L’AMORE FOLLE DI UMBERTO E MARIA

Umberto Tramonti fa il falegname e ha 31 anni quando, nelle primavera del 1950, incontra la ventenne Maria Capalbo e tra loro scoppia subito una fortissima passione. Sono entrambi di Rossano: lei è orfana di tutti e due i genitori ed è appena uscita dall’istituto dove è cresciuta e dove ancora sono ricoverate le sue sorelle; lui è sposato con un figlio ma vive separato dalla moglie da qualche tempo. Umberto non è uno stinco di santo, basti pensare che è scampato al carcere per ben 8 volte sfruttando le varie amnistie che si sono succedute negli anni (comprese una condanna per sottrazione di minorenne, favoreggiamento alla prostituzione, corruzione di minorenne e percosse, una per diserzione e una per lesioni personali e porto ingiustificato di coltello di genere vietato che lo avrebbero tenuto al fresco per 5 anni e 2 mesi).
Umberto e Maria vanno a vivere insieme ma cominciano i guai: lui torna a casa ubriaco e la riempie di calci e pugni perché lei non guadagna abbastanza per soddisfare il suo vizio. Che mestiere fa Maria? Già, non ve lo avevamo detto. Maria fa la puttana. Clandestinamente perché non esercita in case chiuse.
– Anche con me ha fatto così fin dal giorno dopo che mi aveva sedotta –. Racconta Bambina Grisafi, la legittima moglie di Umberto – Avevo tredici anni e mezzo e mi ha costretta a prostituirmi con degli avventori e pretendeva che il ricavato di tale illecito connubio venisse consegnato a lui. Qualche volta che mi rifiutavo, mi percuoteva in malo modo e mi costringeva a viva forza a congiungermi con chiunque si presentava. Per questo lo hanno arrestato ma dopo quattro mesi è tornato perché gli avevano dato l’amnistia e ha cominciato di nuovo a farmi prostituire. Io lo accontentavo in tutto ma lui ricambiava tale mio affetto con maltrattamenti, percosse e facendomi anche desiderare il mangiare. Lo lasciai e mi misi a lavorare onestamente facendo le pulizie, ma lui, una sera di dicembre del 1939, irruppe in casa mia e mi rovesciò il braciere acceso sulle gambe. Fu arrestato e restò dentro un mese e quando uscì facemmo la pace. Poi partì per la guerra e io facevo le pulizie. Alla prima licenza ci sposammo regolarmente ma lui scappava dal suo posto a Nicastro e veniva a prendersi i soldi del sussidio del governo e poi tornava lì. Io ero senza soldi con un figlio piccolo, così ho ripreso a fare la vita e siccome a Rossano non si guadagnava niente, me ne andai a Taranto. Tornai a Rossano dopo un paio di anni e non ci siamo più riuniti.
Ma Umberto e Maria si amano alla follia e lei non lo denuncia perché non può fare a meno del suo uomo. “Mi contento di fare la puttana pur di far star bene a Umberto mio” risponde a chi le chiede come faccia a resistere.
Qualcosa, però, deve accadere nella testa della ragazza. È la metà di marzo del 1951. Accade dopo che nell’ennesima lite lui tira fuori un coltello e la ferisce leggermente sul seno. Non lo denunziai perché non volevo fargli del male, dice. Ma qualcosa si è rotto. Forse adesso ha paura, paura che mantenga la minaccia che da qualche giorno le ripete: “prima o poi ti ammazzo”.
Il 18 marzo Umberto esce di casa verso le 7,00 e lascia Maria a letto, stremata dal digiuno che dura da qualche giorno. Sono le 17,00 quando Maria decide: prende due cose, chiude la porta e se ne va. Ma Maria ama Umberto alla follia e pensa bene di lasciargli le chiavi di casa da un vicino, pregandolo di dirgli che è andata al cinema. Invece va a cercare due sue colleghe e tutte e tre se ne vanno a Spezzano Albanese per un paio di giorni a guadagnare qualcosa.
Umberto torna a casa e trova la porta chiusa, Maria non c’è. Si infuria e va a cercarla ovunque. Trova il vicino di casa che gli riferisce il messaggio. Al cinema? Che stronzata è mai questa? Umberto si infuria ancora di più perché teme che Maria abbia fatto una marchetta e gli abbia fregato i soldi. Corre al cinema ma, ovviamente, Maria non c’è e allora capisce che se ne è andata.
“Mò te lo faccio vedere io, ti brucio la casa brutta puttana di merda!”, pensa tra sé e sé.
E così riunisce tutte le cose nel centro della stanza e appicca il fuoco. Per fortuna sono solo quattro cose e la stanza resta in piedi.
Poi si mette a vagare per la città in preda al panico perché lui Maria la ama alla follia.
Quando Maria torna a Rossano apprende la brutta notizia: è letteralmente in mezzo a una strada. Sensazioni contrastanti le attraversano la mente. È infuriata, avvilita, ma soprattutto terrorizzata. È sera quando va dai Carabinieri a denunciarlo, ma solo verbalmente perché lei ama Umberto alla follia. Il Brigadiere Luigi Amalfitano segna su un foglietto le generalità di Umberto e le promette che lo rintraccerà e lo diffiderà. Magari lo arresterà pure, dipende da come si comporterà. La notte Maria trova ospitalità presso una sua amica e la mattina seguente, è il giorno di San Giuseppe, torna in caserma per sapere se ci sono novità, ma è sempre più impaurita.
– Non abbiamo arrestato nessuno stanotte – le dice il piantone – devi andare al Commissariato di Polizia, hanno loro la competenza in merito
– Si, la denuncia la possiamo fare, ma ci vuole una marca da bollo – le dicono al Commissariato.
Maria esce per procurarsi la marca da bollo e vede Umberto. La caserma dei Carabinieri è lì vicino e affretta il passo per avvertirli che lo possono prendere in un attimo se escono in strada.
– Ti ho detto che devi rivolgerti alla Pubblica Sicurezza – le risponde il piantone.
– Ma lui è qui fuori…
– Al Commissariato!
Maria esce e sa che potrebbe costarle molto cara quell’ultima visita dai Carabinieri. Vede un conoscente seduto sul muricciolo dirimpetto al Palazzo Martucci, che dalla Via Plebiscito guarda la sottostante Piazzetta di San Bernardino, e si mette a parlare con lui, sperando di scoraggiare Umberto, che non vede ma di cui avverte la presenza.
Umberto, che la ama alla follia, ha deciso, costi quel che costi. Valuta che la caserma dei Carabinieri è ad una quarantina di metri da dove Maria si è fermata a parlare, tira fuori il rozzo coltello che si è fabbricato da solo e si mette a correre verso il suo amore folle.
Maria sente i passi alle sue spalle, tronca la discussione e si mette a correre ma Umberto è più veloce, la raggiunge e comincia a colpirla alle spalle una, due, tre, quattro volte. L’ultima coltellata, dietro la scapola sinistra, è così violenta che il coltello rimane incastrato e Umberto non riesce ad estrarlo e quando la gente comincia a urlare al soccorso e i Carabinieri si affacciano sulla strada, la lascia lì con il ferro nella carne e scappa. È la salvezza di Maria, i Carabinieri la caricano su una camionetta e la portano di corsa in ospedale. Se la caverà, la lama non ha causato danni irreparabili.
Umberto vaga per le campagne intorno a Rossano per tutto il giorno, poi si costituisce in carcere.
– Ho conosciuto Maria l’anno scorso. Faceva la puttana e aveva un amante a Spezzano Albanese. Le ho detto subito che doveva dimenticarsi completamente della vita passata ed abbandonare ogni relazione precedentemente contratta. Le dissi che avevo tutta l’intenzione di trattarla come moglie e di procurarle le cure necessarie dato che era ammalata di emorragia. Infatti le procurai la tessera dei poveri per l’Ospedale e con il mio denaro, e anche chiedendo denaro a persone di mia conoscenza, la fornii per diverso tempo delle iniezioni necessarie.
– Maria dice che a procurare il necessario era lei stessa con il ricavato della sua prostituzione…
Non è vero poiché ogni giorno, o con i soldi del lavoro o con il denaro prestato, comprai sempre il necessario per il cibo. Anzi, avevo aperto il conto presso il negozio di Rosito, dove Maria si serviva giornalmente
– Lei dice che la picchiavi giornalmente.
Mai sottoposi a maltrattamenti la Capalbo, alla quale volevo molto bene, e ricordo solo di averle dato una volta uno schiaffo perché non volevo che in casa dormisse il fratello Giuseppe, pregiudicato per furto e vagabondo.
– Dice anche che prima di oggi l’avevi già ferita con un coltello.
– Non è vero!
– Sei geloso?
Avevo vietato alla stessa, perché geloso, di intrattenersi con Carmela e Maria detta ‘a Signa le quali erano e sono delle prostitute che avrebbero potuto distogliere di nuovo Maria da me. Lei mi ubbidì ma una settimana fa la vidi parlare con ‘a Signa. Avevo della pasta e Maria mi disse di comprare pure una ricotta e io andai ma sorse in me il sospetto che quella aveva messo in testa alla mia amante qualche cosa contro di me.
– Come sei arrivato alla decisione di ammazzarla?
– L’altro giorno sono tornato a casa e l’ho trovata chiusa. Ho chiesto ai vicini e compare Carmine mi disse che Maria era andata al cinema e gli aveva lasciato la chiave di casa. Al cinema non c’era, perciò, adirato, tornai a casa e appiccai il fuoco ai mobili e alla biancheria, tutto di mia proprietà, pensando al male che la Capalbo mi aveva fatto abbandonandomi ingiustamente dopo aver fatto tanti sacrifici per lei. Poi incontrai un tale di Spezzano Albanese il quale mi riferì che aveva visto ivi, girare per la campagna, due donne di Rossano con le giacche rosse a nome Maria. Mi disse che di giorno se la facevano nella trattoria di un certo Claudio, ex amante della Capalbo, e che di notte dormivano da un certo ‘U Zinzulusu. Capii che era andata a Spezzano per prostituirsi e infatti l’informatore mi riferì pure che avevano corso il rischio di essere arrestate. Questo avvenne domenica sera. Ieri mattina, lunedì, verso le 9,00 vidi un mio amico il quale mi disse che Maria era a Rossano, vicino la caserma dei Carabinieri. Andai lì e la trovai. Lei mi vide e scappò nella caserma. Le dissi di fermarsi che ce ne saremmo andati a casa mia ma lei non si è fermata. Io volevo soltanto riprendermela dato che, per il bene che le volevo, avevo deciso di perdonarla. Però vedendola scappare in caserma pensai che mi volesse denunziare. Rimase dentro un bel po’. Io mi allontanai e quando tornai la vidi fuori, così mi avvicinai e le chiesi dove fosse stata in quei giorni. Maria mi rispose che non mi aveva tradito, al che io le contestai ciò che mi aveva riferito l’informatore di Spezzano e lei si scusò dicendomi che era stata trascinata da Maria ‘a Signa. La rimproverai del mal fatto dopo il bene che le avevo voluto e i sacrifici fatti e, nell’ira, le vibrai un colpo di pugnale abbastanza lieve dietro le spalle. Maria scappò e io la inseguii ma non più con l’intenzione di colpirla ancora, senonché vidi che le cadevano dei soldi a terra, onde ebbi la certezza che ero stato vilmente tradito per cui mi calò un velo dinanzi agli occhi e, piangendo, le vibrai altri due colpi dicendole: “Vigliacca mi hai tradito, ecco i soldi!”. Poi sono scappato…
– Sei scappato perché stavano arrivando i Carabinieri, altrimenti l’avresti uccisa.
Non ebbi affatto l’intenzione di ucciderla altrimenti l’avrei colpita con più forza ed in altri punti vitali – dice cinicamente – fu solamente una ritorsione al male fattomi… ebbi solo l’intenzione di darle una lezione. Comunque agii in uno stato d’ira che mi tolse la facoltà di ragionare… – termina, dando dimostrazione di conoscere bene il Codice Penale o forse di essersi consultato con un avvocato prima di costituirsi.
– Con più forza? Non dire fesserie! Le hai lasciato il pugnale conficcato nelle spalle e si è dovuto faticare parecchio per toglierlo! Tu credevi di averla uccisa con quel colpo e sei scappato mentre arrivavano i Carabinieri, questa è la verità! – gli urla in faccia il Pretore.
Sono passati quasi quattro mesi da quando Umberto ha accoltellato Maria. È appena scoccata la mezzanotte del 4 luglio e l’Agente di Custodia Gaetano Papaleo sta facendo il giro delle celle quando si accorge che Umberto si è arrampicato sul davanzale della finestra e sta parlando con qualcuno fuori. Lo richiama e il detenuto torna sulla sua branda, così passa oltre. Quando torna sui propri passi Umberto è di nuovo alla finestra. Lo rimprovera di nuovo ma Umberto rifiuta di tornare al suo posto e resta sulla finestra per un’altra decina di minuti. Papaleo avvisa i colleghi i quali escono dal carcere e identificano la
persona che parla con Umberto: Maria Capalbo!
Il detenuto viene punito con qualche giorno di cella d’isolamento e sembra che non capitino più incidenti simili. Poi accade qualcosa di inaspettato: il 31 luglio Maria si presenta spontaneamente davanti al Giudice Istruttore e fa mettere a verbale la sua dichiarazione:
Mi presento spontaneamente a Vostra Signoria per perdonare il mio ex amante Tramonti Umberto, imputato di lesioni gravi in mio danno. Non insisto nella punizione dello stesso per quello che può valere.
Si, è proprio un amore folle quello tra Umberto e Maria.
Come se si fossero dati appuntamento, quello stesso giorno Umberto presenta un lungo memoriale nel quale ripercorre tutte le tappe della sua vita e riafferma il suo amore (folle) per Maria:
Io il 1940 sposò Grisafi Bambina, dove avutu, contutto quindici giorni e poi partì a servire la Patria, dove vengo preso prigioniero e trasportato in Sud Africa, liberato dalla prigionia arrivo a Rossano, tanto desiderato dai miei, trovò la mia casa vuota e chiusa che vengo fatto presente che mia moglia faceva la vita di marciapiedi: con poche parole donna di facile costume.
Allora mi allontanò da Rossano per levarmi questo brutto pensiero della mia testa a non vedere più la donna del mio cuore e mio figlio che avevano tradito un povero prigioniero. Dopo pochi mesi vengo a prendere servizio dal mio padrone Marchese Martucci per la mia onestà e la mia condotta morale in qualità di Guardiano. dove faceva la vita in campagna, da cene, facendomi tutto io, da mangiare, lavarmi, cucirmi ecc ecc. e figuratevi che vita poteva fare un povero ragazzo di 30 anni di età, trovando la casa maledetta dal diavolo. Finì il servizio da Guardiano e ritornò in Rossano il 22-3-50. come doveva fare solo a vivere? Un povero sfortunato Tramonti Umberto?
Incontro il 1-4-50 la mia adorata Maria Capalbo anche senza Padre e senza Madre, con quattro sorelli chiuse in Orfano Trofio. pensò di riunirmi con lei che era ai miei condizioni, sfortunata come lo era il povero Tramonti Umberto, dove gliò fatta la proposta di essere mia amante spiegandola la situazione, ritirandola dalla prostituzione dove la mia amata Maria acconsentì.
Facendo una delega che risulta in Processo presso la Questura di Rossano con Carta Bollata di 24 lire firmata col suo pugno ed il mio dichiarandomene sotto la mia propria disponibilità e governandola onestamente col mio sacro lavoro per non farla sottoponerla ha visite mediche perche donna di facili costumi. dove mi fu rilasciato il mandenimento della mia Adorata Maria che tanto la penso. E allora Signor Giudice comprendete che il povero Tramonti Umberto la trovò ammalata a ben 19 giorni nelletto dove aveva una malattia che gettava sangue della natura che faceva paura, ma il povero Tramonti Umberto incomincia a lavorare come un cane e avendo portato 36 mila lire dal mio povero lavoro, ho incominciato a farle delle cure che lei aveva bisogno facendogli prendere uove, latticinio e tutte le qualità di ignizione compleso Pinnicillina e Stretopennicellina, Calce, Ferro, Cloconato di Calcio, la quale gli le faceva fare da una donna del vicinato. E il povero Tramonti lavorava dove la teneva durante il mio riposo sempre nelle mie braccia e coprendola di baci. Adesso il destino crudele mià fatto distaccare ma io Signor Giudice, chiedo a Voi la Grazia di farmela abbracciare presto e darli la pace e stare sempre vicino alla mia Maria e raccontarle tutte le sofferenze che ho passato per lei. (…)
Il suo bene per lei era Umberto, anzi quando ha successo la disgrazia di quei tre individui dove uno poveretto morto al Traforo, io lavorava anche vicino dove miò visto abbracciare della mia amata Maria e mià detto Umberto, Umberto del mio cuore sei vivo nelle mie braccia (…)
A voi tutti Giudige comprentetemi e salvatemi perché questa donna e il mio bene, e la donna che mi porterà al Cimitero (…)
Per cui Signor Giudice voglio esplimere alla S.V.Ill.ma che non sono stato un malfattore verso la mia amata Maria a colpirla ma e stato il troppo bene e posso giurare che non prende pace in carcere pensando di aver colpita la donna della mia vita (…)
La mattina del giorno 19 marzo vedo vicino la caserma alla mia Maria, dove il mio cuore si è allegrato, dove gliò detto Vieni Maria andiamo a casa mia lei mià risposto non ti voglio più ed io pregandola con gli occhi di pianto lei mià risposto ancora una volta non ti voglio più, mi sono incinocchiato e gliò detto vieni Maria che Umberto ti perdona, lei ancora mià detto non voglio più venire con te. Miè venuto uno scatto di bene che nutrivo per Maria e gliò detto muori, così non ti godrà nessuno più al mondo ed io andrò al Cimitero. Quando lo vista a terra coll’arma maledetta dentro la sua spalla ho tirato, ho tirato e non veniva, allora ho detto povera mia Maria, lo Baciata ed o maledetto larma che doveva essere nel mio cuore (…)
La mia Maria viene sotto il Carcere a chiamarmi una sera io sentento la sua voce che diceva Umberto mio, Umberto mio sono saltato e vedo sotto i cancelli alla mia Maria, quando lo detto come stai bene mia Maria mià risposto io sto bene e tu Umberto e siamo rimasti a parlare un po’ piangendo tutte e due che quando ci siamo distaccato il mio cuore e rimasto colpito (…)
Per cui Nobilissimo Signor Giudice aiutatemi e pensate che dentro il carcere e un uomo che ama questa donna pazzo che non prende pace pensando alla sua l’ontananza. (…)
Io non sono un criminale ma e stato il troppo bene che mià costretto a commettere questa disgrazia, sono una vittima colpevole, non per malvagita ma per bene (…).
Nei confronti di Umberto Tramonti viene chiesto il rinvio a giudizio per i reati di tentato omicidio per motivi abietti, porto abusivo di pugnale, sfruttamento della prostituzione (con l’aggravante della recidiva specifica) e incendio doloso.
Il Giudice Istruttore però non ritiene sufficientemente provato il reato di sfruttamento della prostituzione e non ravvisa gli estremi dell’aggravante dei motivi abietti, per cui lo rinvia a giudizio per tentato omicidio, porto abusivo di arma e incendio doloso.
Il dibattimento si apre il 29 novembre del 1952 e Umberto ritratta la parte del suo memoriale dove racconta di aver pronunciato la parola muori prima di colpire Maria.
Il memoriale me l’ha scritto un detenuto perché io sono analfabeta ma non ricordo il suo nome. È certo che non dissi alla Capalbo le parole “muori così nessuno potrà goderti”.
Anche Maria modifica alcune sue precedenti dichiarazioni:
Mi allontanai dal Tramonti perché spesso in casa non c’era da mangiare, dato che non sempre il Tramonti aveva lavoro. Fu questa la sola ragione che m’indusse a lasciarlo e non il timore di maltrattamenti… il Tramonti era così geloso che non mi mandava neanche a prendere dell’acqua.
– Ma allora perché siete andata dai Carabinieri a riferire tutte quelle cose? – le contesta il Presidente.
Confermo che il Tramonti mi minacciava sempre col pugnale e qualche volta diceva che mi doveva ammazzare e andai dai Carabinieri dopo essere tornata a Rossano perché avevo paura che il Tramonti, geloso com’era, incontrandomi mi avesse ammazzata.
La giuria crede al movente passionale, derubrica il reato da tentato omicidio a lesioni personali volontarie aggravate e lo condanna a 6 anni di reclusione, più le pene accessorie.
Il ricorso in Appello viene respinto.
Ma quello tra Umberto e Maria è un amore folle, lei non lo dimentica, anzi…
Rossano 17/5/53
Dunque mio caro indimendicabile Umberto dopo lungo tempo mi ricordo del nostro fatale passato e inviandoti una mia foto e credo che tu a ccetti con molto piacere alla tua cara Maria chè questo periodo che tu a cora deve stare ingalera io mi sendo sola bandonata e che stò a pregare il Dio che presto finisce e che possiamo tornare nella nostra piena felicità come eravamo una volta che nel mio pensiero non cè più nessuno solo che tu mio caro e indimendicabile Umberto e percio io ogni giorno che passa mi sempra un anno.
Basta ricevi i più cari bacioni della tua cara per sempre
Capalbo Maria
Scrivimi subito alla tua cara amore Maria
2-6-53
Mio caro Indimenticabile Umberto
Anzi tutto mi scusi se o ritardato a scriverti perché non e stata colpa mia perche mi son sentita poco bene. dunque Umberto mio, come tu mi dici che non ti puoi dimenticare di me, anchio sono uguale alla tua smania che tu nutri per me. anzi mio Caro Umberto ti raccomendo di non stare con il tuo penziero inrivolto per che la tua Maria non e cambiato nulla di come era prima, per che non vedo l’ora e il momento che si finisce questa nostra sfortuna e non solo tu che ti trovi in una galera, ma penza anche a me caro padre che sono nelle tue medesime condizioni e che sto a sofrire continuamente in questo periodo della tua assenza.
Io Caro Umberto mi pentisco e piango del mio maledetto sbaglio che allora ti feci ma però oggi capisco e comprendo bene cosa sarebbe la vita della sofferenza e perciò io credo che mi perdonerai come dio a perdonato i suoi nemici per che il proverbio ogni dottore si perde in causa sua per cui il mio amato Umberto stai tranquillo che la tua cara figlia Maria ti attenderà e non intende amare più uomini nella sua vita che non ce altro bene come o conosciuto un bene solo di Tramonto Umberto.
Mio caro fai sapere se il compare Peppino ti a mandato il pacco che l’altro giorno lo visto e mi diceva che ti avrebbe mandato il pacco con le sarde salate.
Riprendo ancora a nostro riguardo di pensarmi sempre con un pensiero rivolto alla tua cara e indimenticabile Maria che non vedo lora che finirà questo maledetto destino e che possiamo ritornare più meglio che prima a goderci la nostra felicità con il mio caro e tanto sofferto martire Umberto.
Ricevi i più cari bacioni a finche il nostro amore di padre e figlia sia Inalterabile. Baci.[1]
Si, proprio un amore folle.

 


[1] ASCS, Processi Penali.

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