piazza in procinto di andarmene a casa – racconta Salvatore D’Ambrosio – quando mi venne a chiamare una certa Parmulla che mi disse di andare a casa di Stanislao Piraine. Andai subito e appena giunto trovai i suoi suoceri, sua moglie, sua cognata e sua sorella. Stanislao mi disse: “Compare, stasera voglio fare pace con mio suocero e mia suocera”. Sua moglie faceva gli onori di casa e versava il liquore. Mentre stavamo per bere sentii tre detonazioni d’arma da fuoco e, voltatomi, vidi Stanislao con una rivoltella in mano. In questo momento successe un corri corri ed io e gli altri siamo corsi sul Piraine per mantenerlo, ma nella colluttazione costui riuscì a scappare. Dopo pochi istanti io e gli altri ci accorgemmo che la povera Marianna era stata ferita, come pure sentimmo la detonazione di altri due colpi di rivoltella, forse esplosi da Costantino Barca
Il Pretore di Spezzano Sila interroga molti testimoni per cercare di individuare il vero movente dell’omicidio e tutti sono concordi nell’affermare che tra Stanislao, sua moglie e sua suocera i litigi erano frequentissimi.
Verso la fine di giugno fui chiamato in aiuto della Rachele – racconta il vicino di casa Eugenio Morrone – perché Stanuzzu faceva delle scenate contro di essa e della suocera che era presente. Notai che era tutto agitato e dimenava le braccia facendo segni di minaccia e mostrando quasi di volersi slanciare, non ostante che la suocera per rabbonirlo lo invitasse in casa sua per dargli un po’ di prosiutto, ricotta, vino ed altro. Egli invece continuava a dimenarsi e a gridare per cui cercai di frenarlo facendolo sedere… per rivelazione di altri seppi che la suocera una volta ricorse ai Carabinieri e che, saputolo, il Piraine se ne risentì sdegnosamente. Dopo il fatto seppi che il Piraine fu indotto in quel delitto perché sdegnato per averlo la suocera denunziato ai Carabinieri a causa dei maltrattamenti verso la moglie
Qualche volta sentivo, prima che il Piraine avesse ricevuto la dote dal suocero e cioè nell’inverno scorso, litigare con la moglie ed io, interpellata costei – racconta Gaetana Morrone – ne avevo sempre per risposta che era preso a vino, argomentando da ciò che voleva scusare il marito per non soddisfare la mia curiosità. Dopo ricevuta la dote non ho inteso altre questioni. Parecchi giorni prima del fatto intesi dallo stesso Piraine che la suocera l’avesse denunciato ai Carabinieri perché aveva bastonato la moglie e notai che di questo fatto era abbastanza dispiaciuto perché, soggiungeva, che se per caso fosse avvenuto qualche malore alla moglie che trovavasi incinta, egli ne avrebbe pagato le conseguenze mentre era innocente. So che il Piraine aveva mandato a chiamare i congiunti per fare la pace e invece era avvenuta la pace delle vespe
Il fatto che Marianna si fosse rivolta ai Carabinieri, quantomeno per far fare una ramanzina al genero è una sciocchezza, probabilmente inventata da Stanislao per giustificare il suo risentimento verso i suoceri. Il movente non è certamente da ricondurre a questa supposta denuncia, ma piuttosto alle frequenti liti per le botte che Stanislao somministrava alla moglie, di cui tutti sanno. Rachele non viene nemmeno interrogata e quindi molti aspetti sono destinati a restare oscuri.
Oscuro è anche il nascondiglio dell’assassino e tutti sono convinti che avesse pianificato non solo l’omicidio, ma anche il suo ritorno in America da cui era rimpatriato pochi mesi prima del fatto.
Per il Pubblico Ministero il movente dell’omicidio è da ricondurre all’odio verso la suocera che ostacolava il matrimonio che il Piraine voleva si contraesse fra la cognata ed il nipote di esso Piraine e perché la suocera avea minacciato di ricorrere ai Carabinieri per i maltrattamenti che il Piraine usava verso la propria moglie incinta.
L’omicidio fu premeditato. La festa per la riappacificazione fu solo una simulazione per attirare la suocera (e forse anche il suocero) in una trappola mortale. La richiesta è che Stanislao Piraine sia rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione.
Il 9 novembre 1899 la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta e rinvia l’imputato, ancora latitante, al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza, ritenendo che il movente non sia da ricondurre ai motivi addotti dalla Procura, ma piuttosto al fatto che Marianna Arnone ricorse ai reali Carabinieri per le percosse dal medesimo irrogate alla propria moglie, cosa che i Carabinieri continuano ad ignorare.
Il 22 gennaio 1900 il Presidente della Corte d’Assise di Cosenza, trascorso il termine di legge, dichiara l’imputato contumace.
Il tempo trascorre senza che l’imputato sia arrestato, poi, l’8 febbraio 1901, il Brigadiere Angelico De’ Giusti, comandante la stazione di Pedace, scrive al Presidente della Corte d’Assise gli ultimi risultati delle indagini:
Da informazioni tenute da fonte sicura, il controscritto individuo risulta trovarsi in Rosario Santa Fè, via Calle Cariente N° 2052, Repubblica Argentina.
Come volevasi dimostrare.
Passano inutilmente altri cinque anni, poi viene fissata la data del giudizio in contumacia: lunedì 2 luglio 1906.
Stanislao Piraine viene condannato all’ergastolo, più pene accessorie.[1]
“Venite a prendermi, se ne siete capaci”, starà ridacchiando Stanuzzu.

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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