L’ASSESSORE E I MALANDRINI

Sono le 14,30 del 16 gennaio 1921 e a Grisolia piove a dirotto. Come se si fossero dati appuntamento, cinque o sei giovinastri del paese trovano rifugio nel sopportico che dà accesso al negozio di Giuseppe Magurno lungo via San Giovanni, la via principale del paese. Risa, bestemmie e scherzi accompagnano l’incontro inatteso. Ma inatteso è soprattutto il sedicenne Michele De Biase, assente dal paese da quasi due mesi.
– Dove sei stato tutto questo tempo? – gli chiede uno
– Nel carcere di Verbicaro. Ho scontato cinquantacinque giorni per un furto e sono appena arrivato… – risponde. Poi viene interrotto dall’arrivo indesiderato dell’assessore comunale Fedele Cetraro, un omone robusto e forte al quale Michele ha giocato un sacco di brutti tiri (e forse anche qualche furtarello).
Lazzarone! Ti ci dovevano tenere cinquantacinque anni in galera! – sbotta Cetraro.
– Ti rode? Fatti i cazzi tuoi che è meglio! – gli risponde Michele.
Cetraro gli molla un paio di ceffoni in faccia e, sentendosi autorizzato dalla sua carica di assessore, perquisisce il ragazzo il quale non oppone resistenza. Poi rivolge le sue attenzioni verso un altro della combriccola, il diciassettenne pregiudicato Angelo Serra il quale, al contrario, oppone una fiera resistenza a quello che ritiene un sopruso.
– Toglimi le mani di dosso, solo i Carabinieri possono perquisire!
Per tutta risposta Cetraro gli molla un manrovescio che lo fa barcollare; il ragazzo però è lestissimo a cavare di tasca un coltello e, mentre l’assessore sta per colpirlo di nuovo, gli trapassa la mano sinistra da parte a parte. Cetraro ha un attimo di smarrimento per il forte dolore e Serra ne approfitta per darsela a gambe correndo a perdifiato sotto il temporale e cercando di non affondare nel fango della strada. Ha un buon vantaggio, fa in tempo a farsi aprire la porta da Battista Capalbo e si barrica in quella casa.
Cetraro, con il sangue che gli cola dalla mano ferita lo insegue come un forsennato e tempesta la porta di Capalbo di pugni per cercare di sfondarla. Non ci riesce e abbandona il tentativo di farsi giustizia da sé dicendo:
Tenetelo rinchiuso perché io vado dalla legge e lo faccio arrestare – e va nella bottega di Giovanbattista Campagna per chiedergli se sa dove siano i Carabinieri di servizio quel giorno in paese.
– Se ne sono andati poco fa a Verbicaro…
Senza dire niente altro l’assessore, con la mano grondante sangue e gli occhi di fuori per la rabbia, corre a casa, seguito dall’incuriosito bottegaio e da altre due persone. Quando dopo pochi secondi ne esce, i tre vedono distintamente che Cetraro sta nascondendo sotto il panciotto un pugnale e si mette a correre in direzione del negozio di Magurno.
Serra è scappato, ma Michele De Biase e gli altri giovinastri sono ancora sotto il sopportico aspettando che spiova. Restano tutti a bocca aperta quando l’assessore, con gli occhi rossi, ansante, bagnato fradicio e con la mano sinistra che gronda sangue, si para davanti a loro a gambe larghe. Cerca con lo sguardo Michele e, non appena lo vede, gli urla:
Ah! Carogna!
Nessuno si aspetta che l’assessore tiri fuori un pugnale da sotto il panciotto e si lanci sul ragazzo colpendolo due volte in pieno petto e una volta alle spalle, dandosi poi alla fuga, ma così avviene.
Michele barcolla, fa pochi passi uscendo sulla strada, poi crolla a terra in una pozza di acqua fangosa, morto. Morto per l’emorragia fulminante causata dalle lesioni all’aorta e all’arteria polmonare. Tre colpi vibrati per uccidere.
Oh, per Dio! Lo hanno ammazzato! – urla un passante che tocca il ragazzo constatandone la morte, poi corre via.
Le urla, di casa in casa, giungono fino al Municipio dove proprio quel giorno il Pretore di Verbicaro sta facendo degli accertamenti. Accompagnato dal Sindaco arriva subito sul posto e fa i primi rilievi, ordinando nello stesso tempo che qualcuno corra ad avvisare i Carabinieri.
Sulla via principale che attraversa l’abitato di Grisolia e precisamente un po’ accanto al muro della casa del signor Bellusci Giuseppe, a circa otto passi dal portone d’ingresso, e di fronte al locale adibito a scuola elementare, riverso al suolo in posizione supina giace il cadavere di un giovane dell’apparente età di anni diciotto.
Il cadavere veste rozzi panni di cotone di colore grigio scuro; la testa scoperta, come affossata in uno scoscendimento del terreno, resta più bassa della rimanente parte del corpo. I piedi sono calzati di grosse scarpe chiodate, di quelle uso militare.
Se non ci sono dubbi sull’autore dell’omicidio, ne resta inspiegabile il movente, anche perché Fedele Cetraro non lo può spiegare essendosi dato alla macchia. È ovvio d’altra parte, dal racconto dei testimoni, che c’è un altro reato da perseguire e cioè quello di lesione personale volontaria ai danni dell’assessore, commesso da Angelo Serra. Qui non ci sono problemi: il ragazzo è a casa e quando i Carabinieri lo vanno a prendere consegna spontaneamente l’arma con la quale ha ferito Fedele Cetraro.
Le cose potrebbero chiarirsi a notte fonda quando l’assessore si presenta ai Carabinieri di Verbicaro consegnando un coltello a serramanico con una lama lunga circa 7 centimetri e racconta:
– Stavo andando al negozio di Magurmo per fare alcuni conti. Arrivato al portone vidi che vi erano dentro De Biase Michele, Serra Angelo ed altri giovanotti che non conosco. Mentre si riparavano dalla pioggia discutevano tra di loro di furti che erano stati commessi alla Stazione di Grisolia e commentavano anche l’uscita dal carcere di De Biase. Io mi fermai nel portone e parlai con tutti costoro. Mentre che alcuni domandavano al De Biase dove avesse nascosto la refurtiva proveniente dal furto commesso alla stazione, io dissi alla comitiva queste precise parole: “De Biase la potrebbe smettere di commettere furti ed atti vandalici; io parecchie volte l’ho perdonato per furti a me commessi e anche lo perdonai di avermi minacciato con la rivoltella in mano in un fondo di mia proprietà in presenza di testimoni. Io l’ho pure perdonato per rispetto al padre che è un onesto lavoratore ed anzi spesse volte ho avvertito il padre di correggere il figlio”. A queste mie parole De Biase rispose affermando che era tutto falso e che lui non mi aveva mai rubato niente. Era irritato e vidi che si mise le mani in tasca contemporaneamente ad Angelo Serra e certamente per estrarre arma. Allora dissi: “Cosa volete fare? Forse avete la rivoltella?” e mi avventai su Serra per vedere cosa tenesse in tasca; intanto il De Biase teneva sempre le mani in tasca. Serra si liberò dalle mie mani, uscì dal portone ed estrasse il coltello ma fu afferrato da Giuseppe Vergara ed io gli gridai di tenerlo fermo. Mi avvicinai per disarmarlo ma non feci a tempo e mi ferì alla mano ed un altro colpo mi tirò al petto in direzione del cuore perforandomi la giubba, il panciotto e la camicia. Vedendo il sangue che grondava dalla mano lo lasciai e il Serra scappò e gli corsi dietro per afferrarlo ma il Serra andò a rinchiudersi nella casa di Battista Capalbo. Allora corsi immediatamente verso via San Giovanni per cercare i Carabinieri e giunto alla bottega di Giovanni Campagna, questi mi disse che i Carabinieri erano già andati a Verbicaro. Io tornai indietro di corsa per andare dal Sindaco ma giunto al portone di Magurno gli stessi giovani, meno Serra, mi si buttarono addosso per percuotermi. Allora io, accecato dall’ira e dal dolore, estrassi di tasca un coltello e colpii uno della comitiva. Io non so chi colpii perché dopo vibrato il colpo tutti fuggirono ed io scappai a casa per paura di essere ucciso. Dopo poco che ero a casa seppi che avevo ammazzato De Biase Michele.
Mente, come abbiamo già visto. Tutti i testimoni lo sbugiardano raccontando di averlo visto andare a casa per armarsi e non è affatto vero che, tornato la seconda volta nel portone di Magurno, sia stato aggredito dai giovinastri.
– Quando hanno litigato la prima volta, Cetraro disse a De Biase dopo averlo accusato di avere rubato nelle sue proprietà: “ti ho rispettato sempre per amore di tuo padre, altrimenti ti avrei fatto passare da Santa Litterata”. Questo è un nostro modo di dire che si usa quando si vuole dire “ti faccio andare all’altro mondo”  dice Angelo La Regina.
Cetraro ritornò tutto eccitato davanti al sopportico di Magurno e senza che nessuno gli facesse niente, estrasse dalla cintola un lungo pugnale dal manico di legno e dicendo “ti piacciono questi”, colpì col pugnale De Biase.
Antonio De Patto e Silverio Vana sostengono le loro accuse a Fedele Cetraro durante i confronti a cui il Pretore li sottopone.
Colpisti il De Biase col pugnale dal manico di legno e colpisti senza che nessuno ti avesse fatto nulla. E mentre colpivi dicevi queste precise parole: “ti piacciono queste?” – dice De Patto.
Non appena fosti vicino al sopportico di Magurno dicesti queste precise parole: “Ah carogna!” e colpisti con un pugnale che estraesti dalla cintola uno della comitiva , non so chi, e colpisti senza che ti avessero fatto nulla – dice Vana.
Ma qualcuno giustifica il gesto:
De Biase e Serra erano pessimi pregiudicati facienti parte della malavita di Grisolia e dopo la morte di De Biase tutti abbiamo detto che sarebbe stata una salvezza pel paese se fosse stato ucciso anche Serra ed altri cento come Serra.
Anche Angelo Serra è rinchiuso in camera di sicurezza a Verbicaro e viene interrogato per spiegare come e perché ha ferito Cetraro alla mano:
Cominciò a perquisirmi ma io opposi resistenza dicendo che non era un carabiniere e mi tirò uno schiaffo. Io allora, sentendomi offeso, estrassi il coltello di tasca ma della gente ci divise e non ferii il Cetraro. Dato che ero libero di scappare, mi rifugiai in casa di Capalbo inseguito da Cetraro che aveva in mano il coltello.
Mente spudoratamente anche lui ed è sbugiardato anche lui da tutti i testimoni.
La Sezione d’Accusa dispone il rinvio a giudizio di Fedele Cetraro per omicidio volontario e di Angelo Serra per lesioni personali volontarie.
Durante il dibattimento viene fuori una novità: Fedele Cetraro il giorno dell’omicidio era ubriaco, giurano alcuni testimoni, anche se pare che lui non se ne fosse nemmeno reso conto, altrimenti lo avrebbe già detto. Se ne rende però conto la Corte d’Assise di Cosenza che, il 20 aprile 1923, condanna Fedele Cetraro a 5 anni e 10 mesi di reclusione (di cui 6 mesi condonati), concedendogli le attenuanti di avere agito trovandosi in quel momento in tale stato d’infermità di mente non da togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti, ma da scemarne grandemente l’imputabilità, senza escluderla, a cagione di ubriachezza volontaria e di aver commesso il fatto nell’impeto d’ira o d’intenso dolore determinato da provocazione non grave.
Angelo Serra viene condannato a 10 mesi e 2 giorni di reclusione.
Il 19 ottobre 1923 la Corte di Cassazione rigetterà il ricorso di Fedele Cetraro.[1]
Michele De Biase era un delinquentucolo da strapazzo a cui piaceva mettersi in mostra con atteggiamenti da malandrino, ma i veri malandrini hanno altra stoffa (purtroppo).
Angelo Serra continuerà la sua carriera di ladro e verrà beccato solo nel 1931.

 


[1] ASCS, Processi Penali.

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