La mattina del 9 settembre 1934 Francesco Petrasso sta guidando le pecore al pascolo in contrada Difesa di Montalto Uffugo. Sente delle voci concitate. Riconosce quella del suo vicino di casa Francesco Vanelli – i due abitano nella frazione Parantoro – che dice:
– Perché maltratti continuamente tua moglie? Essa è una stupida che non ti denuncia. Un’altra volta che la maltratti ti denuncio io!
Petrasso sa a chi si riferisce Vanelli e quando l’altra persona risponde col tono di chi fa il finto tonto, ha la conferma che è Michele Galatro, sposato con la figliastra del primo.
– Perché mi denunci?
Incuriosito dalla piega che potrebbe prendere la discussione, Petrasso si avvicina ai due, mantenendosi al riparo di una macchia di alberi per non farsi vedere. All’improvviso Vanelli colpisce Galatro alla testa col suo bastone da pecoraio. Alla vista del sangue che cola sul viso dell’aggredito, Petrasso salta fuori e divide i due litiganti che sembrano riappacificarsi subito. Tranquillizzato, il pastore riprende la sua strada girandosi spesso per controllare la situazione e vede Galatro colpire alle spalle Vanelli con un’accetta. Torna indietro correndo e quando arriva sul posto i due litiganti sono per terra avvinghiati l’uno all’altro che se le danno di santa ragione. Il sangue è dappertutto. Vanelli, che adesso ha preso il sopravvento ed è sopra all’avversario, perde sangue dalle spalle e dalla testa. Galatro è tempestato selvaggiamente da violentissime bastonate sul capo. Riesce di nuovo a dividerli ma si rende subito conto che sono tutti e due feriti gravemente. Proprio in questo momento sopraggiunge sul posto un figlio di Vanelli con il gregge.
– Porta subito tuo padre da un medico ch’è ferito grave…
– Si. E Michele? – gli fa il ragazzino.
– Non lo vedi com’è ridotto? Quando arrivi dal medico vedi se qualcuno lo viene a prendere… se lo trovano vivo… io devo andare con le pecore…
Il dottor Giovanni Catanzaro è stupito da come abbia fatto Vanelli ad arrivare fino in paese con i suoi piedi senza stramazzare a terra morto con quelle bruttissime ferite che sanguinano a fiotti: Una ferita da taglio lunga circa cm 10 quasi orizzontale alla regione scapolare destra, interessante i muscoli della regione sottospinosa e la scapola; una ferita anche da taglio alla regione parieto-temporale sinistra interessante a tutto spessore la scatola cranica e che mette allo scoperto l’encefalo.
– Bisogna portarlo subito in ospedale… vai a trovare qualcuno con un’autovettura e porta questo biglietto al Maresciallo… sbrigati se no tuo padre mi muore qui nello studio!
Il ragazzo sbriga tutto in pochi minuti e Vanelli parte a tutta velocità verso l’ospedale. Anche il Maresciallo Maggiore Francesco Diana è velocissimo e arriva in montagna mentre Galatro, sorretto dalla moglie e da un paesano sta scendendo in paese. Diana si accorge che le ferite sono gravissime e fa portare anche lui in ospedale, non prima, però, di avergli fatto delle domande sulla dinamica dei fatti. Molto a stento, Galatro risponde:
– Si intrometteva nei fatti di casa mia… ha cominciato lui… poi io l’ho colpito…
I due vengono piantonati e per i medici le condizioni più gravi sono quelle di Michele Galatro al quale vengono riscontrate quattro ferite lacero-contuse nella regione occipitale interessanti il cuoio capelluto; due ferite lacero-contuse nella regione parietale destra, interessanti il tavolato osseo; una ferita lacero-contusa bozza frontale destra con frattura ed avvallamento del sottostante osso: ferita lacero-contusa sul sopracciglio sinistro con frattura del contorno orbitario superiore ed ecchimosi palpebrale; ferita lacero-contusa nella regione temporale sinistra con frattura del fronte zigomatico ed osso molare; ferita lacero-contusa orecchio sinistro con perdita anatomica del lobulo; ferita lacero-contusa regione fronto-parietale destra con frattura del parietale e del contorno orbitale superiore. Una violenza inaudita che gli ha ridotto la testa in un informe ammasso di carne e ossa sanguinolenti.
Dopo due giorni di lenta agonia, Michele Galatro muore, senza che fosse stato possibile interrogarlo, e il perito incaricato dell’autopsia ritiene che è inutile procedere visto come è ridotto il cranio. Vanelli migliora e si salva miracolosamente: contro di lui viene spiccato mandato di cattura per omicidio e viene trasferito in carcere. Interrogato, fornisce una versione diversa dei fatti rispetto a quella raccontata dall’unico testimone oculare:
– La mattina dell’8 corrente, incontratomi col Galatro in campagna ed avendo saputo che egli aveva ancora una volta fatto delle scenate con la moglie, lo avvertii di smetterla una buona volta, minacciandolo di denunziarlo al Maresciallo dei Carabinieri. Egli mi rispose che del Maresciallo poco s’interessava. Di parola a parola venimmo alle mani e nella zuffa io mi feci male, non so come, ad un polso e per respingere il Galatro lo colpii leggermente con un bastone, di cui ero munito, sulla testa. Ci divise certo Petrasso Francesco che si trovava presente alla lite e sembrava che tutto fosse finito, quando il Galatro mi raggiunse nuovamente dicendomi: “Oggi o io t’ammazzo o tu ammazzi me”. Gli risposi: “Vai in pace, quello ch’è stato è stato”, ma egli mi si avventò contro e cominciò a menarmi colpi di scure producendomi le ferite che sapete. Io allora, mezzo stordito dai colpi ricevuti, e sentendomi gravemente ferito, al solo scopo di difendermi, lo colpii ripetutamente col bastone…
Interrogato nuovamente Francesco Petrasso per chiarire come mai nel primo interrogatorio non ha detto al Maresciallo Diana di aver sentito le minacce che Galatro avrebbe rivolto a Vanelli, semmai le avesse sentite:
– Dopo quasi dieci minuti ho visto il Galatro armato di scure avvicinare il Vanelli, intento a pascolare le pecore, e pronunziando le parole: “Oggi o t’ammazzo o m’ammazzi”, lo colpì con la scure in testa. Accorsi nuovamente sul posto e trovai i due per terra feriti.
Se le cose stanno così è chiaramente un caso di legittima difesa e infatti il Procuratore Generale del re chiede al Giudice Istruttore di archiviare il caso.
Poiché dall’esame degli atti istruttori è risultato che l’imputato Vanelli Francesco commise il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendersi, ne ordina la scarcerazione se non detenuto per altra causa. È il 21 febbraio 1935.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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