GIUSTIZIA E VENDETTA

È il 5 luglio 1891, una domenica particolare per gli abitanti di Bianchi perché ci sono le elezioni amministrative e si deciderà il futuro del paese per i prossimi anni.
Ma è una domenica particolare anche per la ventenne Grazia Gualtieri e il suo fidanzato Felice Antonio Marotta, ventisettenne muratore di Decollatura, pochi chilometri da Bianchi ma in provincia di Catanzaro: andranno al comune per la richiesta delle pubblicazioni. Basterà girare l’angolo e attraversare la piazzetta e poi si festeggerà.
La mattina non è possibile, ci sono le elezioni. “Venite il pomeriggio verso le sei o meglio le sei e mezza”, ha detto loro il segretario comunale. Così le famiglie dei futuri sposi hanno deciso di ricevere gli amici e i parenti prima della firma e infatti già dal primo pomeriggio in casa Gualtieri si mangiano dolci e si beve il vino buono, quello delle grandi occasioni. C’è pure un amico che suona un organetto e così gli invitati possono ballare e divertirsi. Quella musica allegra esce dal balcone aperto e si diffonde nella strada arrivando nella caserma dei Carabinieri proprio di fronte, al piano terra dell’edificio a due piani di proprietà di Bettina Le Pera, che abita al primo piano. Un Carabiniere di tanto in tanto si affaccia alla finestra e sbircia in casa Gualtieri. Sembra nervoso, forse infastidito dalla musica e dalle risate allegre che hanno fatto scappare anche le cicale.
Alle sei del pomeriggio il Pretore di Scigliano, avvocato Alessandro Carrella, che è stato a Bianchi tutto il giorno per certificare le operazioni di voto, firma l’ultimo verbale e si mette in cammino per tornare in sede accompagnato dal suo cancelliere e dal Brigadiere Michele Fiore. Attraversano la piazzetta gremita di gente che commenta l’esito delle elezioni e imboccano a piedi la rotabile.
Avvisati che le elezioni sono finalmente terminate, i futuri sposi si preparano ad uscire da casa: Grazia mette il suo scialle ricamato sulle spalle e si affaccia dal balcone insieme a Felice per salutare i parenti che li aspettano davanti al portone, osservati di nascosto dal Carabiniere.
Sulla strada escono per primi Felice e un cugino di Grazia, seguiti da Maria, la sorella della sposa,  e da Grazia stessa. Più indietro i genitori e i parenti. Gli applausi e gli auguri gridati a gran voce dai presenti sono, all’improvviso, coperti da una detonazione. Istintivamente tutti abbassano la testa come per ripararsi da non si sa cosa, poi l’odore acre della polvere da sparo. Maria che cade a terra in un lago di sangue e sopra di lei Grazia che si lamenta.
Poi le urla e le bestemmie. Qualcuno ha avuto il tempo di accorgersi che il colpo è partito dalla caserma dei Carabinieri e di bocca in bocca la notizia fa il giro della piazza. La folla è inferocita e dà l’assalto all’edificio, ma la porta resiste.
– Alla finestra! Alla finestra! – qualcuno urla e allora la folla si sposta di qualche metro cercando di entrare da lì per farsi giustizia – A morte!
Il gridìo della gente, poi l’accorrere, l’ammutinarsi, il piangere, il disperarsi della stessa, denunziavano essere avvenuto un luttuoso successo, una scena di sangue: un fatto tragico erasi verificato – annoterà l’ancora ignaro Pretore, che continua –. A tale esperienza il Comandante la Stazione accorse immediatamente, seguito dall’Ufficio. Giunti sulla Piazza si rinvenne il popolo tutto assembrato, che si doleva e fremeva, imprecava e piangeva, chiedendo giustizia e vendetta. Il Comandante si diresse verso la Caserma ma la porta era chiusa; anche la folla, con noi, colà si dirigeva, però un colpo di rivoltella tirato dalla finestra della cucina della Caserma avvertì tutti che il pericolo non era ancora passato. Al Comandante intanto riusciva di entrare nella Caserma e chiudere la porta. Noi, rimasti in mezzo all’onda popolare, a furia di replicate domande alle quali non si otteneva che mezze risposte seguite sempre da imprecazioni e da richieste di giustizia e di vendetta, potemmo alla fine comprendere che un Carabiniere, quello stesso che aveva sparato il colpo di revolver dalla finestra della cucina, da una finestra della Caserma aveva tirato un colpo a mitraglia uccidendo istantaneamente Maria Gualtieri e ferendo la di lei sorella Grazia.
Il Brigadiere, dalla finestra della Caserma assicurava che il Carabiniere reo era stato arrestato e messo ai ceppi, ma la folla tumultuante pretendeva di averlo nelle mani per farne giustizia sommaria. Allora noi, rivestiti della nostra autorità, c’imponemmo alla massa calmando gli animi, minacciando ai riottosi il rigore della legge ed a stenti, dopo qualche tempo, potemmo ottenere una qualche moderazione.
Il Pretore si fa accompagnare a casa Gualtieri e non può che constatare il desolante spettacolo di una giovane donna, madre di tenero bambino ed incinta, giacente a terra, immersa nel proprio sangue e già freddo cadavere, uccisa da due schegge che le hanno spappolato il cervello e da un’altra che, penetrando dalla regione ascellare destra le ha perforato il polmone e il fegato, recidendo la vena cava inferiore e fermandosi a ridosso della bambina che porta in grembo. Grazia è stata fortunata a trovarsi un metro più indietro di Maria e se la caverà. I due pallini che l’hanno colpita alla testa le hanno provocato solo ferite superficiali.
Ma cosa diavolo è saltato in testa al Carabinere a piedi Giovanni Scandozza, nato ad Alatri il 6 marzo 1865, in servizio a Bianchi dal 15 giugno 1888?
Appena arrivato a Bianchi, dalla finestra di questa caserma ebbi a vedere la giovinetta Grazia Gualtieri, alla quale cominciai a far dei segni per chiederle corrispondenza d’amore – esordisce quando viene interrogato –. Quando vidi che ella mi corrispondeva, e precisamente il 16 ottobre del 1888, le scrissi una lettera che le inviai a mezzo di certa Fiorita, vecchia serva della caserma. In detta lettera ricordo ch’io dissi alla Gualtieri se ella veramente si fosse bisticciata col fratello Lorenzo e se questi l’avesse bastonata per aver saputo che io amoreggiassi con lei. Le feci proposta di amore, chiedendo corrispondenza da lei. A questa lettera non mi fu data risposta in iscritto, ma a voce mi venne riferito dalla stessa serva della caserma che la risposta l’avrei ricevuta quando il fratello Lorenzo si sarebbe recato a Nicastro. La nonna della Gualtieri venne a sapere della lettera e se ne lamentò col Brigadiere e per questa ragione venni punito con quindici giorni di consegna semplice. Mi tolsero anche dalla stanza per evitare che potessi vedere Grazia dalla finestra e mi fecero dormire nella camera di riunione. Per venti giorni non amoreggiai più e la ragazza cominciò ad andare nella casa della padrona dello stabile dove c’è la caserma, al piano superiore e buttava dei sassi alla finestra della camera dove dormivo per richiamare la mi attenzione. Una mattina, infastidito, mi sono affacciato alla finestra e le dissi a voce alta “Neppure la mattina si può dormire? Se non mi lasciate in pace vi faccio restare a bocca aperta sulla finestra!”. Ma lei continuò a buttare i sassolini e io riferii tutto al Brigadiere il quale mi disse che ne avrebbe parlato col fratello di Grazia, ma non so se poi lo abbia fatto. Quando tornai nella mia stanza non mi affacciavo più dalla finestra per evitare il riattaccamento e lei se ne dolse. Ma i nostri amori si riattaccarono perché Grazia continuava a darmi confidenza, tanto che mi ha fatto dei complimenti come i capelli, un fazzoletto bianco con le sue iniziali, un fazzoletto di seta, oggetti che mi fece tenere con alcuni salumi, frittole ed una pizza con uova nell’ultima Pasqua. Nel mese di maggio di quest’anno mi ha regalato 12 salviette, una tovaglia e due asciugamani. Come vedete, da tutto ciò che ho deposto, la intenzione della Gualtieri era quella di sposarmi, come mi ha lusingato fino al giorno di ierierano così le cose, quando due mesi fa, o poco più, la Gualtieri mi disse che aveva avuto una proposta di matrimonio però mi assicurò che fossi stato tranquillo, che ella accettava coll’unico scopo di farsi fare più presto la roba del corredo da sposa da suo padre, onde avesse agio di recarsi più presto in Roma da una mia zia e avrebbe abbandonato quell’uomo. Invero io prestai fede a questa sua manifestazione perché la credetti sincera… e poi… poi ieri mattina quando sono rientrato in caserma dal servizio di pattuglia, Filippo, il servo della caserma, mi riferì che Grazia Gualtieri stava per recarsi al municipio assieme al futuro sposo per richiedere la pubblicazione del loro matrimonio. A tale nuova non m’impressionai ed attesi ai miei doveri all’interno della Caserma. Verso le 10,00 ebbi occasione di vedere la Gualtieri al balcone della sua casa e le domandai se era vera la notizia; lei mi rispose affermativamente, aggiungendomi però che non avessi dato alcuna importanza al fatto, come invero io non me ne curai. Verso le 11 ½  la stessa Gualtieri mi fece comprendere che ella non poteva fare altrimenti. Nelle ore del giorno, poi, nel farmi alla finestra ho visto che nella stanza della Gualtieri si suonava e si ballava. Grazia si affacciava ora al balcone e ora alla finestra sopra il portone, o sola o in compagnia del suo innamorato, vezzeggiandosi e facendo moine. Quando si affacciava da sola faceva delle mosse al mio indirizzo ed una volta, ponendo l’indice della mano destra sull’indice della mano sinistra mi faceva mosse, come per farmi sentire corrivo ed io, irritato, presi il fucile scarico e glielo mostrai, facendole comprendere che la mia testa non era a posto. Poco dopo la Gualtieri si è fatta al balcone già vestita e collo scialle sulle spalle, essendo già pronta per recarsi al municipio
Grazia si riprende dallo stordimento causatole dai colpi alla testa e può rispondere alle domande del Pretore. La sua versione è diversa da quella raccontata da Giovanni Scandozza:
– Appena arrivato a Bianchi, il Carabiniere mi ha mandato una lettera per mezzo di una donna. Voleva sapere se mio fratello mi avesse bastonata e concludeva con farmi proposte di amore, chiedendo risposta a quella lettera. Buttai la lettera sul mio comodino e non me ne curai. Dopo pochi giorni, mia nonna mi riferì che nel pubblico dicevasi che io amoreggiassi col Carabiniere Scandozza. Io presi la lettera e la consegnai a nonna per farla dare a mio cognato Pasquale Gallo. Detto mio cognato, con mio fratello Lorenzo mostrarono quella lettera al Brigadiere Nappolini perché avesse ammonito il Carabiniere di lasciarmi in pace e per questo fu messo agli arresti. Intanto io qualche volta ero solita andare in casa di Bettina Le Pera, che abita al piano superiore alla caserma e forse egli mi vedeva entrare nel portone, ma io non lo guardavo, né gli davo retta. Un giorno mi si presenta una donna per nome Lucia Grandinetti dicendomi che il Carabiniere Scandozza mi faceva sapere che non fossi andata più in casa della Bettina perché altrimenti mi avrebbe sparato. Una tale pretenzione il Carabiniere l’aveva perché credeva che io andassi a casa della Bettina per fargli un corrivo. Io, per verità, per togliere ogni motivo di molestia desistetti dall’andare in casa della Le Pera. Passarono otto o dieci mesi, o forse anche di più, da questi fatti senza che lo Scandozza mi avesse mandato altre imbasciate o messaggi, poi mi fece pervenire un’altra lettera colla quale insisteva a richiedermi l’amore; a questa lettera io risposi con un bigliettino senza firma, pregandolo di lasciarmi in pace e che desistesse dalle sue proposte. Dopo quattro o cinque giorni mi scrisse un’altra lettera alla quale, per verità, ebbi la leggerezza di inviargli un bigliettino in cui non ricordo cosa scrissi. Egli seguitò a scrivermi promettendomi molte cose, tra le quali di volermi sposare e condurmi a Roma. A tale lettera anche risposi ma ora non ricordo cosa dissi per lo stato di agitazione in cui mi trovoavendo saputo che il Brigadiere Nappolini avea avuto sentore del nostro carteggio, pensai di non dar più retta al Carabiniere, come difatti avvenne e, avendo avuto proposta di matrimonio da Felice Antonio Marotta, accettai il partito e da circa quattro mesi siamo in corrispondenza d’amore ed il Marotta, accettato da tutta la mia famiglia, è venuto in casa. Stabilite le condizioni matrimoniali, ieri dovevamo andare al Comune per la richiesta delle pubblicazioni
– Ti sei affacciata al balcone ieri?
– Ci divertivamo… forse mi sono affacciata un paio di volte in compagnia del mio promesso sposo
– Hai visto affacciato il Carabiniere?
Non mi sono accorta se lo Scandozza era al davanzale della finestra perché io mai rivolsi lo sguardo a quella parte
Il Brigadiere Fiore perquisisce l’armadietto di Scandozza e in effetti trova degli asciugamani e dei fazzoletti. Trova anche una lettera e tre bigliettini e il contenuto è molto compromettente per Grazia:
Bianchi li 11 agosto 1890
Parente carissima
O ricevuto la tua tanto gradita lettera emi sono riconzolata di cio che mi dite grazie infinite dal mimoria che aveti per me ed i quantuque non vi sapio da vicino pure vi li do dai tuoi affettuosi scritti che sei oggetto di essere amato al dopio di quanto vi amo da lontano ma si idio mi a destinato godermi a lui quando si congeda ci dividemo e ci daremo un caro abracio uguale a lei e un giovane che si merita che pare nela persona e di vedendo a lui tanto gentile o lasciato altri per lamore forte da lui. Finisco porgendovi i piu singeri e garbatissimi saluti e dandovi una stretta di mano e mi segno tua aff.ma amica
Grazia Gualtieri
Amatissimo amante 
In questo bianco lino 
Segnato sta mi core
Ferito dallo more
Che palpita per te
 
 
 
 
 
 
 
Ti do la mano
Stringila forte
E meglio la morte
Notti lasciar
Allora Grazia ha fatto la furba! 
Il Pretore le mostra la lettera e i tre biglietti e la ragazza li riconosce come scritti da lei, eccetto quello con il fiore incollato ma si giustifica stizzita:
Questi biglietti io gli scrivevo allo Scandozza per due motivi; il primo per non essere soverchiamente afflitta colle sue lettere, il secondo per temporeggiare onde assumere informazioni sulla sua posizione economica. Tali informazioni le ho assunte dalla stessa serva Felicia Sirianni, la quale mi assicurò che lo Scandozza non aveva alcun parente ed era orfano, né aveva alcuno impiego da potermi sostenere. Mi disse pure che lo stesso aveva un’altra innamorata in Roma, come io mi convinsi perché lo stesso, vicino la finestra spesso leggeva delle lettere. Dopo ciò mi determinai a non dargli più retta. Precedentemente a questa determinazione non è vero che io abbia fatto alcuna regalia allo Scandozza, come lo stesso mai ne fece a me. Mai ho detto allo Scandozza che io avrei accettato il matrimonio col Marotta ad unico scopo di farmi fornire del corredo da mio padre per poi recarmi da un suo zio a Roma ed attendere che egli avesse finito il servizio militare. Ciò non era possibile perché non solo io ignoravo l’esistenza di questo suo zio in Roma, ma ancora perché non ero stolta tanto da recarmi in una città ove altra sorte non mi sarebbe toccata che quella di far la cameriera, mentre ora comando in casa mia e il partito offertomi è vantaggioso; quindi mai ho fatto sperare allo stesso che io non avrei portato a compimento l’iniziato matrimonio, mentre ho la coscienza di affermare che ho consentito al matrimonio col Marotta per mio piacimento.
Non resta che interrogare Felicia Sirianni per saperne di più. Della situazione economica di Scandozza non ne sa niente, ma conferma molte delle dichiarazioni del Carabiniere:
Ricevetti la confidenza dell’uno e dell’altra circa il loro amore, tanto che lo Scandozza per mio mezzo mandava lettere alla Gualtieri, come questa consegnava a me le risposte in iscritto. Ricordo che un anno fa in una lettera consegnatami dalla Gualtieri vi era qualche cosa di dentro e dopo un paio di giorni seppi dallo Scandozza stesso che la Gualtieri gli aveva mandato una ciocca dei suoi capelli. Un altro giorno la Gualtieri mi consegnò un involtino e poi il carabiniere mi disse che conteneva un fazzoletto. Così continuavano gli amori e varie lettere si scrissero. Nel mese di aprile ultimo Grazia mi consegnò un involto dicendomi che conteneva alcuni salvietti, una tovaglia e due asciugamani che ella aveva comprati perché gli avessi consegnati allo Scandozza. Tali oggetti, se li vedessi sarei al caso di riconoscerli. A Pasqua Grazia mi consegnò alcune soppersate per il carabiniere. Intanto a maggio la Gualtieri ebbe proposta di matrimonio da un tale, col quale è ancora in relazione. Per questo un giorno mi recai in casa di Grazia ed alla presenza della nonna, mentre tessiva, le dissi che avesse messo testa perché il partito attuale era buono per lei ed accettabile per la sua famiglia e quindi avesse lasciato stare il Carabiniere, ma la Gualtieri si strinse nelle spalle senza darmi alcuna risposta. Da allora in poi tanto la Gualtieri che lo Scandozza non si servirono più di me per la corrispondenza amorosa, anche perché io avevo detto a Grazia di non volerne più sapere non ricevendo io alcun utile di tal fatto. Del resto il loro amore non era ignorato né dal pubblico, né dalla famiglia della Gualtieri.
Ma in qualunque modo si voglia girare la storia tra Grazia e Giovanni Scandozza, non si può dimenticare che c’è di mezzo l’omicidio di una donna innocente, madre di un bambino piccolo e incinta al sesto mese.
Tuttavia il Comandante della Compagnia dei reali Carabinieri di Cosenza sembra in qualche modo giustificare Scandozza nel Rapporto sulla sua condotta in genere, anzi in un passaggio ne elogia il comportamento energico:
(…) poco dopo il suo arrivo alla Stazione di Bianchi, facile all’amoreggiamento tanto che innamora cosi platonicamente di una ragazza alquanto provocante e civettuola che abitava di fronte alla caserma, ne fece il suo ideale e non valsero gli ammonimenti fattigli dal proprio Comandante, né la lieve punizione inflittagli per fargli troncare la relazione amorosa. Esaltato perciò dalla idea erotica divenne circospetto, cauto e seppe per l’avvenire eludere ogni sorveglianza, tanto da far ritenere avesse dimenticato il suo amore. La ragazza, invece, sebbene corrispondesse prima allo amore dello Scandozza, stancossi, e pervenutale nel Maggio u.s. richiesta di matrimonio da altri, accettò la proposta; tale notizia pare abbia vivamente addolorato lo Scandozza, che seppe però dissimulare a tutti il suo rammarico. Inasprito dalla sua amante, che vuolsi gli abbia più volte dato la baia pel suo amore fallito con lazzi e gesti e coll’invio di un limone, covò nella sua mente il pensiero della vendetta (…). Dopo il misfatto lo Scandozza, conscio pienamente del mal operato, dimostrò energia per impedire alla popolazione indignata rappresaglia, ed intervenuto il Comandante la Stazione, in apparenza calmo, si consegnò a lui confessando il proprio delitto.
Nonostante quello che si dica sulla personalità di Grazia, la popolazione di Bianchi è ancora sul piede di guerra e chiede a gran voce giustizia e vendetta per la povera Maria Gualtieri, così, temendo seriamente un assalto alla caserma, il Pretore, ritenuto che il detenuto Scandozza Giovanni trovasi ristretto nella camera di sicurezza della caserma, la quale non offre alcuna guarentigia, ma piuttosto pericolo, sia per una evasione che potesse tentare il detenuto, e sia per un’aggressione che potesse a lui farsi dell’esterno, ordina che il detenuto, sotto sicura scorta e colla più grande sorveglianza, sia tradotto con traduzione straordinaria, osservandosi anche i Regolamenti speciali dell’Arma, nelle carceri di Cosenza.
Al Pretore, prima di trasferire gli atti alla Procura del re insieme al detenuto, non resta che chiarire ciò che è avvenuto nella stanza della caserma nei momenti immediatamente prima della tragedia. È lo stesso Scandozza a ricostruirli:
Ho preso il mio moschetto ed il servo, temendo di qualche sinistro perché ha visto che io tenevo nelle mani la cartuccia a mitraglia che avevo preso nel tiretto, mi ha afferrato per farmi desistere, ma io l’ho allontanato con un urtone. Quando poi ha visto che io ho caricato il fucile, piangendo mi ha abbracciato, ma io spingendolo fortemente l’ho fatto cadere lungi da me. Avendo visto in quel momento che già era fuori del portone Grazia Gualtieri ho puntato il fucile e ho fatto fuoco… Non so cosa sia avvenuto perché, rientrato, ho chiuso subito la finestra. In seguito ho udito la gente e l’indignazione della popolazione e temendo di un assalto alla caserma, mi sono munito del mio revolver carico a sei colpi, sono fuggito nella cucina che è di fianco alla porta di entrata. Ho udito bussare il campanello ma non ho aperto la porta perché temevo l’irrompere della folla nella caserma. Invece mi sono fatto alla finestra della cucina, da dove ho udito la voce del Brigadiere che raccomandava alla folla, ma ho temuto che qualcheduno volesse fargli del male e ho esploso un colpo di revolver in aria onde fare allontanare la folla. Fatto ciò, immediatamente ho aperto la porta al Brigadiere cui mi sono presentato, consegnandomi a lui
Il Procuratore del re chiede il rinvio a giudizio di Giovanni Scandozza per avere, con premeditato disegno esploso volontariamente e a fine di uccidere la fanciulla Grazia Gualtieri un colpo di fucile col quale investì però la di costei sorella Maria Gualtieri maritata Gallo, cagionandone immediatamente la morte , ed alla prima altre lesioni che le cagionarono malattia ed incapacità al lavoro per 30 giorni. Lesioni e non tentato omicidio. Ma la Camera di Consiglio non è d’accordo con questa impostazione e ritiene che si debba procedere per un solo reato, quello di omicidio volontario per errore ai danni di Maria Gualtieri (la bambina che ha in grembo per il codice penale non conta), rimanendo nel medesimo assorbito l’altro di lesioni personali e con questa unica imputazione lo rinvia a giudizio. Homicidium innoxi pro noxio. Un innocente al posto del colpevole.
Quando il dibattimento comincia, il 28 novembre 1891, Grazia si è sposata con Felice ed è andata ad abitare a Decollatura.
I testimoni sono convocati per l’udienza del 7 dicembre successivo, ma pare che una misteriosa epidemia ne colpisca molti e i certificati medici fioccano, mentre tutti gli altri o sono improvvisamente emigrati o non sono più reperibili al domicilio conosciuto.
Tranquilli, non c’è assolutamente il pericolo che qualcuno sia prelevato coattivamente dai Carabinieri e accompagnato in aula. Tutto si risolve in quell’unica udienza senza testimoni e il 9 dicembre viene emessa la sentenza di assoluzione. Assoluzione perché Giovanni Scandozza ha ucciso per gelosia e quindi si tratta di delitto d’onore e pazienza se ci hanno rimesso la vita la povera Maria e la bambina che portava in grembo.
Il Pubblico Ministero non impugna la sentenza e l’unico atto che firma è la richiesta di restituzione degli oggetti sequestrati come prove di reato: il moschetto, la baionetta, la rivoltella ed un pacco di cartucce vengono restituite al reale Esercito Italiano perché di sua proprietà; gli altri oggetti di biancheria appartenenti allo Scandozza sono perfettamente estranei al fatto delittuoso e gli vengono restituiti.
È il 12 dicembre 1891 e la bambina di Maria Gualtieri avrebbe avuto più o meno un mese di vita…[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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