Sono le sei di mattina del 14 settembre 1929 quando il Maresciallo Maggiore Giovanni Patriarca, comandante della stazione di Cosenza, e il Vice Brigadiere Egidio Gesualdi sono svegliati di soprassalto dai colpi al portone della caserma.
– Ho ammazzato mio cognato Santo Mirabelli a bastonate – dice loro il ventiseienne mattonaio Giuseppe Dodaro mostrando un bastone intriso di sangue – aveva violentato mia sorella mettendola incinta…
– Dove? Quando? – gli fa il Maresciallo ancora assonnato.
– Un’ora fa, dopo il ponte di Carolei, vicino alla fornace…
– Chiudetelo in camera di sicurezza e andiamo a vedere, ci saranno al massimo tre chilometri da qui… mentre ci mettiamo la divisa avverti telegraficamente i colleghi di Carolei di venirci immediatamente incontro – ordina Patriarca al piantone.
Mentre i militari stanno uscendo si presenta un altro operaio, Carmine Dodaro, che vuole denunciare lo stesso omicidio e, in attesa dei necessari rilievi, anche lui viene trattenuto in caserma.
Oltrepassato di circa cinquecento metri il ponte della carrabile che va a Carolei, in un punto della contrada Ciaccio e precisamente sulla riva destra del fiume Busento, a circa cinque o sei metri dal limite dell’alveo, giaceva il cadavere del Mirabelli. Esso giaceva in decubito supino e la testa, leggermente reclinata a destra, appariva orrendamente fracassata per effetto di violenti colpi inferti da corpo contundente. Inoltre sulla testa e precisamente alla regione frontale si notavano vicini due piccoli fori, a margini netti, come prodotti da proiettili di rivoltella di piccolo calibro. A breve distanza dal cadavere (due – tre metri circa) dal lato della riva del fiume, si notavano molteplici chiazze di sangue e pietre insanguinate, talune delle quali addirittura inondate. Altre macchie di sangue si notavano pure su diversi tronchi di alberi ivi giacenti, su uno dei quali erano impresse le impronte delle dita di una mano. Traccie di sangue si rilevavano ancora su diverse pietre esistenti nell’alveo del fiume in forma raggiata per una distanza di quattro metri dai tronchi degli alberi. Tale constatazione stava a dimostrare la violenza dei colpi inferti sulla testa della vittima fino al punto che il sangue sprizzasse a notevole distanza. Immediatamente attorno al punto dove giaceva il cadavere non si notavano macchie, che si rilevavano invece a poca distanza, precisamente, come sopra è descritto, vicino i tronchi degli alberi. Da ciò è facile dedurre che il Mirabelli, ucciso in quest’ultimo punto, era stato poi sollevato ed adagiato nel sito dove fu rinvenuto, coverto con dell’erba per essere sottratto alla vista di persone che eventualmente avessero transitato per colà. Gocce di sangue si notavano ancora lungo l’alveo del fiume risalendo la corrente nella parte priva d’acqua, precisamente nel tratto destinato per tale ragione durante la stagione estiva al passaggio delle persone. Procedendo in tale direzione, a circa 150 – 170 metri dal punto dove fu rinvenuto il cadavere, si trova un passaggio a guado del fiume largo quattro – cinque metri, con deviazione sulla destra. A pochi metri dal limite del guado, in diretta corrispondenza di questo, rinvenimmo a terra una pala con manico di legno tutta sporca di sangue. Il manico presentava in più punti le impronte delle dita, mentre sulla pala, nella parte convessa, si notavano oltre che varie macchie di sangue, vari capelli attaccati. Notevoli macchie di sangue si riscontravano ancora su pietre, una delle quali era completamente arrossata di sangue coagulato sgorgato abbondantemente da ferite. Inoltre presso la pala rinvenimmo un fazzoletto listato turchino tutto sporco di sangue. Oltre questo punto non si notava null’altro di anormale. Ad una cinquantina di metri dal punto ove fu rinvenuta la pala esiste, in lieve salita, una fornace per la costruzione di mattoni e tegole. Sovrastante a questa trovasi una casetta bassa in muratura destinata a deposito di materiali vari ed a ricovero degli operai adibiti ai lavori della fornace.
– Le cose sono più complicate di quanto ha detto Dodaro… non sembra un delitto d’impeto. È cominciato dove c’è la pala ed è finito dove c’è il cadavere perché, dal sangue che c’è qui, non credo che il poveretto ci sarebbe potuto arrivare con le sue gambe – osserva Patriarca discutendo con il suo collega di Carolei, Maresciallo Capo Emanuele Scarpellini.
Poi notano un operaio affaccendato nella fornace e lo chiamano. È il ventitreenne Lorenzo Vitari il quale appariva estremamente impressionato. I Carabinieri gli notano sul viso e sulle mani alcune scalfiture ed abrasioni e la cosa puzza assai e puzza ancora di più quando si accorgono che sulla scarpa sinistra di Vitari ci sono due piccole macchie di sangue.
– Portatelo in caserma perché ci deve spiegare un sacco di cose – ordina Patriarca.
Che il delitto sia stato consumato con modalità orrende è chiarissimo e le parole usate dal dottor Gregorio Cerrito per descrivere, dopo averlo ripulito, lo stato del cadavere mettono ancora più in evidenza l’odio che ha animato gli assassini, si gli assassini, perché la natura e la molteplicità delle ferite fanno pensare che ad uccidere debbano per forza avere concorso almeno due persone e che, quindi, Giuseppe Dodaro ha mentito:
La testa ed il viso appaiono tutti anneriti ed intrisi di sangue. Il cranio, in quasi tutta la metà sinistra è sfracellato in modo che larghi pezzi ossei si possono staccare lasciando aperta quasi in massima parte tutta la cavità cranica, la quale appare riempita da una poltiglia informe, nerastra e brulicante di vermi. Sulla regione temporale destra si nota un forame circolare del diametro di circa mm. 6 ed altro della medesima dimenzione sulla regione laterale esterna del super ciglio sinistro. Inoltre una ferita d’arma da taglio sul mascellare sinistro lunga circa 5 cm. a bordi largamente divaricati e con frattura dell’osso sottostante. Altra ferita consimile notasi sulla regione sotto orbitaria destra con frattura dell’osso sottostante. Sulla regione occipitale si riscontrano una estesa frattura comminuta con frammenti ossei nella massa cerebrale. Sull’ascellare anteriore prolungata e vicino al bordo costale sinistro, un forame circolare di circa 6 mm con un alone pigmentato nero, evidentemente prodotto da polvere pirica incompletamente combusta, coi margini rientranti. Sulla spalla sinistra si notano alcune contusioni abbrase.
– Alcuni mesi fa mia sorella Rosina, nubile, accusò un malessere e si fece visitare da un medico di Cosenza il quale disse, secondo mia sorella, che si trattava di debolezza. Io presi quelle parole per buone ma siccome dopo qualche mese continuava a sentirsi male, la facemmo visitare da un altro medico e questa volta si accertò che si trattava di gravidanza. Io le chiesi subito il nome del suo seduttore e Rosina mi disse che aveva dovuto cedere alle voglie di mio cognato Santo Mirabelli perché costrettavi dalla forza. Questo accadeva un mese e mezzo fa. Io e tutta la mia famiglia ci rassegnammo alla sventura che aveva colpito Rosina e accettammo il fatto compiuto. In quel tempo non avevo intenzione alcuna di punire mio cognato per evitare di compromettermi ed aumentare così le conseguenze della sventura. Ma non potevo più trattare coll’usata cordialità e simpatia di parente mio cognato col quale ero costretto a trascorrere intere giornate in comune lavoro. Mio cognato durante il lavoro mi rivolgeva frasi ironiche sullo stato di Rosina, facendone risalire la colpa ad ignoti, ma non era altro che una presa in giro nei miei confronti…
– E poi? che è successo per farti perdere la testa?
– Ieri sera verso le 21,00 mi diede il cambio alla fornace Carmine Dodaro e io andai a dormire nella baracca dove c’era già Vitari. Verso le 5,00 mio cognato venne a svegliarmi, siccome era giunto il mio turno. Svegliatomi mi disse: ”Presto, alzati cornuto ch’è ora!”. Io mi alzai e andai alla fornace dove era già arrivato mio cognato che, vedendomi, ripeté di nuovo tutte quelle frasi allusive che diceva sempre. Io, indignato, presi un grosso palo di legno e branditolo ne infersi un violento colpo sul capo di mio cognato. Questi cercò di difendersi scagliandosi contro di me e io continuai a colpirlo. Nella colluttazione ci spostammo di un buon tratto fino a che mio cognato, sopraffatto da me, si abbatteva esanime al suolo.
– C’era presente qualcuno alla lite? – gli chiede Patriarca, già sapendo che Giuseppe sta mentendo
– No e nemmeno lo dissi a nessuno perché mi incamminai subito verso Cosenza per costituirmi.
– Dì la verità, ti ha aiutato qualcuno? – insiste Patriarca.
– Fui solo io a usare violenza contro mio cognato, in ciò feci uso del grosso bastone che vi consegnai…
– Davvero? E la pala sporca di sangue vicino alla fornace? E i tre colpi di pistola? Solo il bastone hai usato? Vallo a raccontare a qualcun altro! Gli urla in faccia mostrandogli la pala.
– Nulla so dire della pala che mi mostrate perché non fu da me utilizzata per inveire contro mio cognato…
– La vedremo… portatelo via…
Poi fa accomodare sulla sedia davanti alla sua scrivania Lorenzo Vitari e la musica comincia a cambiare:
– Verso le 5 vidi Giuseppe alzarsi come animato da un proponimento. Preso poco distante un grosso bastone si avvicinò cautamente al Mirabelli che in quel momento era abbassato per alimentare il fuoco, ed a tergo gli inferse fulmineamente un forte colpo sulla testa. Il Mirabelli, al colpo ricevuto, si drizzò in piedi e diede a fuggire verso il fiume, inseguito da Giuseppe che continuava a colpirlo. Fatti una ventina di metri, al Dodaro sfuggì di mano il bastone. Trovata lì vicino una pala, la raccolse e brandendola continuò a inseguire il cognato. Io ero rimasto vicino alla fornace come interdetto ma il Dodaro, voltatosi verso di me, impugnando una rivoltella, mi ingiunse di seguirlo. Io fui perciò costretto ad assecondarlo. Il Dodaro, raggiunto il Mirabelli a pochi metri dal fiume, gli inferse vari colpi alla testa con la pala facendolo stramazzare a terra. Il Mirabelli cercava di rialzarsi ma il Dodaro continuava a colpirlo con la pala, scagliandogli addosso anche delle pietre. Io, per paura del Dodaro, rimasi lì fermo senza prestare soccorso all’aggredito. In quel momento vidi il Dodaro Carmine presso la fornace e precisamente sopra il terrapieno e gli feci segno d’intervenire. Egli invece ritornò verso la fornace. Il Mirabelli per il numero e la violenza dei colpi rantolava ed ebbi l’impressione che fosse agonizzante. Allora il Dodaro m’ingiunse, sempre con minaccia, di aiutarlo a trasportare il cognato più in là. Io obbedii. Passammo il fiume attraverso il guado e seguendo la riva destra per circa 150 – 170 metri arrivammo in un punto dove ci sono alcuni tronchi. Quivi lasciammo cadere a terra il corpo del Mirabelli, le cui mani si appoggiarono su di un tronco. Poiché il poveretto dava ancora qualche indizio, il Dodaro si curvò su di lui e gli esplose, a bruciapelo, tre colpi di rivoltella. Poscia incominciò a tempestarlo con colpi di pietra alla testa fracassandogliela orrendamente. Assicuratosi che il Mirabelli era morto, il Dodaro m’invitò a seguirlo verso la fornace, ma fatti alcuni passi decise di tornare verso il cadavere e volle che io lo seguissi e m’invitò ad aiutarlo per spostare il cadavere dal punto dove era stato abbandonato in un punto più nascosto. Poi tornammo alla fornace e per via che il Dodaro ci consegnò la rivoltella ed il coltello che io accettai macchinalmente e il Dodaro disse che sarebbe andato a costituirsi… io nascosi la rivoltella e il coltello sotto un piccolo albero di ciliegio, avendo cura di covrirli con dell’erba…
– Ma quante mani e braccia ha Giuseppe Dodaro? – gli fa il Maresciallo, perplesso dalla dinamica dei fatti raccontata da Vitari – e quindi tu non c’entri niente… come te li sei fatti quelle graffiature?
– Quelle delle mani maneggiando dei fasci di legna, quella al sopracciglio urtando contro un ramo di fico, tutti tre o quattro giorni fa…
– Quindi con tutto il sangue che c’era tu ti sei macchiato solo con due gocce su di una scarpa?
– In verità mi recai al fiume a lavarmi le mani perché erano sporche di sangue…
– E come spieghi che Giuseppe Dodaro non ti ha nominato affatto nel suo racconto, dicendo che ha fatto tutto da solo?
– Non comprendo perché il Dodaro voglia negare di avermi invitato a seguirlo per aiutarlo a trasportare il corpo del Mirabelli…
– Sono tutte bugie… vedrai… vedrai…
Carmine Dodaro, l’altro testimone, racconta altre cose:
– Verso l’alba fui svegliato da rumori e grida confuse come di persone che quistionavano. Dati i primi chiarori dell’alba, potei vedere quanto avveniva. Notai Santo Mirabelli riverso a terra e Giuseppe che lo colpiva con una pala alla testa. Vitari era vicino a Giuseppe in atteggiamento di assecondarlo. Io sono accorso tutto atterrito e rivolto al Dodaro e al Vitari implorai pietà per Santino. Il Dodaro non fece caso alle mie parole, mentre il Vitari mi ingiunse di allontanarmi e per timore rinunziai alla mia opera da paciere. Dopo ciò ritornai presso la fornace. Erano passati pochi minuti quando udii tre colpi di rivoltella esplosi a un paio di centinaia di metri di distanza. Passarono pochi istanti quando vidi comparire il Dodaro e il Vitari. Il primo aveva la giacca, pantaloni, camicia, mani e viso tutti inondati di sangue; il Vitari aveva in mano una piccola rivoltella ma non feci caso se fosse sporco di sangue, però lo vidi recarsi al fiume a lavarsi le mani. Giuseppe si trattenne brevi istanti presso la fornace poscia si allontanò. Io consigliai al Vitari di recarsi a Cosenza e informare i Carabinieri ma egli rifiutò e a ciò provvidi io, poi Vitari, a cui manifestai il mio orrore per quanto era avvenuto, mi raccomandò di dire che ignoravamo ogni cosa siccome durante il fatto riposavamo insieme nella baracca…
Carmine Dodaro non c’entra niente e viene scarcerato dopo qualche giorno, durante i quali la Procura rielabora gli interrogatori, le testimonianze, i risultati dell’autopsia, i risultati dei sopralluoghi e ricostruisce in modo logico la dinamica dei fatti, inchiodando i due imputati alle loro responsabilità in concorso:
Innanzi tutto i giudici puntano l’attenzione sulla molteplicità dei mezzi usati per cagionare la morte della vittima (un palo, una pala, dei sassi e la rivoltella), poi cominciano ad evidenziare le anomalie e le contraddizioni nelle ricostruzioni degli imputati: Il Dodaro Giuseppe che ha confessato di essere stato l’uccisore, negò di aver percosso il cognato anche con la pala, il che è motivo sufficiente per ritenere che di detta pala siasi servito il Vitari per infierire sul Mirabelli, diversamente il Dodaro non avrebbe avuto nessun interesse a negare di essersi servito anche della pala. L’aver poi il Dodaro negato ai carabinieri di aver esploso dei colpi di rivoltella contro il cognato e l’essersi trovata quest’arma subito dopo il delitto in possesso del Vitari fa ritenere che i colpi di rivoltella dovettero essere stati esplosi proprio da lui. Al momento dell’arresto furono riscontrate sul Vitari delle escoriazioni, prodotte probabilmente da unghiate, escoriazioni che dovette senza dubbio riportare in una colluttazione con il Mirabelli, colluttazione che lo stesso Dodaro Giuseppe ammette che ci fu. Il Mirabelli era giovane aitante e robusto e quindi il Dodaro Giuseppe più debole di lui non l’avrebbe aggredito per timore di essere facilmente sopraffatto. Lo stesso Vitari ammette di avere assistito passivamente alla scena delittuosa e di avere aiutato il Dodaro a trasportare il cadavere nel luogo in cui fu poi rinvenuto; non è però credibile quando afferma che egli vi fu costretto dal Dodaro che lo minacciò con la rivoltella perché se egli non fosse stato d’accordo con costui nel voler la morte del Mirabelli avrebbe potuto agevolmente darsi alla fuga o avrebbe potuto gridare per richiamare l’attenzione dei vicini. Invece non solo egli non grida né fugge ma quando il Dodaro Carmine accorre, egli gli ingiunge in modo minaccioso di allontanarsi.
La premeditazione, secondo la Procura, è provata dall’odio che il Dodaro Giuseppe nutriva contro il cognato per l’offesa arrecata al suo onore, malinteso senso di onore, dall’assenza di qualsiasi causale improvvisa che avesse potuto far trascendere i due al delitto e dalla particolarità dell’aggressione. Il Vitari poté determinarsi a cooperare il Dodaro nel commettere il delitto per l’immorale affinità elettiva derivante dal fatto che talune sue sorelle erano state sedotte e abbandonate.
Insomma, per la Procura le continue ironie e offese che Mirabelli avrebbe rivolto a suo cognato non avrebbero rappresentato un motivo sufficiente per spingerlo ad uccidere in un momento di improvvisa commozione e di sdegno. Anzi, per la Procura queste ironie e offese non ci sono mai state e per avvalorare questa tesi riportano le prime parole di Angela Dodaro, sorella dell’assassino e vedova dell’assassinato, subito dopo l’omicidio, alle quali non era stata data particolare importanza durante le indagini: (…) si incominciò nel pubblico a vociferare che a renderla incinta sarebbe stato mio marito. Io rinfacciai ciò a mio marito ma egli lo smentì recisamente. Dopo questo fatto non corsero più buone relazioni tra mio marito e mio fratello Giuseppe, per opera esclusivamente di quest’ultimo. Mio marito più volte mi confidò che avrebbe voluto riavvicinare mio fratello ma quest’ultimo volle evitare sempre il riavvicinamento. Stamane, 14 corrente, per incarico di mio marito, io avrei dovuto recarmi a casa dei miei genitori per invitarli a venire in casa mia, dove mio marito avrebbe dovuto loro parlare. Quindi, se la stessa Angela, proclive alla salvezza dell’imputato suo fratello, ammette che la vittima cercava un riavvicinamento con il cognato e i suoceri per placarne il rancore, non lo avrebbe certamente ottenuto con le offese.
Stando così le cose, Giuseppe Dodaro e Lorenzo Vitari vengono rinviati a giudizio per omicidio premeditato in concorso. È il 27 febbraio 1930.
Il 16 marzo 1931 si apre il dibattimento. Due giorni dopo la Giuria ritiene entrambi gli imputati responsabili di omicidio volontario escludendo la premeditazione e, concesse ad entrambi le attenuanti di avere agito in un impeto d’ira o d’intenso dolore determinato da una grave provocazione e che tale stato ha offuscato ad entrambi la mente, tanto da scemarne grandemente l’imputabilità. Riconosciute ad entrambi anche le attenuanti generiche, la pena che viene comminata ad entrambi è di 1 anno e 15 giorni di reclusione.[1]
Se per Giuseppe Dodaro si possono, con grande sforzo, arrivare ad ammettere la grave provocazione (l’offesa all’onore), lo stato d’ira e il momentaneo stato di semi infermità di mente, per Lorenzo Vitari ci sarebbe da capire quale sia stata la grave provocazione che ha determinato lo stato d’ira e la momentanea semi infermità di mente che lo hanno spinto a concorrere a uccidere barbaramente Santo Mirabelli se non, ricordando le parole del Procuratore del re, l’immorale affinità elettiva con Giuseppe Dodaro derivante dal fatto che talune sue sorelle erano state sedotte e abbandonate.
[1] ASCS, Processi Penali.
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