QUESTIONI MATRIMONIALI

Io ignoro ove nacqui e da quali genitori e per conseguenza, esposta nell’ospizio, fui presa e nutrita da Cecilia Pellegrino, madre e genitrice dei germani Giuseppe e Gennaro Orlando – la ventiquattrenne Lucrezia Garofalo tormenta il fazzoletto tra le mani mentre parla davanti al Pretore di Dipignano. È il 13 agosto 1894 –. Da circa cinque o sei anni or sono, seguendo la mia nutrice ed i germani suddetti, abitai nella torre Pantano del signor Vincenzo Aloe. Poiché un tale fondo è limite all’altro del signor Nicola Spada, coltivato da Pasquale Presta e famiglia, da tutti si era in perfetta armonia. Nel febbraio ultimo, il mio voluto germano Giuseppe Orlando, spiegò volontà di sposare Rosina Presta, figlia di Pasquale e di Carolina Aiello. La Rosina, più per seguire il desiderio dei suoi, si determinò ad accettare il partito propostole. Giuseppe Presta, figlio di Pasquale e Carolina, mostrò anche volere  di impalmare me e quindi mandò per la proposta. Gennaro Orlando, ciò vedendo, spiegò pure pretesa di sposare l’altra figlia di Pasquale e Carolina per nome Agata, ma costei fu avversata ma però, persuasa dai genitori, si determinò a rispondere affermativamente ed io, in conseguenza, venni promessa per sposa a Giuseppe Presta. Tuttavia, siccome nella società vi sono dei malevoli, da costoro si cominciò a dissuadere l’Agata, tanto che costei si pentì della parola e manifestò il tutto ai suoi genitori i quali, non potendo di proprio volere contrarre un matrimonio che non suonava alla mente della loro figlia Agata, dichiararono tale determinazione ai germani Giuseppe e Gennaro e costoro, alla loro volta, dissero: “O si solennizzano tutti i matrimoni, oppure si scioglierà tutto!”, volendo con ciò indicare che a me neppure facevano sposare Giuseppe Presta. Siccome io avevo messo molta passione a Giuseppe, ciò osservando, dieci o dodici giorni or sono, me ne fuggii in una torre là presso e, poiché avevo prestato l’opera mia per l’elasso di 20 e più anni in casa della Pellegrino e figli Orlando, credetti prendermi i pochi mobili di panni che mi avevo fatti per passare a marito. Ad un tale passo fui determinata dall’amore che avevo messo in Giuseppe da mio proprio volere e non già che ebbi qualche insinuazione dal mio futuro sposo e dai di costui genitori o dal resto di loro casa. Dimorata perciò fuori casa per giorni cinque, nel sesto me ne andai a coabitare col mio fidanzato il quale mi accolse e fu sollecito di presentarsi uno a me al Parroco Maio ed al Segretario Municipale di Paterno onde da parte di essi eseguirsi le debite bandizioni, onde verificarsi conchiudere il nostro legale matrimonio. Stavano così le cose quando, a ciel sereno, nella sera del 29 luglio, inaspettata ci giunse la triste nuova
Il 29 luglio 1894, al tramonto del sole, Carolina Aiello esce di casa con due orciuoli per andare a prendere l’acqua alla fontana di contrada Pantano, in territorio di Paterno Calabro, distante circa 800 metri. Nei pressi della fontana c’è il tredicenne Salvatore Marrello che sta facendo pascolare alcuni animali bovini. Il ragazzo vede avvicinarsi Carolina, che passa oltre, seguita da Gennaro Orlando che cammina con le mani incrociate dietro la schiena, stringendo una scure.
Rafele addu’è? – gli chiede Gennaro riferendosi ad altro novenne garzone.
Unn’u sacciu… – gli risponde Salvatore, mentre Gennaro prosegue verso la fontana.
Trascorso nemmeno un minuto, il ragazzo sente quattro rombi di colpi di scure e tre grida di dolore della Aiello e dopo il Gennaro che va verso le alture di esso fondo. Salvatore è curioso e va a vedere cosa è successo ma, alla vista di Carolina tutta intrisa di sangue, caduta a terra e boccheggiante, scappa terrorizzato e corre ad avvertire i familiari della donna e lungo il tragitto incontra i fratelli di Gennaro che tornano dalla campagna carichi di enormi fasci di erba fresca per gli animali. Quando i familiari di Carolina arrivano sul posto la trovano già morta con la testa spaccata.
Il Brigadiere Angelo Tenducci, comandante la stazione di Dipignano, con i suoi uomini arriva sul posto poco prima di mezzanotte e comincia a indagare. Gli raccontano più o meno ciò che abbiamo letto sopra e per Tenducci la prima cosa da fare è circondare la casa degli Orlando e aspettare l’alba per fare irruzione, visto che di notte senza un’ordinanza specifica non si può. Alle 5,00 irrompono nella torre e la perquisiscono da cima a fondo, non tanto per trovare Gennaro, che ovviamente non c’è, quanto per rinvenire qualche traccia del reato ma con esito negativo sol perché il colpevole, dopo commesso il delitto non si recò affatto in sua casa.
La dichiarazione dell’unico testimone oculare, il ragazzo Salvatore Marrello, vuole nelle immediate vicinanze del luogo del delitto i due fratelli dell’assassino, Giuseppe e Salvatore, ed è quindi normale che nascano forti sospetti sulla loro partecipazione al fatto, ma il fresco vedovo della povera Carolina, il sessantacinquenne Pasquale Presta, nella querela orale che sporge contro Gaetano Orlando esclude categoricamente questa possibilità:
Non posso ritenere che Giuseppe e Salvatore fossero stati a parte della ferocia del Gennaro, ma avvertivano indirettamente il buono e per conseguenza, escludendo i due Giuseppe e Salvatore tanto perché furono assenti quando il Gennaro premeditatamente perpetrò l’uccisione di mia moglie, quanto per non avere alcuno interesse in ciò fare, essendo il Giuseppe voluto bene dalla mia figlia Rosina. In conseguenza espongo formale querela, con istanza di punizione e riserba dell’azione civile, contro il Gennaro Orlando.
In verità Pasquale Presta dice anche altre cose molto importanti sul contesto in cui è maturato il delitto:
Otto o nove giorni or sono, imbattendomi con Salvatore Orlando, lo stesso mi disse le parole: “Incoraggiati le tue figlie, altrimenti la cosa non cade giusta…” volendo significare che io mi avrei dovuto imporre all’Agata di unirsi col Gennaro. Io risposi: “Se le mie figlie incontrano piacere e gli donano confidenza, cadrà giusta, altrimenti avverrà il contrario…”. Lo stesso Salvatore aggiunse: “D’altronde non si ha con te, ma con Carolina…” alludendo alla infelice mia moglie.
Un avvertimento bello e buono, se non addirittura una minaccia, ma Salvatore Orlando dice di non saperne niente:
Io ignoro la causa che spinse il mio germano ad agire in quel modo, stante che ignoro qualsiasi manifestazione che avesse potuto costui fare sull’argomento. Conosco d’altronde che tanto il Gennaro che Giuseppe volevano impalmare le due figlie dell’Aiello, come equalmente il Giuseppe Presta voleva impalmare la nostra sorella bastarda Lucrezia, ma poi, non essendosi potuti conchiudere i progettati matrimoni di essi miei fratelli, le cose rimasero appese, ognuno facendosi i propri affari.
– Ci risulta che otto o nove giorni prima del tragico fatto avete incontrato Pasquale Presta e gli avete, come dire, consigliato di convincere Agata a sposare Gennaro e che l’ostacolo principale era sua moglie…
Non è vero, anzi non lo vidi e neppure torto potevo esprimere perché nessuno precedente sinistro o rancore i predetti miei germani avevano manifestato.
Intanto l’autopsia chiarisce gli effetti dei quattro colpi di scure inferti sulla testa di Carolina Aiello: le prime tre lesioni, prodotte da scure che ha agito premendo e tagliando, sono tutte profonde fino all’osso, il quale è fratturato in tutta la sua estensione, cioè dalla regione sopra orbitaria sinistra sino alla regione occipitale dello stesso lato. L’ultima lesione prodotta sulla regione temporale sinistra, di forma quadrata, è stata prodotta col rovescio della stessa scure. Una violenza che non poteva lasciare scampo.
Tanto basta alla Procura Generale, il 6 ottobre 1894, per dichiarare chiusa l’istruttoria e chiedere il rinvio a giudizio di Gennaro Orlando con l’accusa di omicidio premeditato, escludendo che si possa trattare di un delitto d’onore, come sostiene Gennaro Orlando nel suo interrogatorio, delitto dovuto alla fuga di Lucrezia e alla sua conseguente perdita della verginità ad opera di Giuseppe Presta, perché tra lui e Lucrezia non esiste alcun legame di parentela, d’altra parte sia lui che suo fratello Salvatore la definiscono sorella bastarda.
La Sezione d’Accusa, il 30 ottobre successivo, accoglie la richiesta e destina l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Il dibattimento inizia e termina il 14 dicembre 1894, quando la giuria lo salva dall’ergastolo escludendo l’aggravante della premeditazione e lo condanna a 15 anni e 10 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie.
Il 28 marzo 1895 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Gennaro e la pena è definitiva.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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