DUE SOLDI DI POLVERE

Sono le 20,30 del 29 giugno 1904 e la pattuglia dei Carabinieri di Verbicaro, in servizio alla fiera di San Pietro che si tiene ogni anno nella frazione Brasi, sta tornando in caserma percorrendo la strada che passa da Grisolia. C’è un certo fermento in strada e il vociare concitato di molte persone attira l’attenzione dei militari che subito si informano su cosa stia accadendo.

– Hanno sparato a Fioravante Capalbo vicino a Sant’Antonio! È stato Salvatore De Marco! Una revolverata!
Le voci si accavallano e la gente si accalca intorno ai Carabinieri che cercano di mettere ordine. Qualcuno si offre di accompagnarli sul posto e nel frattempo narra per sommi capi ciò che è successo. I nominati Capalbo Fioravante, d’anni 14 calzolaio e De Marco Salvatore, d’anni 17 fabbro ferraio, entrambi di Grisolia, per futili motivi e vecchi rancori erano venuti a parole che passarono poscia ai fatti e nonostante l’intromissione dei testimoni presenti al fatto, il De Marco, estratta da sotto la giacca una rivoltella, che ignorasi il calibro e la dimensione, esplodeva un colpo di dett’arma contro l’avversario ferendolo sotto l’ascella destra, che fattosi visitare all’uopo dal medico condotto del Comune, Adduci Francesco, questi lo dichiarò guaribile in 20 giorni salvo complicanze.
I Carabinieri cambiano itinerario e si fanno accompagnare a casa del ferito, constatano che le sue condizioni non sono gravi e vanno col consigliere comunale facente le funzioni di Sindaco, Raffaele De Patto, a casa del feritore e la perquisiscono da cima a fondo ma non trovano né lui, né la rivoltella.
Poi tornano dal ferito per ascoltare la sua versione dei fatti:
– Oggi pomeriggio sono andato al fiume tra Grisolia e Maierà nel quale si è soliti prendere il bagno. Fra i tanti c’era anche Salvatore De Marco. Preso il bagno ci mettemmo a scherzare ed intanto vennero a quistione il De Marco con certo Giovannino De Biase. Il primo spingeva il secondo e, siccome c’era pericolo che De Biase, spinto, potesse cadere laggiù nel fiume, io consigliai il De Marco a smettere. Egli si adontò e mi disse: “Ti vuoi forse fare avanti anche tu per essere spinto?”; io gli risposi: “Fammici andare” e quegli mi venne incontro afferrandomi. In questo mentre fui spinto da un altro fra i tanti compagni che c’erano ed io e il De Marco cademmo a terra. Ci alzammo e mentre ci accingevamo a ritornare in paese ed io parlavo con Servidio Albino, il De Marco mi assestò un calcio nella regione sacrale. Io chiesi il perché ed egli di rimando: “Questo è niente!”. io, adontato, glielo restituii e ci accapigliammo ed egli mi lacerò la giacca e mi graffiò al collo. Intromessisi i compagni ci divisero e ci avviammo al paese e De Marco ci precedette. Verso le diciannove e mezza, uscito di casa, mi recai verso S. Antonio dove si è soliti fare la passeggiata e, proprio giunto al largo S. Antonio, De Marco Celestino e Servidio Albino mi informarono che il De Marco Salvatore era andato ad armarsi di pistola in casa e dopo si era recato dalla cognata De Marco Barbara ad armarsi di un’altra arma, revolver, quale arma il De Marco era solito nascondere in casa di detta cognata. Intanto non mi accorsi che che veniva dietro De Marco Salvatore il quale, raggiunta la nostra comitiva, esplose un colpo di rivoltella, che fece cieca, contro Guaglianone Salvatore ed indi, senza por tempo in mezzo, fulmineamente diresse l’arma contro di me e ne sparò un colpo che mi colpì sotto l’ascella destra ed io caddi a terra quasi morto
Allucinante! Ma bisogna verificare tutto per bene perché se così fossero davvero andate le cose si tratterebbe di tentato omicidio premeditato. Intanto il medico verifica che il ragazzo ha una vasta ecchimosi nella zona sacrale e il calcio lo ha preso quasi certamente.
I Carabinieri, che nel frattempo hanno rinvenuto sul luogo del delitto una pistola ad avancarica, rintracciano ad uno ad uno tutti i ragazzi della compagnia e si fanno raccontare i fatti.
Prima dell’avemaria ero nel largo S. Antonio e vidi salire dal fiume De Marco Salvatore e Capalbo che quistionavano e il secondo diede un calcio al primo, quando poco dopo il De Marco dicendo “Ah! Mi hai dato un calcio!” estrasse una rivoltella e sparò un colpo contro il Capalbo che cadde ferito – racconta Fedele Crusco, spostando indietro di un paio di ore il fatto e quasi attribuendone la responsabilità a Fioravante.
– De Marco e Capalbo avevano litigato mentre tornavamo dal fiume – racconta Alfonso De Marco –. Arrivati in paese, De Marco andò a prendere la rivoltella a casa della cognata e la acconciava alla cintura per non farla sporgere troppo. Più tardi, alla piana, disse al Fioravante che qui già si trovava: “Mò se hai coraggio andiamo al largo” ed il Fioravante, giovane di coraggio, rispose: “Andiamo, non ti temo, due mani hai tu e due ne ho io!”. Si incamminarono verso S. Antonio in compagnia di altri amici. Io rimasi dov’ero e verso mezz’ora di notte intesi un colpo d’arma da fuoco, susseguito da un altro – l’orario combacia con quello indicato dalla vittima ma non coincide il numero dei colpi sparati.
“Andiamo verso S. Antonio e mò si vedono i cuori degli amici!” ha detto De Marco a Fioravante che in mia compagnia e di Antonio Ritondale si avviò verso il largo S. Antonio. là fummo raggiunti dal De Marco, accompagnato da altri, e fermatosi, estraendo una rivoltella che impugnò colla destra ed armata la sinistra di una pistola, disse tono minaccioso al Fioravante: “Fatti avanti mò, figlio di puttana!”. Io mi slanciai in mezzo per impedire tristi conseguenze ed il De Marco, puntando contro di me la rivoltella, disse: “Fatti indietro!” ed alla mia insistenza tirò il colpo che fece cilecca; io violentemente mi scostai e il De Marco, avvicinandosi fulmineamente contro il Fioravante che era più in là e cercava di nascondersi, gli esplose quasi a bruciapelo un colpo di rivoltella e se la diede a gambe scavalcando la siepe ed in quest’atto sentii un altro colpo, diverso dal primo. Credo sia partito dalla pistola che il De Marco avea in mano e che trovammo poscia per terra
Passa qualche giorno più di un mese e di Salvatore De Marco non si hanno notizie, mentre le notizie che riguardano Fioravante sono cattive: il dottor Adduci certifica la cicatrizzazione della ferita da arma da fuoco, ma osserva nella regione sacrale una vasta piaga imbutiforme profonda verso il centro per l’avvenuto distacco di un’escara della grandezza del palmo di una mano, più due nuove piaghe vicino a quella più vasta. L’esame del torace non mostra niente di nuovo e nel frattempo è sopraggiunta la paralisi degli arti inferiori e la perdita di sensibilità della vescica e del retto. Tenuto conto delle lesioni descritte, nonché della vastità raggiunta, della spiccata tendenza, anziché dell’arresto, ad un progrediente generale processo di mortificazione dei tessuti e degli altri sintomi che permangono tuttora, ritengo che nella vita del Capalbo perdura il pericolo. È il 25 luglio 1904.
Il 2 agosto Fioravante muore. L’autopsia, eseguita dallo stesso dottor Adduci, chiarirà che il proiettile, rinvenuto nella colonna vertebrale frantumato in 3 pezzi (uno dei quali non verrà ritrovato) ha provocato una emorragia interna aggravata dal processo gangrenoso degli organi colpiti, probabilmente dovuto alla posizione che il già Capalbo ebbe costantemente a tenere durante il corso della malattia. Questo processo gangrenoso s’origina da lesione che il Fioravante Capalbo ebbe a riportare nella regione sacrale in seguito ad azione di corpo contundente. Tale lesione prodotta da corpo contundente, in origine doveva essere non molto estesa; man mano però si è andata allargando fino a raggiungere le dimensioni alquanto più vasta di una mano e profonda fino all’osso, la quale lesione fa osservare che il coccige è fratturato. Processo gangrenoso dal decubito costantemente tenuto e dal contatto, forse, con materiali fecali.
Due giorni dopo la morte del povero Fioravante, Salvatore De Marco si costituisce e racconta la sua versione dei fatti. Forse non sa ciò che hanno dichiarato i testimoni oculari e le spara davvero grosse:
– Andai al fiume per riempire dei barili di acqua e trovai Fioravante Capalbo ed altri che prendevano il bagno. Io mi misi a parlare con un certo De Biase Giovanni quando ad un tratto il Fioravante, venuto incontro a noi due, spinse me che caddi per terra, sopra di me cadde De Biase e sopra di questi si mise il Fioravante. Credendo si trattasse di uno scherzo mi alzai e con gli altri mi disposi a salire, quando vicino al mulino il Fioravante mi raggiunse e mi menò cinque o sei calci ed un pugno alla bocca. Non contento di ciò estrasse uno stile e mi avrebbe ucciso se non fosse sopraggiunto il De Marco Genuzzo il quale lo trattenne e gli disse: “ma lascialo stare!” ed il Fioravante a quello: “Sta attento chè meno anche a te” e poi al mio indirizzo: “Figlio di puttana non ho timore di te, stasera ti ucciderò”. Io me ne andai per evitare la quistione. Dopo l’imbrunire uscii di casa e siccome avevo una pistola scarica, temendo che mia madre me la prendesse, la misi in tasca per nasconderla nella stalla. Intanto trovai in piazza il Genuzzo De Marco il quale m’invitò a fare una passeggiata verso S. Antonio. Genuzzo tastatomi nelle tasche per vedere se avessi pane si accorse che avevo la pistola, mi domandò se fosse carica ed alla mia risposta negativa mi disse che aveva della polvere e dei pallini e mi invitò a dargli la pistola per caricarla e tirare un colpo a bersaglio per divertimento. Per combinazione mi trovavo un tubetto ed allettato dal divertimento diedi al Genuzzo la pistola ed il tubetto ed egli lo caricò mettendovi pochi pallini. Eravamo al largo di S. Antonio ed era un’ora di notte e toccò a me di tirare il colpo, ma dovetti subito nascondere la pistola perché sopravvenne Fioravante Capalbo con diversi amici. Il Fioravante, minaccioso, mi disse: “Ancora ti vedo davanti a me?” ed io: “Ma che cosa ti faccio? La via è larga e v’è posto per tutti, però me ne vado”. “No che non te ne vai e dove vai tu vengo io” aggiunse ed estrasse lo stile lanciandosi contro di me e dicendo: “O io ammazzo te o tu ammazzi me” e menò un colpo che io parai con la mano e scappai; egli allora mi venne dietro e mi sparò contro un colpo di pistola seguito da altri colpi che furono sparati dagli altri compagni ed io non fui colpito perché ebbi l’avvedutezza di gettarmi a terra, però mi rialzai subito estraendo a mia volta la pistola perché il Fioravante mi stava già addosso con in una mano lo stile e nell’altra la pistola da cui partì un colpo che fortunatamente deviò ed io, allora, temendo maggiori conseguenze, per salvare la mia vita in pericolo, esplosi il colpo della pistola e corsi via portando con me la pistola in quel momento non supposi che il Capalbo fosse stato colpito perché esplosi il colpo voltando le spalle al Fioravante mentre fuggivo
– La pistola è questa, vero? – gli dice il Pretore di Verbicaro mostrandogli l’arma rinvenuta a largo Sant’Antonio.
Questa pistola non è mia ma bensì quella di cui era armato il Fioravante al quale l’ho vita tante volte
– E tu invece hai una pistola e una rivoltella che tieni a casa di tua cognata…
Non ho avuto mai rivoltella e mia cognata non ha in casa revolver
Qualche giorno dopo si presenta dal pretore il padre del povero Fioravante per integrare la querela e fa delle dichiarazioni esplosive che riguardano la morte del figlio:
Non solo contro De Marco Salvatore mi querelo per l’omicidio commesso in persona di mio figlio Fioravante, ma anche per partecipazione nello stesso reato, mi querelo contro 1° De Marco Eugenio Celestino (Genuzzo, nda), 2° Servidio Albino, 3° Guaglianone Salvatore, 4° Mazza Rocco, tutti di Grisolia e ciò perché tutti costoro cooperarono al delitto, come mi affermò il defunto mio figlio quando si vide in pericolo imminente di vita. Egli mi narrava che il Guaglianone lo esortò ad andare al largo S. Antonio con promessa di aiutarlo, ma che ciò fece per ingannarlo, mentre non gli diede nessun aiuto. Seppi che il De Marco Salvatore, in compagnia di De Marco Eugenio e di Servidio Albino avevano mandato l’altro loro compagno Mazza Rocco  a comprare i pallini. So che Bellusci Giuseppe glieli negò. Seppi pure che il Mazza nell’acquisto dei pallini diceva al venditore: “Questi pallini stasera dovranno carmerarsi” (saggiare la carne). Nel maggio ultimo strapazzai il Servidio per averlo sorpreso in chiesa che si trastullava con altri compagni.
Il Pretore gli crede e ordina subito l’arresto dei quattro giovanotti e ciò produce subito degli effetti: Salvatore De Marco comincia ad ammettere qualcosa:
Mentre io ed Eugenio De Marco passeggiavamo incontrammo Rocco Mazza al quale io diedi incarico di andare a comprare due soldi di polvere. A Sant’Antonio il Servidio estrasse dalla tasca interna della giacca una scure e cominciò a fare dei mulinelli al Fioravante il quale aveva imbrandito il pugnale e veniva contro di me; estrassi la rivoltella e ne esplosi un colpo dopo uno scatto a vuoto contro il Fioravante e mi diedi alla fuga. In quel momento stesso partì un colpo di pistola che ritenni essere stato esploso da De Marco Eugenio
Gli altri si dichiarano innocenti sostenendo di essere intervenuti per mettere pace tra i due. Rocco Mazza ammette di avere comprato polvere e pallini per conto di Salvatore, ma di ignorare che dovessero servire per sparare contro Fioravante. Vengono acquisite altre testimonianze e tutto farebbe pensare che probabilmente i quattro giovanotti non c’entrano niente con la questione. A chiarire uno degli aspetti più controversi di tutta la faccenda e che potrebbe dimostrare la volontà omicida di Salvatore De Marco, ci pensa sua cognata Barbara, dopo le molte bugie raccontate al Pretore:
Ho dichiarato il falso tanto per proteggere mio cognato quanto perché credevo che la verità non si sarebbe scoperta. Ora devo distruggere quanto ho detto e dichiarare che mio cognato possedeva una rivoltella e il 29 a sera venne in casa mia a rilevarla, avendola lasciata e ripresa parecchie volte, ma gliel’ho dovuta far prendere a forza se no mi avrebbe presa a calci
Se molti testimoni hanno l’impressione che tutto sia stato fatto da Salvatore De Marco senza la complicità degli amici, per la Procura invece è veritiera la ricostruzione degli avvenimenti fatta da Fioravante Capalbo e sostanzialmente confermata anche dai quattro coimputati e quindi ci sono tutti gli elementi per chiedere il rinvio a giudizio per tutti.
Il 31 marzo 1906 la Sezione d’Accusa si pronuncia: Come ben si ravvisa, l’intenzionalità del De Marco non era quella semplicemente di arrecare una grave lesione, ma invece quella di uccidere per quanto appena arrivato, da spavaldo, lancia la sfida al suo avversario. E ne passò certo tempo munendosi di rivoltella, che trovavasi presso una sua cognata, e di una pistola, ove mai la prima faceva difetto. Alla sfida certo non poteva indietreggiare il Capalbo, robusto in salute, per evitare le dicerie di vigliaccheria sul suo conto, ma ingenuo come era, si presentò sul campo a S. Antonio per vedere se agisse sul serio l’imputato, che senza por tempo in mezzo, puntatagli la rivoltella ne fece partire un colpo che andò a vuoto ed immediatamente un secondo colpo che investì l’infelice Capalbo al torace, cadendo per terra come corpo morto cade e disse: “mi ammazzasti!”, e quando il Celestino [Eugenio De Marco, nda] con la pistola esplodeva un colpo all’indirizzo del mal capitato Capalbo, che quindi più che praeter intentionem, al dir della Sapienza Latina, che nella specie si vorrebbe ravvisare, appare loculentemente manifesta la volontà omicida. Né fa peso la circostanza che il Capalbo sia sopravvissuto per un certo tempo e deceduto di poi, quando si consideri che l’intento primordiale di uccidere seguì l’evento con mezzi idonei e micidiali all’esecuzione del maleficio. Né miglior sorte potrebbero avere De Marco Eugenio Celestino, Servidio e Mazza Rocco, i quali spalleggiando sin dalle prime il De Marco Salvatore, ne avrebbero accarezzati tutti gli intendimenti infernali. E l’aggravante della premeditazione vi concorre perché tutti uniti e con unicità d’intenti avrebbero preparato e compiuto la strage, frigido pacatoque animo, ed a latere dello spavaldo De Marco Salvatore. Quindi Salvatore De Marco viene rinviato a giudizio per omicidio premeditato ed Eugenio De Marco, Albino Servidio, Rocco Mazza vengono rinviati a giudizio con l’accusa di concorso in omicidio premeditato. Salvatore Guaglianone viene prosciolto per insufficienza di prove e i giudici ravvisano, nei confronti del padre del minorenne Salvatore De Marco, la responsabilità civile nel reato e rinviano a giudizio anche lui.
Accuse da far tremare i polsi.
Il 15 ottobre 1906, la Corte d’Assise di Cosenza esclude la premeditazione e condanna Salvatore De Marco, concesse le attenuanti di legge, a 7 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio volontario ed Eugenio De Marco, concesse le attenuanti di legge, a 3 mesi e 10 giorni di detenzione per sparo d’arma in rissa, assolvendolo dall’accusa di concorso in omicidio, come assolti vanno anche Albino Servidio e Rocco Mazza. La Corte, inoltre, esclude la responsabilità civile imputata a Innocenzo De Marco, padre di Salvatore, e lo assolve. I condannati non presentano ricorso in appello e la condanna di primo grado diventa esecutiva.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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