IL BALLO DELLA MORTE

– Compà, come mai il patrigno e lo zio della sposa non hanno accettato il complimento del pranzo?
– Non sai niente? Pare che non erano favorevoli al matrimonio…
– Eppure stamattina al Municipio c’erano…
– Quello che conta è il pranzo, lo sai…
È il 23 aprile 1925 e a Grisolia si sta festeggiando il matrimonio di Antonio e Pasqualina. L’assenza del patrigno e dello zio della sposa fa discutere la ventina di invitati che sta mangiando in casa della madre dello sposo, la vedova Angela Basuino. Alle 14,00 il pranzo termina e gli invitati, tolti i tavolini dalla stanza, si mettono a ballare e cantare al suono di una zampogna, ma il divertimento dura poco: sulla porta di casa compaiono Giuseppe Pignata e Giovannino Ritondale, rispettivamente patrigno e zio della sposa, che sembrano piuttosto ubriachi e cominciano a fare i prepotenti.
Largo! Largo che vogliamo ballare noi! – urlano. Tutti si spostano perché sanno che sono tipi da prendere con le molle.
– Porta fuori Giovannino che lo vedo male… – consiglia Maria Marino a Pignata, trattenendolo per un attimo da un braccio.
Lascialo fottere! – le risponde liberandosi dalla stretta e i due si lanciano in sfrenate tarantelle con ardite giravolte. Poi Pignata prende il suo cappello e quello di Ritondale, li posa a terra nel centro della stanza e con aria di sfida dice:
– Vediamo chi ha il coraggio di pestarli! – tutti guardano prima i cappelli e poi il bianco del calcio della rivoltella che tiene appesa alla cintura. Gli invitati si appiattiscono lungo i muri per non essere d’ostacolo ai due e, soprattutto, per non buscarsi qualche pallottola. I due scambiaronsi un segno d’intelligenza mettendosi l’indice della mano sulla fronte, poi Ritondale dice all’amico:
Siamo pronti?                             
Non ancora – gli risponde Pignata, senza che nessuno capisca cosa abbiano voluto intendere.
All’improvviso una bambina sfugge dal controllo del padre, fa un passo avanti e viene violentemente urtata da Giovannino Ritondale che la fa finire a gambe all’aria.
– Stai attento animale! – gli urla Gaetano Cauteruccio, il padre della bambina.
– Parla con rispetto, bestia! – gli risponde Ritondale. A questo punto la rissa è inevitabile e cominciano a volare gli schiaffi fra i due. Qualcuno si mette in mezzo per dividerli ma si tira subito indietro dopo averle buscate.
Pignata fa una mossa all’apparenza strana: anziché intervenire per aiutare l’amico, indietreggia e si mette in mezzo alla porta della casa, come a voler sbarrare la strada a chi volesse uscire.
Largo! Largo per la Madonna! – urla Pignata mentre indietreggia e un attimo dopo tutti lo vedono con la rivoltella stretta in mano e il braccio teso verso il centro della stanza. Tre fiammate e tre detonazioni. Tutti, in preda al panico, cercano scampo tentando di entrare nell’altra stanza della casa. Qualcuno si butta a terra. Anche Ritondale e Cauteruccio hanno le rivoltelle in mano e comincia una furibonda sparatoria, ma nessuno capisce chi spara contro chi. Troppa la paura, troppo il fumo acre che impedisce di vedere e di respirare. Si sentono dei lamenti; qualcuno è stato sicuramente colpito. Poi il silenzio.
Pignata barcollando scende i tre gradini della casa e poi crolla a terra. Morto.
Ritondale, tenendosi una mano al petto dal quale esce un fiotto di sangue, si allontana. Anche Cauteruccio si allontana premendosi un fazzoletto sulla guancia trapassata da un proiettile.
Il Brigadiere Giovanni Bramanti ha il suo bel da fare per ricostruire la dinamica della sparatoria perché molte cose non quadrano: sul posto viene repertata solo una rivoltella di tipo Smith & Wesson, di medio calibro a cinque colpi, appartenente al morto, nel cui tamburo ci sono tre bossoli e due cartucce inesplose. E le altre due armi? I testimoni, vuoi per lo spavento e vuoi per proteggere gli amici, dicono di non essere sicuri che Ritondale e Cauteruccio fossero armati, anche se sono sicuri di avere sentito non meno di sette detonazioni e che siano stati esplosi più di tre colpi è confermato dai tre fori nel muro che conservano dei frammenti di piombo. I due fuggitivi sono rintracciati subito nelle loro abitazioni e quando il medico visita Ritondale una cosa appare subito chiara: il proiettile che viene ritrovato nella sua camicia dopo avergli attraversato la mammella sinistra in modo superficiale, è di un calibro più piccolo dei proiettili trovati nella rivoltella di Pignata. Quindi almeno due rivoltelle hanno sparato durante la festa di matrimonio.
Ritondale e Pignata entrarono in casa con un contegno provocatorio, tanto che spingendo or uno, or l’altro invitato, fecero cadere quasi artatamente una mia bambina. Allora io, dando quasi amichevolmente un colpo sulla spalla del Ritondale, gli dissi che non era quello il modo di comportarsi e che se volevano continuare a restare dovevano rispettare le persone che erano in casa. Allora, tanto il Ritondale che il Pignata, cominciarono a tirare colpi all’impazzata e uno dei colpi mi raggiunse alla bocca. Non distinsi però, nella confusione, se mi ferì il Ritondale od il Pignata. Io allora cercai di allontanarmi in una stanza attigua ed allontanandomi tirai un colpo di rivoltella, senza però avere l’intenzione di ferire nessuno, ma di intimidire sia il Ritondale che il Pignata, dopo di che mi fecero entrare nella stanza e non vidi altro. Solo quando uscii vidi il Pignata morto per terra nei pressi della porta di casa… sono innocente… – così ricostruisce i fatti Gaetano Cauteruccio che non rivela che tipo di arma avesse. Ma è già un passo avanti, sebbene i conti ancora non tornino.
Sono innocente dei reati che mi contestate di omicidio in rissa, di lesioni in rissa e di mancata denunzia di armi – esordisce Giovanni Ritondale, che continua –. Mentre stavamo ballando io e mio cognato Pignata, inavvedutamente colpimmo una bambina di Cauteruccio che cadde per terra. A questo il Cauteruccio si risentì e si lagnò con me. Io gli feci osservare che non avevo colpa nel fatto, al che il Cauteruccio mi diede due schiaffi. Il Cauteruccio allora mise fuori la rivoltella sparando diversi colpi, uno dei quali mi colpì alla regione mammellare sinistra. Non è punto vero che anch’io abbia tirato colpi di rivoltella, che né allora, né prima ho mai posseduto; quello che è certo è che io non appena colpito fui afferrato da mia cognata Mazza Filomena e da Basuino Angela ed in questo mentre vidi sparare dei colpi al Pignata ed al Cauteruccio
Il Brigadiere Bramanti è molto scettico, ma il problema, se non si troveranno le armi, esiste realmente anche perché i due imputati evidentemente godono delle testimonianze di favore dei presenti al fatto. Bramanti trova un solo testimone disposto, dopo molte insistenze e minacce di arresto per reticenza, a rivelare che la rivoltella di Cauteruccio era una Smith & Wesson di medio calibro, ma è comunque costretto ad ammettere: non è stato affatto possibile assodare quale dei due abbia ferito e quale abbia ucciso. Forse l’autopsia potrà chiarire qualcosa.
Il proiettile, che appartiene ad arma di grosso calibro, ha percorso un tragitto obliquo che va dall’alto in basso, dall’esterno all’interno e da destra a sinistra. Tale proiettile ha leso prima il lobo del polmone destro, ha spezzato l’arteria polmonare del lato omonimo, ha leso il pericardio e ha poi leso l’inizio dell’aorta ascendente nel punto d’inserzione del cuore. Il proiettile, proseguendo il suo tragitto, ha leso il terzo lobo del polmone sinistro, ha frantumato il margine della sesta costola, senza fuoriuscire e sarà andato facilmente a disperdersi nella regione scapolare sinistra, oppure nella massa muscolare costo-lombare.
Stando a quanto dicono i periti, a colpire mortalmente Pignata non dovrebbe essere stato Cauteruccio il quale, secondo il testimone, sarebbe stato in possesso di una rivoltella di medio calibro, mentre la pallottola che ha ucciso Pignata era di grosso calibro. Facile pensare, a questo punto, a Ritondale, ma senza l’arma e senza testimoni che dicano chiaramente di averlo visto sparare, non ci può essere certezza.
Però ci potrebbe essere un mezzo per stabilire chi ha sparato: la posizione dei tre nella stanza rapportate alle traiettorie dei colpi, ma nessuno dei presenti è in grado (o ha voglia) di ricordare le posizioni dei tre.
Io ero a tre passi di fronte al Pignata. Il Ritondale ed il Cauteruccio dovevano trovarsi alle mie spalle ed un po’ più di lato… rimasi così attonita e confusa che non potei seguire i particolari della scena… – dice la quarantatreenne Angela Basuino.
Tutti sparavano, non si capiva niente in quella confusione e io, data la paura per me e la sorte di mia moglie, non riconobbi nessuno degli sparatori – racconta Antonio Crusco, lo sposo.
Come dargli torto?
La questione resta insoluta e non c’è verso di far rivelare agli imputati dove hanno nascosto le armi. Si tenterà di portarli a processo sulla base del poco che si è accertato, ipotizzando che a sparare il colpo mortale contro Pignata sia stato Gaetano Cauteruccio. La Sezione d’Accusa ritiene sufficienti gli elementi presentati dalla Procura Generale del re e rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza Gaetano Cauteruccio con la duplice accusa di omicidio volontario in danno di Giuseppe Pignata e di mancato omicidio nei confronti di Giovanni Ritondale. Rinvia a giudizio anche quest’ultimo con l’accusa di complicità corrispettiva con l’ucciso Pignata e di mancato omicidio nei confronti di Cauteruccio. Inoltre, entrambi dovranno rispondere del reato di porto abusivo di arma da fuoco e del relativo mancato pagamento della concessione governativa.
Il 15 luglio 1926 si apre il dibattimento, nel corso del quale non viene chiarito nessun aspetto oscuro della vicenda, ma la Giuria si convince che Gaetano Cauteruccio ha sparato perché trovavasi costretto dalla necessità di respingere da sé una violenza attuale ed ingiusta e lo assolve. Ma si convince anche che Giovanni Ritondale non ha sparato nemmeno un colpo e assolve anche lui.[1]
Delle due, l’una: o Giuseppe Pignata ha ferito sia Cauteruccio che Ritondale, o tra gli invitati c’era un quarto uomo armato che, nella confusione di quei momenti, sparò non visto da alcuno.

 

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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