LA ZIA AGIATA

Nella frazione Savuto del comune di Cleto c’è un vasto fabbricato, appartenente a diversi proprietari, sito all’estremità del paese con il quale è in comunicazione attraverso un viottolo. In una delle abitazioni a pianterreno vive la sessantacinquenne Carmela Milito, ritiratasi in paese da pochi anni dopo aver lavorato come domestica in una ricca famiglia di Catanzaro. Carmela ha messo da parte una discreta somma che, agli occhi della maggior parte dei paesani, la fa considerare agiata.
Carmela ha una sorella sposata, la cinquantenne Mariantonia, il cui figlio maggiore, Domenico Carlucci di 27 anni, è il cocco di zia. Carmela gli consente di fare una vita di molto superiore alle possibilità di uno spiantato contadino e lui spende e spande infischiandosene dei rimproveri, se così si possono chiamare, di zia Carmela.
Il pomeriggio del 26 ottobre 1898 la tranquillità del fabbricato viene sconvolta dalla detonazione di un colpo di pistola.
Tutti gli abitanti del caseggiato escono dalle proprie abitazioni e si rendono subito conto che la detonazione proveniva dalla stanza di Carmela Milito. La porta è aperta e qualcuno entra: la donna è a terra, immobile, e accanto a lei c’è sua sorella, attonita.
Carmela Milito ha un buco in testa dal quale esce un fiotto di sangue misto a sostanza cerebrale spappolata, ma respira ancora.
  Che è successo? – chiedono a Mariantonia che resta muta – Che è successo? – insistono.
  Domenico… – risponde indicando la sorella.
Qualcuno parte per andare ad avvisare i Carabinieri della stazione di Aiello Calabro, ma è ormai buio e ci vorrà il pomeriggio del giorno dopo per vederli arrivare sul posto.
Il proprio nipote Carlucci, contadino del luogo non pregiudicato, secolei convivente, sapendo che ella possedeva circa £ 200, non potendole ottenere con le buone (questa è opinione di tutti) le esplose un colpo di pistola a due canne, carica a palla. La ferita, semi morta, non potè rispondere alle nostre domande. Praticato delle indagini mercè le dichiarazioni ai lati e sovrastanti al domicilio della stessa, potemmo stabilire che tra la Milito ed il nipote non avvenne alcun diverbio. Taluni videro il Carlucci fuggire con per la campagna con la pistola in mano ancora fumante. Dalla perquisizione passata al domicilio non potemmo rinvenire la somma che certamente l’infelice possedeva e riteniamo che il feritore se l’abbia appropriata, verbalizza il Brigadiere Vincenzo Valdenasi.
– È stato per pura disgrazia – assicura Mariantonia – ieri verso le 16, mentre mio figlio Domenico puliva una pistola, colpì alla testa involontariamente mia sorella Carmela. Io ero presente e posso assicurarlo. Nissuna questione fra i due precedette la disgrazia. Come madre del feritore non posso dare querela
Non farebbe una piega se non fosse per il fatto che Domenico, non avendo nulla da temere essendo stata una disgrazia, è scappato, probabilmente portandosi dietro dei soldi che appartenevano a sua zia. La cosa puzza e forse si potrà sapere di più approfondendo le indagini e leggendo i risultati dell’autopsia quando arriveranno.
I sospetti aumentano quando, da una nuova perquisizione in casa di Carmela, spunta, tutto stracciato, un libretto della cassa postale di risparmio portante il N° 85828: come mai c’è solo la copertina e mancano tutte le pagine interne? Cosa si vuole nascondere? Per saperlo bisogna chiedere al Ministero competente una copia di tutti i movimenti annotati. Quanto ci vorrà? Non importa, la giustizia, per non sbagliare, non deve avere fretta.
La ferita alla testa, dalla quale esce ancora della materia cerebrale, è ovviamente gravissima e per Carmela non ci sono speranze, si tratta solo di aspettare che la sua agonia finisca. E finisce a ore pomeridiane quattro del 29 ottobre 1898. Adesso si tratta di omicidio, poi si capirà come qualificarlo meglio.
Un primo passo avanti viene fatto con il risultato dell’autopsia effettuata davanti al magistrato. Lo spettacolo è orrendo: dalla bocca si trova versato del materiale fecale commisto a bava, per vomitazioni dovutesi verificare durante la vita, dopo l’avvenuta lesione violenta. Il ventre, il collo e il petto enormemente gonfi e tesi per lo sviluppo di gas da putrefazione avanzatissima. Il cadavere emana tale fetore che i disinfettanti e deodoranti, usati senza risparmio, appena arrivano a correggere la nausea dei componenti la giustizia e del perito settore. Superati questi momenti, si può accertare che il colpo è stato sparato dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra, cosicché il proiettile è penetrato dall’osso parietale sinistro della vittima, ha attraversato tutto il cervello, spappolandolo, e si è fermato alla base del cranio. Cosa vuol dire tutto questo? Secondo il perito vuol dire che Carmela era seduta e probabilmente suo nipote la afferrò per i capelli per tenerla ferma, sparandole in testa da pochi centimetri di distanza. Questa ricostruzione confermerebbe che non ci fu nessuna discussione tra i due e la donna fu presa alla sprovvista. Quindi, se le cose andarono davvero così, non si può parlare di incidente perché è molto improbabile, se non impossibile, che qualcuno stando in piedi e avendo una persona seduta accanto si metta a pulire una pistola carica. Domenico ha sparato per uccidere, ma potrebbe anche darsi che voleva solo minacciare pesantemente sua zia e che accidentalmente gli sia partito un colpo.
Raggiunto questo primo, importantissimo risultato, le indagini sembrano fermarsi perché nessuno vuole dire niente più che qualche frase di circostanza e gli inquirenti temono che Domenico possa espatriare clandestinamente, se non lo ha già fatto.
Si arriva così alla metà di dicembre, quando arriva l’attesa risposta del Ministero delle Poste e dei Telegrafi: gli inquirenti puntano l’attenzione sull’ultimo prelievo, 800 lire, fatto ad Aiello Calabro il 12 luglio 1897. È proprio da quell’epoca, secondo le mezze parole dette da qualche testimone, che Domenico
ha cominciato a fare la bella vita.
Adesso gli inquirenti hanno due elementi: la certezza che si tratta di omicidio, ancora non si può stabilire se preterintenzionale, volontario o premeditato e un probabile movente, i soldi della zia. Si deve fare ogni sforzo per fare parlare quanta più gente possibile, altrimenti resteranno solo sospetti.
All’improvviso, e sembra proprio un miracolo, qualcuno comincia a parlare e si cominciano a scoprire cose molto interessanti.
Si scopre, intanto, che tutti avevano paura di parlare perché Domenico si aggirava armato nei dintorni del paese, minacciando a destra e a manca. Se adesso la gente comincia a parlare vuol dire che Domenico non c’è più e la paura è passata.
Si scopre anche che Domenico aveva una tresca illecita con Maria Pucci Daniele, la quale aveva un fratello detenuto e in procinto di essere scarcerato verso i primi di novembre 1898. Temendo di lui, il Carlucci e la sua amante divisarono di partire per le Americhe e per questo Domenico chiese alla zia ancora del denaro, ma costei, sia perché non voleva dargliene, sia perché vedeva male se ne andasse con la Pucci Daniele, si rifiutò, donde le loro relazioni divennero ancora più ostili e la Pucci Daniele si permise perfino di istigare il Carlucci a strangolare la zia.
Poi gli inquirenti sono in grado di ricostruire anche la dinamica precisa dell’omicidio: il giorno 26 ottobre 1898, la Milito aveva tenuto la porta di casa chiusa e di dentro rispondeva al nipote che non voleva più aprirgli. Verso le ore 16 andò alla porta anche la madre del Carlucci e fu costei che con le sue preghiere e detti persuasivi indusse la Milito ad aprire. Carmela si sedette ma non appena Domenico, il quale è un giovane alto, entrò in casa, le puntò la pistola sulla testa dall’alto in basso, le sparò quasi a bruciapelo. Alla scena, che dovette svolgersi in pochi secondi, si trovò presente la sola madre dell’uccisore e sorella dell’uccisa. Sui primi momenti né il Carlucci, né la famiglia sua, né la madre, testimone oculare del fatto, ebbero a parlare di disgrazia, anzi tutti quei di casa tempestarono di vituperi l’uccisore e quando sopraggiunse Maria Pucci Daniele la scacciarono ed in presenza di tutti, il padre ed il fratello di Domenico dichiararono che Maria Pucci Daniele era stata la causa dell’omicidio. La discussione, violenta, ci fu, ma avvenne mentre Carmela era chiusa in casa e Domenico era fuori dalla porta.
Il Carlucci non pensò, né sul momento, né più tardi, a discolparsi con la gente manifestando che il fatto era stato accidentale e questa è una vera trovata di sua madre, a lei suggerita da pietà filiale.
Ma c’è di più: dopo poche ore dall’avvenimento Domenico si recò in casa del signor Gabriele Mileti e parlò con tutta la famiglia di lui e non ebbe una parola di lamentazione dell’immensa sciagura che gli sarebbe successa se involontariamente e non per deliberato proposito avesse ucciso sua zia. Invece pensò ai quattrini che la povera Carmela teneva in casa e chiamò sua sorella Francesca, che casualmente era in casa dei Mileti, e le disse: “Francesca, va in casa della zia, piglia quell’involto che sta nella cassa, quello che sta in cima, e portamelo”. La sorella, avendo ribrezzo di recarsi nella casa dove la zia agonizzava distesa per terra, chiese ed ottenne di essere accompagnata da Giuditta Colonna, che anche essa trovavasi in casa del signor Mileti. Quest’ultima non volle però entrare nella casa di Carmela e si fermò sull’uscio di entrata. Fu Francesca Carlucci che entrò, aprì la cassa, prese l’ involto e poi, unitamente a Giuditta, tornò indietro e lo consegnò al fratello, il quale, dopo averlo aperto, riconobbe che vi era quanto egli voleva.
Per quest’ultimo fatto finiscono in carcere Francesca Carlucci e Giuditta Colonna con l’accusa di furto. Francesca, interrogata, ammette il fatto ma nega che nell’involto ci fosse del denaro:
– Io, frequentando la casa di mia zia, sapevo che l’involto conteneva una cambiale e un biglietto. Quando consegnai l’involto a mio fratello, lo aprì dicendo: “Vediamo se vi sono la cambiale e il biglietto che vi debbono essere…”. Nego assolutamente che nell’involto si trovasse del denaro.
– Forse la cambiale e il biglietto avevano un valore…
Non avevano alcun valore perché le somme in essi portate erano state già pagate dai rispettivi debitori e mio fratello venne a pigliarseli solamente per restituirli a costoro ed evitare loro un possibile secondo pagamento
– A chi era intestata la cambiale?
– A Salvatore Nigro…
Certo, tutto potremmo aspettarci da una persona che ne ha appena uccisa un’altra, ma non che torni sui propri passi per prendere una cambiale già incassata e restituirla al debitore. E infatti gli inquirenti non ci credono e ne hanno la conferma dal diretto interessato:
– Era una cambiale di 212 lire. Sui primi del mese di agosto io pagai a Domenico Carlucci il mio debito, rimanendogli però a dare lire 60,00, per la qual cosa non potetti ritirare la cambiale. Circa quindici giorni dopo l’omicidio di Carmela Milito, mi fu offerta da Tommaso Ferraro la mia cambiale, sotto condizione che pagassi le 60 lire rimaste a dare. Io pagai al Ferraro ed ebbi restituita la cambiale che è proprio questa – conclude mettendo nelle mani del Pretore la cambiale.
Pochi giorni dopo dell’omicidio, manifestai al padre di Domenico Carlucci che costui mi doveva 42 lire per oggetti somministratigli e che intendevo di essere soddisfatto. Dopo qualche giorno mi portò, per conto di suo figlio, a firma di Lorenzo Nigro, una cambiale emessa per 212 lire, sulla quale mi disse di poter esigere 60 lire perché il resto era stato già pagato. Subito io esigetti da Nigro le 60 lire e gli restituii la cambiale. Trattenni le mie 42 lire e consegnai il resto al padre
Tutto quadra, anche se la cifra è minima; il giro di soldi c’è stato e quindi l’accusa di furto contro le due donne viene confermata. Poi si presenta una donna, Giuditta Mileti, che giura di aver visto nell’involto una banconota, forse di 100 lire. Il Pretore gliene mostra una e Giuditta la riconosce; adesso è sicura di aver visto proprio una banconota da 100 lire.
Con questi nuovi elementi, la Procura del re è pronta a chiudere l’istruttoria e trasmettere gli atti per la decisione sugli eventuali rinvii a giudizio. È il 10 febbraio 1899, ma di Domenico Carlucci non si hanno ancora notizie certe, solo la voce pubblica che lo vuole emigrato in America.
Il 6 aprile successivo la Sezione d’Accusa decide di rinviare tutti e tre gli imputati, ognuno per il reato di cui è accusato, al giudizio della Corte d’assise di Cosenza.
Il 22 novembre 1899 si tiene il dibattimento, velocissimo. Domenico Carlucci, in contumacia, viene ritenuto colpevole di omicidio volontario e furto di oggetti di valore commesso in occasione di particolare infortunio di Carmela Milito e lo condanna alla pena di 24 anni di reclusione, più pene accessorie.
Francesca Carlucci e Giuditta Colonna vengono, invece, assolte.[1]
Anche Domenico Carlucci, come molti altri in quegli anni, è riuscito a farla franca emigrando clandestinamente.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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