STOFFA DI DELINQUENTE

La casa colonica del vedovo Pasquale Petrone è posta sulla sommità di una collinetta da cui si domina il fondo “Piantata di Filiberto” che fa parte delle proprietà del signor Francesco Trentacapilli, in contrada Mucone di Bisignano, di cui Petrone è fittavolo. La mattina del 4 luglio 1920, domenica, Pasquale va in paese con i figli Francesco, Annicella e Umile per partecipare alla messa, l’altro figlio Antonio conduce i buoi al pascolo e in casa restano i due minori, Luigi di 16 anni e Assunta di 10.
Luigi è seduto al tavolo della cucina e si sta esercitando a scrivere, mentre Assunta è seduta all’ombra davanti alla porta di casa con lo sguardo perso verso la campagna sottostante, quando la sua attenzione è risvegliata dalla vista di un paio di persone che si inoltrano tra i salici sulle rive del fiume Mucone
– Luì… Luigi… vedi che ci sono delle persone che stanno andando nei salici… – Assunta avvisa il fratello che si alza, prende un frustino di gelso ed esce di casa mentre risponde ruttando e passandosi una mano sullo stomaco:
Ho sete… i peperoni mi hanno messo la sete, vai all’acqua.
Luigi si dirige verso il boschetto di salici e la sorellina va alla fontana che si trova dalla parte opposta. È l’ora del morsello, la merenda che solitamente si fa tra le 9,00 e le 10,00. Assunta torna a casa dopo quasi due ore perché d’estate scorre poca acqua e le persone in fila sono tante, ma Luigi non c’è e la bambina pensa che sia andato al pascolo a parlare con il fratello Antonio. Quando, però, questi rientra e le chiede di Luigi, lei gli racconta l’episodio della mattina. Antonio pensa subito che sia potuta accadere qualcosa e scende verso il boschetto a passo svelto, mentre Assunta lo osserva e lo vede entrare tra gli alberi. Poi un urlo straziante e la brezza di mezzogiorno che porta i singhiozzi di Antonio:
Malanova! Malanova!
Assunta spalanca la bocca. Non sa cosa pensare e non si accorge che alle sue spalle ci sono Annicella e Umile che la prende in braccio e si mette a correre verso il boschetto.
Antonio è in ginocchio che piange e si strappa i capelli. Bocconi accanto a lui c’è Luigi. Morto.
I Carabinieri vengono avvisati solo verso le sei del pomeriggio e accorrono più in fretta che possono. Riparato dal sole da rami freschi situati dalle persone accorse, trovano il cadavere del povero Luigi. È vicino a un roveto, un po’ piegato sul lato destro e col viso quasi affondato nella sabbia. Accanto al corpo ci sono un cappello nero, un fascetto di salici scorzati ed altri sciolti con la corteggia. A 4 metri all’ingiù del cadavere quattro bastoni, mentre uno intriso di sangue è vicino alla mano sinistra del cadavere.
Il Vicebrigadiere Annibale Mungo, comandante ad interim della stazione di Bisignano, lascia un Carabiniere a piantonare il cadavere e comincia a indagare, in attesa che arrivino il Pretore e un medico.
Mungo si imbatte nella ventiduenne Angela Santoro, la quale gli racconta di aver visto all’ora del morsello, mentre lavava i panni, due giovanotti che l’hanno presa in giro e poi si sono diretti verso il boschetto nella Piantata di Filiberto.
– Sono ripassati dopo un’ora e mezza – continua la donna – e andavano di corsa. Uno aveva la camicia piena di sangue…
– Li hai riconosciuti?
– No, ma questa bambina che era con me sa come si chiama uno dei due… – dice indicando la dodicenne Caterina Prezioso.
– Annunziato si chiama, ma il cognome non lo so…
Mungo pensa che quella sia una buona pista e se la bambina ha visto bene, il giovanotto non può che essere della zona. Quanti giovanotti ci sono in contrada Mucone che si chiamano Annunziato? Presto detto: uno solo. Il sedicenne Annunziato Mango.
Ma ormai è buio e il Vicebrigadiere rimanda tutto alla mattina successiva perché il Pretore non è ancora arrivato e quindi non ha l’autorizzazione ad effettuare l’arresto nottetempo.
Il 5 luglio, alle 8,00, va a casa del ragazzo e gli nota subito dei graffi sospetti sul viso, così decide di portarlo in caserma e torchiarlo per bene, ma Annunziato nega tutto. I graffi? Risalgono a quattro o cinque giorni prima, giura l’indiziato.
È ormai pomeriggio quando arrivano sul posto il Pretore di Acri e il dottor Francesco Boscarelli che, fatto portare la salma nella camera mortuaria del cimitero, denuda il cadavere e nota, delle grosse abrasioni a forma di falce sulle scapole, e diverse abrasioni sulle spalle e sulle gambe, prodotte facilmente da colpi di tallone con scarpe chiodate; ma è la ferita da punta e taglio nella regione dello sterno, penetrante in cavità, che ha sicuramente causato la morte di Luigi Petrone.
Il Vicebrigadiere torna in caserma col dottor Boscarelli e gli fa vedere i graffi sul viso di Annunziato che vengono giudicati molto superficiali ma recentissimi.
– Allora come la mettiamo? Come te li sei fatti quei graffi? – urla più volte Mungo al ragazzo che resiste e nega, ma dopo un po’ scoppia in lacrime e, singhiozzando, confessa:
– Sono stato io…
– Racconta tutto per bene.
– Ieri mattina verso le 6,00 io e il mio amico Francesco Mantovano, abitiamo vicini in contrada Rio Siccagnu, siamo andati a tagliare dei virgulti di salici per costruire cestini nei rinacchi (greto) del fiume. Dopo averne raccolto un mazzetto ciascuno, li scorticammo, indi ci avviammo per ritornare a casa. Passando però per il bosco del signor Trentacapilli ci fermammo un poco parlando a voce piuttosto alta per cercare altri ramoscelli di salice. Ne avevamo staccati alquanti, quando ci raggiunse Luigi Petrone, armato di un grosso e lungo palo di legno. Cominciò col rimproverarci perché ci eravamo recati nel suo fondo e ci eravamo impossessati dei salici che erano suoi e bisognavano a lui. Noi dapprima negammo, poi gli dichiarammo d’avere tagliato nel suo fondo quei pochi ramoscelli non ancora scorticati che tenevamo in mano; ma lui dicendo “qui non ci dovete più venire” dette uno scappellotto al mio compagno ed uno a me facendomi cadere a terra colle mani in avanti. il Mantovano non reagì perché aveva paura del Petrone, io invece mi risentii e protestai dicendogli di finirla e costui, di nuovo, mi fece cadere nel vicino roveto e così mi sono fatto i graffi…
– E poi?
Mi rizzai adirato e, mentre lui stava per volgersi contro il Mantovano, forse per gettarlo pure nel roveto, mi feci davanti a lui col coltello a serramanico ed acuminato che avevo cavato dalla tasca del pantalone e lo ferii in pieno petto ed io, spaventato, me ne fuggii. Anche il mio compagno se ne fuggì dal lato opposto. Ci riunimmo, però, un po’ più in là e ritornammo insieme a casa
– Perché lo avete colpito a bastonate e lo avete preso a calci con scarpe chiodate? Non vi bastava averlo accoltellato?
– Non avevamo bastoni e non mi spiego come mai c’erano dei bastoni sul posto… non lo abbiamo nemmeno calpestato e né io né il mio compagno avevamo scarpe ai piedi… d’estate costumiamo andare scalzi
– Secondo il medico il coltello era a lama fissa perché un coltello a serramanico non avrebbe potuto rompere lo sterno e penetrare per circa sette centimetri nel torace, e c’è voluto un colpo violentissimo per fare tutto questo… tu che dici?
– Io avevo un coltello a serramanico lungo in tutto sette o otto centimetri che ho buttato ma non ricordo dove… io volevo ferire il Petrone ma non ucciderlo
Ovviamente anche il quattordicenne Francesco Mantovano viene arrestato e la sostanza delle sue dichiarazioni è del tutto identica a quella dell’amico, tanto da far nascere il sospetto di essersi col medesimo messo prima di accordo, poi però aggiunge qualcosa che inguaia l’amico.
– “Perché siete venuti qui, chi vi ha dato il permesso? Lasciate i salici!” ci disse Petrone. Io che avevo paura di lui per la sua prepotenza mi dissi pronto a lasciargli anche i salici raccolti nei rinacchi. Mi dette uno schiaffo e poi se la prese con Annunziato e, afferratolo per il collo, lo buttò in un roveto facendolo cadere con la faccia in giù. Indi si fermò a guardarlo. Il Mango sostò alquanto tra le spine piangendo, poi uscì fuori e si collocò di rimpetto al Petrone tenendo gli occhi in giù ed alzandoli di tanto in tanto verso costui. Assunse un atteggiamento pensieroso e teneva le braccia distese e cadenti. L’altro lo guardava alquanto distratto, come se la cosa fosse finita, quando il Mango, ad un tratto, gli allungò un colpo di pugnale al petto.
– Pugnale?
-Si, lo aveva in una tasca del pantalone. La punta, coperta da un pezzettino di canna, gli usciva fuori. Nell’atto in cui fu vibrato il colpo distinsi bene il pugnale, tagliente ai due lati ed acuminato, con lama lunga otto o nove centimetri e manico di legno più corto della lama.
– Ne sei sicuro?
Dico questo perché il manico era tutto compreso nel pugno di Annunziato. Lo stesso, alquanti giorni prima, mi aveva detto di avere fatto lui il manico del pugnale.
– E dopo vibrato il colpo?
Io, spaventato, me ne fuggii da una parte, il Mango dall’altra, inseguito per una quindicina di metri dal ferito, poi li perdetti di vista perché gli alberi mi impedivano di guardare. Dopo un quarto d’ora incontrai il Mango alla fontanella e mi disse che forse il ferito era morto e mi pregò di stare zitto e non raccontare l’accaduto ad alcuno. Piangeva. Io per lo spavento fui colto dalla febbre, rincasai e mi misi a letto.
– Avevate le scarpe?
– No, eravamo scalzi… sono innocente, liberatemi… – termina piangendo.
Il problema per i due giovanotti è che La bambina Caterina Prezioso giura di averli visti con le scarpe ai piedi e mantiene questa versione anche nei due confronti che le fanno sostenere con gli imputati. Di più c’è che il dodicenne Umile Pignataro e suo cugino Giuseppe, diciottenne, fermati con altri ragazzi nell’immediatezza del fatto, dicono di avere ascoltato con le proprie orecchie Annunziato Mango raccontare nella camera di sicurezza come sarebbero davvero andati i fatti: Voleva i salici, avrebbe detto Mango ai compagni di cella, ma né io né Mantovano glieli abbiamo voluti dare ed allora lui dette uno “scoppolo” al mio compagno e gettò me nello “specciale”. Mantovano gli dette tre palate di dietro e mentre Petrone stava per volgersi verso costui, io mi alzai e gli vibrai una coltellata al petto in preda alla rabbia, senza però volerlo ammazzare. Francesco non voleva che io ritornassi indietro, ma io per assicurarmi se il Petrone fosse morto o vivo, tornai tre volte indietro a menarlo per finirlo del tutto se no potevano arrestarmi.
Le cose sembrano mettersi davvero male per i due.
L’avvocato Francesco D’Andrea, difensore di Mantovano, chiede al Procuratore del re un atto di umanità nei confronti del ragazzino che, a suo dire, non ha commesso alcun reato; egli è stato vittima della violenza del Petrone perché fu schiaffeggiato e percosso e per sottrarsi ad ulteriori maltrattamenti pensò bene a scappare. Chiedo un immediato provvedimento di scarcerazione. Mi permetto di far rilevare che il mio difeso non ha ancora compiuto i quindici anni e non ha in precedenza riportato alcuna condanna per delitto, onde in suo favore subito si può applicare la disposizione dell’art. 324 Cod.Proc. Pen. disponendo che sia affidato al Sindaco di Bisignano o all’Istituto Vittorio Emanuele II in Cosenza. questa richiesta è però subordinata alla prima.
L’avvocato di parte civile Pietro Mancini, la pensa in modo diametralmente opposto: È uno – Petrone – che ha di fronte due; legati assieme dal malefatto, legati dalla sorpresa, legati dall’ira contro Petrone. Sono due compagni che si sono associati a rubare, che sono associati dagli eventi, che reagiscono contro il Petrone l’uno con un bastone, l’altro con pugnale e quindi non può l’uno scompagnarsi dall’altro. Vi è nelle precise linee morali e giuridiche la correità! Solo i ciechi non la vedono.
Quando dalla Procura di Cosenza viene chiesto il rinvio a giudizio per i due giovani imputati con l’accusa di correità in omicidio volontario e furto semplice, si ha subito il sentore che ci saranno dei problemi. Il Procuratore Generale di Catanzaro non ritiene credibili i cugini Pignataro e di conseguenza contro Francesco Mantovano non c’è niente e in più è un ragazzino, così chiede per lui il non luogo a procedere per il reato di correità in omicidio, mentre ne chiede il rinvio a giudizio per il furto semplice del valore stimato di 10 centesimi. Per Annunziato Mango non ci sono dubbi, è reo confesso.
Anche questa volta l’avvocato Mancini protesta duramente per quello che ritiene una lettura frettolosa, forse un malinteso segno d’indulgenza e si appella ai Giudici della Sezione d’Accusa ma questi concordano con l’impostazione della Procura Generale e prosciolgono Francesco Mantovano dall’accusa più grave.
Il 15 novembre 1922 la Corte d’Assise di Cosenza, accorda ad Annunziato Mango le attenuanti generiche e l’attenuante della provocazione non grave e, considerato che la pena da applicarsi per il reato di omicidio volontario nei confronti dei minori di anni 18 deve essere compresa tra i sei e i 12 anni di reclusione, stima giusto partire da sei anni, i quali ridotti di un terzo per la provocazione scenderanno ad anni quattro e poi ad anni tre e mesi quattro per le concesse attenuanti.
Per quanto riguarda il reato di furto semplice, che coinvolge anche Francesco Mantovano, la Corte ritiene che non ci sia stato reato e assolve entrambi gli imputati.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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