I PRETI E I SAGRESTANI DI BUCITA

– Domani mattina anticipiamo la messa di una qualche mezz’ora, poi devo fare un’imbasciata – dice don Antonio Cribari, ventiseienne parroco della parrocchia di Santa Lucia della frazione Bucita di San Fili, al sagrestano Domenico Guccione. È la sera del 21 novembre 1905.

Così, ligio all’ordine impartitogli, alle 6 ½ del 22 novembre Guccione bussa alla porta di casa di don Antonio per farsi dare le ampolline col vino e con l’acqua, che dovevano servire per la celebrazione della messa. Gli apre il fratello del prete, Camillo, gli consegna le ampolline e gli dice di cominciare ad andare in chiesa per suonare le campane perché don Antonio sta finendo di vestirsi e arriverà tra pochi minuti. Guccione esegue e va in chiesa entrando dalla porta laterale, che lascia aperta, posa le ampolline sull’altare maggiore e sale sul campanile per dare il consueto avviso ai fedeli. Distrattamente si affaccia dal finestrone che dà sulla strada laterale alla chiesa, quella dove c’è la porta secondaria che ha lasciato aperta e nota Fiore Cavaliere, l’ex sagrestano, nell’atto che usciva da casa sua, la quale è situata in fondo alla strada suddetta e fa quasi angolo colla facciata della chiesa, ma il tetto della chiesa stessa gli impedisce di osservare la direzione che ha preso Cavaliere o se sia entrato nel luogo sacro. Dopo circa 8 minuti di scampanata, Guccione rientra in chiesa e subito dopo arriva don Antonio il quale, dopo essersi vestito, comincia a celebrare la messa. Al momento stabilito versa un po’ di vino nel calice, lo consacra, lo mischia con qualche goccia di acqua e lo beve. Fa una smorfia di disgusto, il vino è imbevibile, ha un sapore metallico, gli sembra di bere del rame liquido che gli irrita la gola. Gli salgono dei conati di vomito, ma cerca di resistere e continua a dire la messa. Quando si accorge che non ce la fa più, frettolosamente termina con un imbarazzato ite, missa est e corre in sagrestia dove comincia a vomitare. Adesso gli sembra di sentirsi meglio e pensa bene di andarsene a Gesuiti, il suo paesino d’origine, dove suo padre ha una farmacia, e per percorrere i pochi chilometri si fa accompagnare da un parrocchiano con un calesse, avendo l’accortezza di portare con sé le ampolline e, passato dalla casa di Bucita, anche la bottiglietta con il vino che ha dato al sagrestano. Suo padre gli somministra un contro – veleno, un purgante di olio di ricino, che lo fa vomitare di nuovo, poi mandano a chiamare il dottor Oscar Caracciolo il quale, odorato e messo alle labbra il vino che ha bevuto don Antonio, non ha dubbi: il vino è stato avvelenato con del sublimato corrosivo! Caracciolo ha l’accortezza di sigillare i due contenitori del vino e di andarli a portare ai Carabinieri di Montalto Uffugo.
– Avete dei sospetti su qualcuno? Potrebbe essere stato il sagrestano? – gli chiede il Vicebrigadiere Francesco D’Osvaldo.
– No, non ho alcun sospetto che a mettere il suddetto sublimato nel vino sia stato il Guccione.
Ma sospettare del sagrestano è d’obbligo, visto che ha avuto in mano le ampolline e tutto il tempo necessario per versare il sublimato nel vino, così viene subito interrogato e sottoposto a perquisizione domiciliare, che non dà alcun esito.
– Quando sono arrivato in chiesa, nelle vicinanze non c’era nessuno e anche in chiesa non c’era nessuno perché era ben chiusa. Però quando sono andato a suonare le campane dal finestrone ho visto Fiore Cavaliere che usciva da casa, ma non posso dire se è entrato in chiesa… quando sono rientrato in chiesa, questa era ancora vuota.
– Sospettate che possa essere stato lui?
– Cavaliere nutre odio verso don Antonio perché vorrebbe che parroco di Bucita fosse nominato il sacerdote Salvatore Chianelli del luogo, suo nipote. Anche don Salvatore non è in troppo buono accordo col Parroco Cribari pel motivo che costui è stato prescelto a Parroco di Bucita in sua vece. Inoltre io sono stato prescelto come sagrestano della Chiesa Madre dal parroco Chiappetta che oggi si trova a Montalto Uffugo e poiché al posto sudetto agognava anche Fiore Cavaliere, ritengo che costui sia un po’ meco in collera, tanto più che egli era sagrestano prima che lo fossi io… e poi c’è un’ultima cosa… giorni dietro Fiore Cavaliere ebbe da Francesco Saccomanno l’incarico di dar la corda all’orologio che è situato sul campanile della chiesa, durante i pochi giorni che fu ammalato. Ebbene, si permise di dire a Carolina Cavaliere, alla quale io spesso affido la chiave della chiesa per ripulirla, che ove non avesse lasciato a sua disposizione la chiave della chiesa, avrebbe fatto in modo che tanto il Parroco che il Sagrestano non fossero più scesi per quella strada. Ritengo che il Cavaliere avesse voluto con tali parole fare una minaccia all’indirizzo mio e del Parroco.
– Ma don Antonio è ben visto in paese? Non è che si è fatto altri nemici?
In questa frazione esistono due partiti, l’uno per Chianelli, l’altro per Cribari, i quali, lo ripeto, non vanno d’accordo fra loro
– Quindi voi sospettate che a tentare di avvelenare don Antonio sia stato Fiore Cavaliere, forse istigato da don Salvatore Chianelli…
Ignoro chi possa essere stato, né posso esprimere sospetti contro alcuno… – beh, lo ha appena fatto!
Fiore Cavaliere viene interrogato e la sua casa perquisita senza esito, ma per il momento è impensabile perquisire anche l’abitazione di don Salvatore e interrogarlo. Si vedrà in seguito se sarà necessario.
Cavaliere, cinquantunenne barbiere, si difende:
Sono stato sagrestano della Chiesa Madre di Bucita, ma da 11 o 12 anni non lo sono stato più, né ho brigato per esserlo. Quel giorno in cui si sparse la voce ch’era stato tentato un avvelenamento contro il parroco, di mattina sono uscito per andare a fare barbe e non sono passato o entrato in chiesa, vicino alla quale ho la mia abitazione. Io non ho alcun motivo di risentimento contro il parroco Cribari, il quale da poco tempo è venuto a Bucita.
– E che mi dite di vostro nipote don Salvatore Chianelli? È vero che aspira alla parrocchia di Bucita?
– Non è vero, sia perché egli è parroco altrove e sia perché non poteva esserlo
– E dell’orologio della chiesa che mi dite? Pare che abbiate usato parole grosse, addirittura minacce al parroco…
– Ebbi, per due o tre giorni, l’incarico di caricare l’orologio della chiesa perché Saccomanno era malato e perciò mi recai da Carolina Cavaliere a richiederle la chiave, ma ciò feci con modi cortesi e senza fare allusioni o minacce di sorta
Cavaliere indica le persone dai quali è andato, quel giorno, per radere la barba e questi confermano. D’altra parte non c’è nessuna prova che sia davvero entrato in chiesa e quindi non viene preso alcun provvedimento contro di lui. Ciò che comincia ad emergere dalle indagini è l’atteggiamento un po’ superbo di don Salvatore che spadroneggiava alquanto in chiesa, nel che gli faceva eco anche la propria famiglia, incluso il Cavaliere Fiore. Voci, nient’altro che voci. Ma siccome le voci girano e coinvolgono due preti, la questione potrebbe cominciare a scottare da un momento all’altro, così viene mandato da Cosenza a Bucita, per supportare i Carabinieri, il Delegato di P.S. Bianchi, il quale fornisce al Pretore di Rende precise indicazioni su come procedere nelle indagini: …urgerebbe a suo avviso far procedere ad urgente, accurata perquisizione nel negozio e domicilio di Saccomanno Francesco da Bucita perché mi è risultato che detto individuo vende dei medicinali velenosi e la di lui moglie è legata a vincoli di parentela con la famiglia Chianelli e Fiore Cavaliere che, pare, siano gravemente indiziati quali autori del reato
Bianchi sembra non avere dubbi e il Pretore fa eseguire le perquisizioni che, anche questa volta, non danno esito: nel negozio ci sono solo chinino dello Stato, Bicarbonato, andacido, magnesia, acido tartarico, sale celato di soda, olio di mandorla e di rigine, cotone fenicato e garza. Il Brigadiere Tito però guarda anche i registri del negozio e scopre qualcosa veramente interessante: risulta che il Saccomanno l’anno scorso per mezzo del sig. Palermo Pietro, attualmente in America, fece venire da Napoli una quantità di subblimato corrosivo il quale, in seguito, fu venduto la maggior parte alla famiglia di Miniace Arturo, a Mazzulla Francesco ed un’ultima pastiglia, 40 giorni fa, venne acquistata da una certa Bottino Cristina. Risulta in oltre che, essendo acceduto sul posto l’Ill.mo Sig. Pretore per l’interrogazione dei testimoni, nel citare la teste Cavalieri Carolina si presentò alla stessa la cognata dell’indiziato Cavaliere Fiore a nome Lucchetta Maddalena, dicendogli di non dire a detto magistrato nulla della minaccia e di parlare semplicemente della chiave della chiesa, altrimenti sarebbero stati rovinati, soggiungendogli di dire questa bugia, che poi se l’avrebbe a confessare con un altro prete e fare ciò per amore del crocifisso. Contemporaneamente sopraggiunse pure la moglie del Cavaliere Fiore, sorella della suddetta Lucchetta, a nome Angela, anche questa pregava alla Cavaliere Carolina di non palesare nulla al Giudice e che altrimenti sarebbero rovinati, esclamando: “e tu!……..”.
Beh, se Carolina Cavaliere confermasse questa circostanza, potrebbero essere guai seri per l’ex sagrestano di Bucita. Potrebbero. E questo puntualmente avviene ma è la parola di Carolina contro quella delle altre due donne e tutto rimane solo un sospetto, insufficiente a fare emettere un qualsiasi provvedimento a carico dell’ex sagrestano.

Passano inutilmente alcuni mesi. L’unica novità è che si decide di fare analizzare le poche gocce di vino rimaste nell’ampollina e, mentre la perizia chimica conferma che, mischiato al vino, c’era davvero sublimato corrosivo, immessa sotto forma di pastiglia per ottenere l’immediata soluzione, e che don Antonio ingerì ben poco liquido altrimenti le conseguenze di salute sarebbero state ben più gravi e durature, emergono forti sospetti che Fiore Cavaliere possa allontanarsi dal regno per andarsene negli Stati Uniti, visto che è in possesso di un regolare passaporto per l’estero e quindi bisogna adoperarsi subito per procedere al suo arresto cautelare. Come fare, visto che a suo carico ci sono solo parole? Il rebus lo risolve don Antonio Cribari che va dal Pretore di Rende e sporge querela contro l’ex sagrestano. Ma il mistero si infittisce quando emergono anche dubbi sul fatto che il prete abbia davvero bevuto il vino avvelenato perché, a controllare bene, i sintomi da lui accusati non corrispondono esattamente ai sintomi che dovrebbero riscontrarsi dopo l’ingestione, seppure in piccola quantità, di sublimato corrosivo. Ci vorrà qualche giorno per fugare questi dubbi e quando viene emesso un mandato di comparizione per Fiore Cavaliere, questi è sparito dalla circolazione e con lui il suo passaporto. Adesso che è scappato, è certo che sia lui il colpevole e così vengono mandati telegrammi a tutte le stazioni dei Carabinieri e a tutti i porti da dove ci si può imbarcare per attraversare l’oceano Atlantico. E il 30 aprile 1906 arriva la notizia sperata: alle ore 14 nell’ufficio visita per gli emigranti alla Nuova Stazione Marittima del porto di Napoli viene intercettato Fiore Cavaliere e ne viene impedita la partenza e sequestrato il passaporto perché imputato di tentato avvelenamento.

Tradotto a Cosenza con i ferri ai polsi, viene subito rinchiuso nel carcere cittadino e interrogato:
Sono innocente come Cristo! – protesta vivacemente – Non avevo nessuna ragione per avvelenare don Antonio, nessun interesse ed inoltre siamo amici. Dodici anni fa ero sagrestano, ma se mi avesse fatto piacere di ritornare a quel posto, non sarei stato, da allora fin adesso, due volte in America. A me non interessa perché devo fare il barbiere e non il sagrestano. Se il Sacerdote Cribari mi vuole autore del mancato avvelenamento è proprio un peccato ed egli mi vuol male a torto.
– Tutto il paese vi accusa…
Io solo vi rispondo che sono chiaro come Iddio!
– C’è una testimone che accusa vostra moglie e vostra cognata di averla minacciata per farla mentire alla giustizia al fine di non compromettervi…
Non può essere che i miei parenti abbiano fatto minacce.
– Vi faccio mettere a confronto con la testimone.
È inutile che voi mi portiate davanti la testimone perché quando uno ti vuol male, ripete sempre la stessa cosa.
– Ma se siete innocente come dite di essere, perché stavate scappando in America?
Non ho inteso partire clandestinamente per l’America, tanto vero che ho chiesto regolarmente all’autorità competente il mio passaporto. Non avevo nemmeno volontà di ritornare in America e mi ci indussi perché richiesto di aiuto da parte di Giuditta Giorno, moglie del mio figliastro, residente a New York, il tutto come risulta dall’atto di espatrio che vi mostro – dice esibendo un documento con tanto di bolli, visti notarili, visti consolari e regolari firme di due testimoni come da prassi.
L’errore di aver tentato, ingenuamente o fraudolentemente, di lasciare l’Italia gli costa caro: per il Pubblico Ministero è il tassello che mancava per convincersi della sua colpevolezza e chiederne il rinvio a giudizio, richiesta che viene accolta il 15 settembre 1906.
Quando, il 14 dicembre successivo, comincia il dibattimento, tutti scommettono che in una o due udienze si arriverà a sentenza, ma tutti perdono perché in udienza cominciano a scoppiare vere e proprie bombe.
– Fiore Cavaliere ha fatto il sagrestano per 15 o 20 anni nella Chiesa di Santa Lucia e si è comportato tanto male entrando ubbriaco colà e profferiva anche delle bestemmie – esordisce Giuditta Giorno rispondendo alla domanda dell’avvocato di parte civile Nicola Serra – non omettendo pure d’orinare nella stessa chiesa. Una volta orinò sopra l’organo che era di rimpetto all’altare maggiore e ciò fu notato da quelli ch’erano in chiesa. La popolazione, scandalizzata di ciò, non avendo altro mezzo per farlo cessare dalle funzioni di sagrestano, abbattè la detta chiesa, che poscia fu ricostruita con danaro dello stesso popolo.
Cosa? Abbattere una chiesa per togliere di mezzo un sagrestano? No, questa è una cosa a cui non si può credere. Ma, quando a sedersi al banco dei testimoni è don Alfredo Chiappetta, ex parroco di Bucita, lo scetticismo sulla veridicità del racconto di Giuditta Giorno svanisce:
– Mi furono fatte premure continuate di far riammettere il Cavaliere come sagrestano, sia dalla sua famiglia che dal procuratore del tempo e da altri, ma le minacce che le donnicciuole mi riferivano fatte contro di me dal Cavaliere non m’intimorivano punto. Anche le persone di sua famiglia, nel raccomandarmelo, riconoscevano che non si era comportato bene come sagrestano, ma se lo avessi riammesso, guidato da me, non sarebbe caduto in peccato perché non si sarebbe ubbriacato più. Il pubblico lo accusava di avere fatto egli speculazione della cera, comprandola e rivendendola in chiesa, di avere maltrattato il precedente parroco e una volta con averlo fatto cadere dall’altare; un’altra volta con l’averlo apostrofato mentre suonava l’organo “Zitto, tu sei una bestia!”, spesso si ubbriacava e orinava in chiesa.
– Esisteva un cesso in chiesa? – gli chiede il Pubblico Ministero.
Nella chiesa di Santa Lucia non vi è cesso, ma per un piccolo bisogno si può andare, attraversando la porta del campanile, in un’altra stanza abbandonata. Se qualcuno avesse orinato proprio sulla porta del campanile ed anche in discreta quantità, l’orina poteva bene spandersi vicino l’altare maggiore
– Quale era la considerazione dei fedeli nei confronti del Cavaliere?
Il popolo era tutto contro il Cavaliere e mi fece sentire per bocca di diverse persone il divieto di non poterlo riammettere come sagrestano, facendomi il dilemma “o voi o lui”. Come fondamento di questa avversione da parte del popolo, si faceva quel che di già ho detto, il modo come si era comportato quando era sagrestano, ragione per cui, a fargli perdere tale qualità, il popolo abbattette la chiesa che, sì, era male ridotta, non però pericolante come si vorrebbe far credere da qualcuno. Vi fu un giorno in cui il popolo mi fece sentire che ove il Cavaliere avesse potuto tornare a sagrestano, mentre altra volta avevano diroccato la chiesa di giorno, l’avrebbero ora rovinata di notte, poco curandosi della spesa che sosterrebbero per la riedificazione e dell’abbattimento di essa.
– Avete ricevuto pressioni anche per don Salvatore Chianelli?
Per mio mezzo furono fatte premure a Monsignore per essere parroco di Bucita, volendo che dalla parrocchia di Magli dove si trovava in quella qualità, fosse tramutato al suo paese. Il Vescovo mi
rispose ed io riferii al Chianelli che non poteva ordinare tale tramutamento in suo favore in vista che egli non aveva ottenuto ancora il Regio Placet per la nomina di parroco a Magli, però il concorso alla parrocchia di Bucita era libero e non sarebbe stato impedito al Chianelli di farne parte, ove lo avesse voluto
Ma pare che don Salvatore, al di là delle premure richieste per ottenere la parrocchia di Bucita, non ne avesse i requisiti e per questo motivo non partecipò al concorso di cui ha parlato don Chiappetta.
Michele Giorno rincara la dose:
Il Cavaliere sin da quando era ragazzo è stato sagrestano a Santa Lucia di Bucita. Il popolo, dopo la lotta e la tempesta in cui il Cavaliere l’aveva messo da circa 40 anni, recisamente non lo voleva più come sagrestano e a tutti i parroci, come al Chiappetta, così al Cribari, ha espresso l’ordine di non riammetterlo in chiesa. Vi posso dire che tutti i parroci che si sono succeduti in Bucita, per causa di lui sono stati processati perché non lo volevano come sagrestano. Mi spiego meglio: il Cavaliere a tutti i parroci che sono venuti nella chiesa di Santa Lucia li ha denunziati a Monsignore
È la volta di don Vincenzo De Filippis, fratello di uno degli ex parroci di Bucita a descrivere la personalità dell’imputato:
Il Cavaliere era sagrestano all’epoca in cui mio fratello era parroco di Bucita, dal 1875 al 1899. Egli ben profittò della bontà di mio fratello e lo indusse suo schiavo. Costui lo beffeggiava anche in chiesa e lo percoteva anche sull’altare, tanto che gli ha fatto uscire l’ernia. Lo aveva ridotto in condizioni miserrime facendo propri tutti i proventi della parrocchia e mio fratello faceva debiti per vivere. Io, vedendo in rovina mio fratello, feci proposta di fare cambio della parrocchia, cioè di andare io a Bucita e lui venire a Gesuiti. Ne parlai a Monsignore che di buon grado acconsentì al cambiamento. Manifestai a mio fratello la risposta del Vescovo e quando ne passò lui la parola al Cavaliere, costui che lo teneva in possesso, gl’impose di non prestare il consenso presso il Capo della Diocesi. Fu allora che, disperato, emigrai per aiutare con l’opera mia la famiglia. Vi riuscii e, ritornato, trovai mio fratello nella più squallida miseria, tanto che per lui dovetti fare debiti in mio nome
Paolo Serra, chiarendo alcune voci che avrebbero voluto addossare a Cavaliere anche la pratica della stregoneria, dice:
Il Cavaliere ha esercitato in Bucita spesso l’arte salutare, prestandosi a medicare coloro che erano affetti da angina catarrale e da reumi. Non mai si è inteso che l’abbia fatta da stregone e non so se abbia mai distribuito medicinali.
Ma c’è anche chi difende l’ex sagrestano. Raffaele Pellegrino sostiene che:
Io ritengo il Cavaliere incapace a commettere simile reato perché era ritenuto un “mezzano”, cioè incapace di far male. Ritengo pure che la voce corsa ad accusare il Cavaliere sia un fenomeno di psicologia collettiva, per quelle coscienze ch’erano state preparate a tanto nella chiesa, avendo il parroco fatto una predica lamentando di essersi tentato di avvelenarlo. 
E c’è chi accusa il parroco Antonio Cribari. Francesco Palermo dice:  
So soltanto, per detto altrui, che il parroco Cribari abbia accompagnato i testimoni a Rende e gli abbia fornito i mezzi; anzi da alcuni fu detto che da dietro la porta il parroco ascoltava le deposizioni dei testi – ma le sue parole non trovano alcuna conferma.
Fiore Cavaliere si difende strenuamente dalle accuse, ma non riesce a portare elementi concreti che smentiscano i testimoni a suo carico, né per i suoi burrascosi trascorsi da sagrestano, né, cosa più pericolosa per la sua libertà, per quanto riguarda il tentato veneficio per il quale è a processo, impresa nella quale non riescono nemmeno gli altri testi a discarico. L’accusa ha così gioco facile nel chiederne la condanna, sulla base di una sola testimonianza che lo colloca accanto alla porta secondaria della chiesa mentre le campane annunciavano la messa del 22 novembre 1905.
Il 15 dicembre 1906 la Corte lo condanna a 8 anni di reclusione e pene accessorie per tentato veneficio.
La Suprema Corte di Cassazione, il 21 maggio 1907 rigetta il ricorso presentato dall’imputato.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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